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24 aprile 2015

 

25 aprile: donne nella Liberazione

di Sara Paoli

 

Più di 125 mila le donne italiane che hanno partecipato attivamente alla Resistenza, dando un contributo fondamentale alla Liberazione dal nazifascismo

 

Dopo l’8 settembre 1943, la Resistenza in Italia contro il fascismo e l’occupazione nazista ha rappresentato anche un grande momento di emancipazione femminile. Le cifre ufficiali, vale a dire le donne che ritirarono il diploma di partigiane dopo la Liberazione, parlano di 35.000 unità. Ma La resistenza taciuta, come definita nel libro di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina (Boringhieri, 2003), riporta la cifra molto più importante di 125.000, comprese le patriote, donne che diedero il loro contributo alla Resistenza senza abbandonare le famiglie, continuando la vita di tutti i giorni, ma lottando silenziosamente contro il nazifascismo.

Le cifre (dati Anpi)

 

- Combattenti: 35.000

– patriote con funzione di supporto: 20.000

– Gruppi di Difesa della Donna: 70.000

per un totale di 125.000 donne di cui

– fucilate o cadute in combattimento: 2.900

– arrestate e torturate dai tribunali fascisti: 4.653

– deportate nei lager tedeschi: 2.756

– commissarie di guerra: 512

– medaglie d’oro: 16

– medaglie d’argento: 17

 

La Resistenza è stata la base su cui si svilupparono le premesse per la nascita della Costituzione e della Repubblica democratica e, per la prima volta, le donne parteciparono da protagoniste a un momento decisivo della storia italiana. Un fatto inedito, senza precedenti, perché la partecipazione femminile non riguardò più solo una élite intellettuale e culturale del paese, com’era avvenuto nel Risorgimento, si trattò invece di un fatto diffuso, realmente di massa.

 

Le donne svolsero un importante ruolo organizzativo e di supporto all’azione delle brigate partigiane, con azioni dirette ma anche raccogliendo alimenti, munizioni, informazioni e svolgendo una essenziale funzione di collegamento tra le brigate, organizzate in montagna, e la città, tra le Brigate e i CLN. Erano le staffette partigiane, una mansione che in un esercito regolare è compiuta dagli ufficiali di collegamento. Portavano ordini, messaggi, medicinali, a volte armi. Non era un ruolo marginale, chi lo svolgeva sperimentava spesso una condizione di solitudine: al buio, al freddo, sotto le intemperie, in bicicletta o a camminando a lungo, nelle strade e nei sentieri dei boschi. Un compito che non si poteva svolgere inconsapevolmente: il continuo rischio di essere intercettate dal nemico e quindi di essere arrestate, violentate, torturate, rendeva queste donne forti, pienamente coscienti del ruolo che stavano svolgendo.

Come racconta Rosetta Molinari, nel 1944 giovanissima staffetta padovana la cui testimonianza è raccolta nella pubblicazione Le donne e la Resistenza (Editore Centro Studi Ettore Luccini, 2004): “La Resistenza ha rappresentato una vera e propria rivoluzione sociale per il ruolo di protagoniste che le donne assunsero”. E’ infatti a partire da quel momento che in Italia la donna ha preteso di essere riconosciuta come cittadina, portatrice di diritti civili e politici. Da allora le donne hanno iniziato un percorso di rivendicazione di nuovi diritti, di spazi nella vita pubblica e sociale del paese, di un nuovo ruolo nella vita economica e lavorativa. Un percorso tutt’altro che facile ma che non si è mai arrestato.