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22 aprile 2015

 

25 aprile fino all’alba

di Alessandro Ghebreigziabiher

 

La repubblica era ferma, sempre sullo stesso giorno. L’orizzonte non si era avvicinato. Nel racconto breve di Storie e Notizie dedicato alla Festa della Liberazione, Alessandro Ghebreigziabiher dice (nel video qui sotto interpreta magistralmente il suo testo) di come quel giorno meraviglioso non sia mai potuto terminare. L’alba è ancora lontana. Come ha mostrato, di recente, la rivendicazione della facoltà di torturare, a Genova nel 2001, non solo dei ragazzi inermi ma anche le conquiste dei loro nonni

 

C’era una volta una repubblica.

Non vi dirò su cosa fosse fondata.

Così eviterò di prendervi per i fondelli.

Carta alla mano.

La repubblica di cui non vi dirò su cosa fosse fondata era ferma.

Ora, non è che nel mondo le repubbliche se ne vadano in giro a spasso, ecco.

Le repubbliche mica emigrano.

Quelle sono le anime mutilate.

In cerca del frammento mancante.

Anche a costo di perdere tutto il resto.

Nondimeno, è buona cosa che laddove umane esistenze decidano di inseguire orizzonti comuni, che sia repubblica l’insieme prescelto, come perfino combriccola o anche manipolo, ciò che conta è che almeno uno di quegli orizzonti sia ogni giorno più vicino.

Altrimenti è asfalto sprecato, quello della strada.

E per quanto non ve ne sia più traccia sulla via, qualcuno ha speso sangue e sogni per disegnare quest’ultima.

Eppure, quella repubblica era ferma.

Perché era ferma sempre sullo stesso giorno.

Le ore si guardavano tra di loro perplesse.

I minuti cadevano dalle nuvole.

E i secondi… be’, se non sanno nulla le ore e i minuti che vuoi che ne sappiano gli ultimi della fila?

Mistero dei misteri, l’indomani era un miraggio.

Se ne parlava, in realtà, tavole rotonde o di ogni forma plausibile, le mani scriventi correvano sui tasti e le lingue veloci disquisivano, ma nessuna luce veniva avvistata oltre l’ostacolo.

Notte, sì.

Tramonto e imbrunire, tutto secondo copione.

Ma il giorno seguente era qualcosa che solo i narratori di fiabe osavano sfiorare.

Con l’apparentemente innocua illusione delle parole leggere.

Certo, non era giornata comune, la casella sulla quale gli abitanti erano rimasti intrappolati, come in un gigantesco gioco dell’oca.

Fermi un giro, anzi, un giorno, la condanna.

Finché quel giorno durerà, la classica avvertenza scritta in piccolo.

Un dì meraviglioso.

Il primo di possibilmente molti altri.

Il giorno in cui fiumi di speranze e ambizioni, racconti condivisi e sentimenti alimentati da altrettanti sentimenti e racconti, tutta la vita che vorrai lasciare ai posteri, sono nuovamente tuoi.

Liberi.

Parole dal suono gradevole, è indubbio, per cuori sani al netto di accettabili contraddizioni dell’umano convivere.

Tuttavia, la repubblica era ancora ferma.

Su quel giorno.

Perché se in qualsiasi istante di quest’ultimo qualcuno si sentisse in diritto non solo di torturare le conquiste altrui, ma addirittura di esclamare con ottusità travestita da orgoglio di essere uno dei vili colpevoli e di esser pronto a rifarlo mille e mille volte…

Be’, vuol dire che quel giorno non è ancora terminato.

Che l’alba non è ancora giunta.

E che c’è ancora tanto.

Da lottare.