http://comune-info.net/ 1 gennaio 2016
L’anno nuovo e l’orecchio acerbo di Gianni Rodari
Forse per indovinare i colori che inizia a spargere il 2016 servirebbe un orecchio acerbo che può sentire la voce delle nuvole, dei sassi e dei ruscelli. Niente è più bello che leggere il futuro nelle filastrocche
In una delle sue poesie più amate, Gianni Rodari lo dice con la consueta favolosa semplicità: c’è una scuola grande come il mondo, ci insegnano maestri e professori ma anche avvocati, muratori, giornali, cartelli stradali, temporali, stelle. Di imparare, in quelle stanze oceaniche, non si finisce mai. Magari anche la Fantastica (di Novalis ma tanto cara a Rodari), sì più o meno l’immaginazione creativa, o l’arte di inventare il racconto di quel che potrebbe già esistere ma non esiste (o noi non ri-conosciamo) ancora. Insomma i mondi nuovi, come diciamo spesso su queste pagine. Però bisogna saper imparare ad ascoltare, ci vuole un certo orecchio. Forse è proprio di una nuova grammatica della fantasia “rodariana” che avremmo bisogno per cominciare a sfogliare le pagine dell’anno che comincia oggi, tenendo bene a mente che quel che ci opprime, come quel che ci libera, dipende da noi.
L’anno nuovo
Indovinami, indovino, tu che leggi nel destino: l’anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà e metà? Trovo stampato nei miei che avrà di certo quattro stagioni, dodici mesi, ciascuno al suo posto, un carnevale e un ferragosto, e il giorno dopo il lunedì sarà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo nel destino dell’anno nuovo: per il resto anche quest’anno sarà come gli uomini lo faranno.
Il Dittatore
Un punto piccoletto, superbioso e iracondo “dopo di me – gridava - verrà la fine del mondo!” Le parole protestarono: “Ma che grilli hai pel capo? Si crede un Punto – e – basta, e non è che un Punto – e – a – capo”. Tutto solo a mezza pagina lo piantarono in asso, e il mondo continuò una riga più in basso.
Un signore maturo con un orecchio acerbo
Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo vidi salire un uomo con un orecchio acerbo. Non era tanto giovane, anzi era maturato tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato. Cambiai subito posto per essergli vicino e potermi studiare il fenomeno per benino. Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età di quell’orecchio verde che cosa se ne fa? Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio. È un orecchio bambino, mi serve per capire le voci che i grandi non stanno mai a sentire. Ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli, le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli. Capisco anche i bambini quando dicono cose che a un orecchio maturo sembrano misteriose. Così disse il signore con un orecchio acerbo quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.
(Un signore maturo con un orecchio acerbo in Parole per giocare, Manzuoli, Firenze, 1979)
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