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Ayotzinapa, la ferita resta aperta. E non solo in Messico In di Andrea Spotti
Nonostante le autorità inquirenti abbiano chiuso il caso ed il governo abbia più volte invitato i parenti delle vittime a rassegnarsi e ad accettare la versione ufficiale, la ferita di Ayotzinapa rimane aperta e la protesta per esigere verità e gustizia continua sia in Messico che a livello globale. A quasi otto mesi dall’assalto narco-poliziesco ai danni degli alunni della scuola normale rurale Raul Isidro Bugos dello scorso 26 settembre, che ha provocato sei morti, 25 feriti e la sparizione forzata di 43 studenti, i familiari e i compagni dei giovani desaparecidos stanno portando avanti un’intensa campagna di controinformazione internazionale; mentre all’interno dei confini nazionali non si fermano le iniziative che chiedono al governo di riaprire il caso, e il movimento nato dall’indignazione per quella che è stata definita come l’ennesima strage di stato sta lavorando al boicottaggio delle elezioni di metà mandato del prossimo 7 giugno. Sul fronte interno, il 26 aprile si è tenuta l’XI giornata di Azione Globale per Ayotzinapa, durante la quale si sono verificate azioni, cortei e iniziative in diverse località del Paese e del mondo. A Città del Messico, la mobilitazione è partita venerdì 24 con l’organizzazione da parte di reti studentesche e collettivi di un salto dei tornelli di massa in 43 stazioni della metropolitana, nonché con iniziative in diversi quartieri della città. Domenica, invece, la giornata si è aperta con una mobilitazione matutina in cui centinaia di donne hanno voluto rendere visibile, insieme alla tragedia di Ayotzinapa, anche quella -sistematicamente ignorata da media e autorità competenti- delle desaparecidas, cioè delle migliaia di donne vittime di sparizione forzata, indicando nella capitale, in Chihuahua e nello Stato del Messico le entità dove la situazione è più allarmante. Nel pomeriggio, una manifestazione aperta da una delegazione di genitori e normalisti ha sfilato per le vie del centro. Giunto all’incrocio tra Avenida Reforma e Bucarelli, uno dei più transitati della città, il corteo si è fermato e un gruppo di manifestanti, armati di pale e picconi, ha collocato in loco un “antimonumento” per ricordare che la “strage di stato” è ancora impunita. Si tratta di una scultura di metallo alta tre metri, di color rosso raffigurante un +43. La sua funzione è quella di combattere la strategia dell’oblio portata avanti dalle autorità e sostenuta dalla stampa mainstream ricordando ad automobilisti e passanti che i normalisti e le loro famiglie non accettano la versione ufficiale e sono ancora in attesa di giustizia. Nello stato del Guerrero, quello in cui si è perpetrato il crimine di lesa umanità, diverse iniziative sono state lanciate dall’Asamblea Nacional Popular, che da ottobre coordina la protesta di decine di organizzazioni. Nella capitale Chilpancingo, una mobilitazione cui hanno partecipato, tra gli altri, il sindacato dei docenti CETEG (Coordinadora Estatal Trabajadores Educación Guerrero), il Movimiento Popular de Guerrero (MPG) e la Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México (FECSM) si è conclusa con l’intervento di agenti statali e federali in assetto antisommossa, dopo che un gruppo di manifestanti ha dato fuoco a tre camion di fronte alla sede congresso locale. Anche nei cortei del primo maggio la solidatietà nei cofronti della lotta di familiari e studenti di Ayotzinapa ha avuto un ruolo di primo piano. Le esigenze di verità e giustizia si sono mescolate con quelle delle migliaia di lavoratori che hanno riempito le strade e le piazze della capitale messicana con diversi cortei. In particolare, la delegazione di genitori ha aperto la manifestazione dei sindacati indipendenti, alla quale hanno partecipato più di 50 organizzazioni, tra cui gli elettricisti dello SME (Sindicato Mexicano de Electricistas) e i più combattivi sindacati della scuola. Oltre che in solidarietà con i normalisti, lavoratori e lavoratrici, accompagnati anche da collettivi stuenteschi medi e universitari, erano in piazza per dire no alle cosiddette riforme strutturali, per chiedere aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro, e per denunciare la persecuzione di attivisti, militanti e difensori dei diritti umani in atto in gran parte del Paese. Durante la manifestazione, Melitón Ortega, portavoce dei genitori dei 43 studenti, ha criticato la ricostruzione dei fatti proposta dalla procura dlla repubblica (PGR), sottolineando come anche in questo caso stia trionfando l’impunità ed esigendo al governo di riaprire il caso e ampliare la linea investigativa per coinvolgere anche esercito e polizia federale. Militari e poliziotti, infatti, non sono stati indagati dagli inquirenti, i quali hanno preferito circoscrivere le indagini alla polizia locale e al clan dei Guerreros Unidos.
Secondo la versione ufficiale, presentata alla stampa lo scorso 27 gennaio dall’allora procuratore generale, Jesús Murillo Karam (in seguito sostituito da Arely Gomez), dopo essere stati fermati dagli agenti municipali su ordine dell’ex sindaco di Iguala José Abarca e di sua moglie, Maria Pineda , i 43 giovani sarebbero stati consegnati ai sicari, i quali si sarebbero in seguito occupati di ucciderli e di bruciarne i corpi all’interno della discarica di Cocula, per poi tirare le ceneri nel vicino fiume San Juan. La responsabilità della strage, dunque, ricadrebbe completamente sull’amministrazione e la polizia locali, entrambe corrotte e infiltrate dai narcos, le quali rappresenterebbero così le mele marce della situazione, salvando la faccia di autorità statali e federali. Questo, nonostante sia gli studenti sopravvissuti che diverse inchieste giornalistiche fondate su testimonianze e documenti ufficiali coincidano nel sostenere che entrambe le istituzioni, attraverso esercito e polizia federale, abbiano avuto un ruolo nell’assalto del 26 settembre. Immediatamente rifiutata da familiari e studenti, questa versione non ha basi scientifiche e si regge quasi esclusivamente sulle dichiarazioni dei narcotrafficanti arrestati, i quali sono stati torturati durante gli interrogatori. L’ipotesi degli inquirenti, definita come “la verità storica” da Murillo, è stata messa in discussione da più fronti: dal mondo accademico a quello giornalistico, inchieste e studi hanno smentito punto per punto le conclusioni dell’indagine. Oltre agli esperti dell’EAAF, l’Equipe Argentino di Antropologi Forensi, che segue il caso per conto dei familiari delle vittime ed ha un’esperienza decennale in casi simili, anche quelli della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) hanno espresso dubbi sulla consistenza della “verità storica” della procura, chiedendo al governo di riprendere la ricerca dei giovani e di ampliare il raggio delle indagini esattamente come gridano le piazza messicane da qualche mese a questa parte. Non essendo riusciti a trovare giustizia in Messico, il comitato dei genitori e degli studenti di Ayotzinapa ha iniziato un’intensa campagna di controinformazione internazionale per fare pressione sul governo attraverso la solidarietà e la mobilitazione dei movimenti e dei collettivi del resto del mondo. A partire da marzo sono partite diverse carovane che hanno attraversato le principali città del nuovo e del vecchio continente per contrapporre al racconto ufficiale portato avanti dalla diplomazia messicana quello del Messico reale che soffre le drammatiche conseguenze di otto anni di guerra alla droga. Una guerra che ha comportato la militarizzazione del territorio e una drastica riduzione dell’agibilità politica per movimenti e organizzazioni sociali ed ha causato oltre centomila morti e trentamila desaparecidos. La carovana ha toccato prima di tutto Stati Uniti, Canada e diversi stati dell’America Latina, per poi dirigersi verso l’Europa dove si conclderà il prossimo 19 maggio a Londra. Durante il suo passaggio per le città europee la delegazione in rappresentanza di Ayotzinapa, formata da Eleucadio Ortega, uno dei genitori, Omar García, sopravvissuto all’attacco e portavoce del Comitato studentesco, e Román Hernández, del Centro per i Diritti Umani della Montagna Tlachinollan, ha denunciato la grave crisi dei diritti umani che si vive in Messico, sottolineando come il caso in questione non sia un’eccezione e come nel Paese sia in atto una svolta autoritaria. Durante il tuor in Spagna, dove ieri la polizia ha impedito una manifestazione di protesta di fronte all’ambasciata messicana, la delegazione ha chiesto a movimenti e organizzazioni solidali di continuare a fare pressione sul governo e di lavorare per la “globalizzazione delle resistenze” contro la “globalizzazione della repressione”, e all’Unione europea di mettere i diritti umani prima degli interessi economici quando si tratta di accordi bilaterali. Sono molti infatti i Paesi che hanno firmato accordi su sicurezza, commercio, vendita di armi e formazione delle forze dell’ordine e che, di conseguenza, sono complici del sangue versato sul selciato messicano a causa degli abusi di forze armate e della polizia o della guerra al narco. E l’#EuroCaravana43 ha più volte messo in evidenza questa complicità. La carovano, inoltre, si sta rivelando importante per mantenere alta l’attenzione sul caso e per fare in modo che, oltre ai movimenti, anche parlamenti, commissioni governative e organismi internazionali per la difesa dei diritti umani si pronuncino a favore delle richieste di familiari e compagni dei desaparecidos di mantenere aperto il caso, indagare esercito e polizia e continuare la ricerca dei giovani. Un altro risultato è che i media nazionali siano costretti a continuare a coprire il caso e che lo stiano facendo anche media di prestigio internazionale. Infine, le carovane stanno costruendo relazioni e ponti solidali con migliaia di individui e organizzazioni che si muovono in basso e a sinistra a livello mondiale. Una delle caratteristiche della carovana è stata infatti di non aver voluto incontrare partiti e amministrazioni, per quanto progressiste e benintenzionate sembrassero, ma di orientarsi unicamente verso realtà di resistenza e di lotta. Sul piano politico-diplomatico vanno segnalate le difficoltà che il caso Ayotzinapa sta provocando alla firma del trattato di Sicurezza tra Germania e Messico, rallentato dalle osservazioni del commissario per i diritti umani del governo tedesco Christoph Strässer, il quale, oltre ad essersi scusato con i familiari delle vittime perché le armi usate durante la strage erano di origine tedesca, ha chiesto al proprio governo di sospendere le negoziazioni sull’accordo finché il Messico non istituirà “una strategia nazionale per la lotta control’impunità” e “le sparizioni forzate”. Critiche e osservazioni all’operato del governo messicano sono arrivate, oltre che dalla già citata CIDH, anche Comitato contro la Sparizione Forzata dell’ONU, che ha definito il fenomeno dei desaparecidos in Messico come generalizzato e totalmente impune. Su un tema diverso ma sempre legato al rispetto dei diritti umani, va messo in evidenza anche il rapporto del relatore speciale sulla tortura delle Nazioni Unite Juan Méndez, che ha definito come sistematico e generalizzato l’uso della tortura da parte delle forze dell’ordine e militari del Paese, scatenando la reazione furiosa del governo di Peña Nieto. Bisogna segnalare infine che, soprattutto nello stato del Guerrero ma non solo, continuano le azioni con cui il movimento sanziona i partiti e le istituzioni legate al prossimo processo elettorale. In più di un’occasione, infatti, gruppi di manifestanti hanno colpito le sedi dell’INE (Instituto Nacional Electoral) e delle principali forze politiche. L’obiettivo è quello di boicottare le elezioni di metà mandato del prossimo 7 giugno, durante le quali si rinnoveranno i cogressi locali e nazionale. Durante la Seconda Convenzione Nazionale dei movimenti sociali, tenutasi nella normale di Ayotzinapa lo scorso 10 aprile, l’assemblea si è pronunciata a favore del boicottaggio elettorale, sostenendo che votare significa votare per il narcotraffico, dato il legame sempre più stretto tra i poteri dello stato e la criminalità organizzata. Il boicottaggio, tuttavia, verrà portato avanti in ogni realtà in base ai rapporti di forza presenti sul territorio. Da questo punto di vista, gli stati in cui le elezioni potrebbero essere messe in discussione sono, oltre quello del Guerrero, quelli di Oaxaca, Chiapas e Michoacán, che condividono una forte presenza indigena e un’altrettanto forte tendenza all’autonomia e all’autogoverno. Se il caso delle comunità zapatiste è ormai mondialmente conosciuto, esistono forme governo comunitario simili anche negli stati appena menzionati. È il caso dei municipi di Cherán e Santa Maria de Ostula nello stato del Michoacán, o di diverse comunità nello stato di Oaxaca e nello stesso Guerrero, dove alla quasi ventennale esperienza della CRAC (Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias), si sono recentemente aggiunti, proprio a partire dalla protesta per il massacro di Iguala, i Consigli Popolari Municipali che mirano a sostituire le amministrazioni municipali per seguire il cammino dell’autonomia indigena. La lotta dei familiari dei normalisti è stata protagonista anche al seminario Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista organizzato dall’EZLN e tenutosi in questi giorni in Chiapas. Lanciato per commemorare il maestro Galeano, zapatista ucciso da un gruppo di paramilitari il 2 maggio dell’anno scorso nel Caracol de La Realidad, e Luis Villoro, filosofo vicino agli zapatisti e sempre al fianco dei movimenti indigeni, l’incontro è servito anche per ribadire la solidarietà delle comunità autonome e degli aderenti alla Sexta zapatista nei confronti di parenti e compagni degli studenti. La mobilitazione, per concludere, continuerà anche nelle prossime settimane: il 14 e il 15 maggio, con iniziative previste a Città del Messico, e il prossimo 26 maggio, quando si terrà la la dodicesima giornata di azione globale per Ayotzinapa. |