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26 novembre 2015

 

La guerra non vuole voci fuori dal coro

di Alessio Di Florio

 

Nel 1915 l’Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale. Dopo i terribili attentati di Parigi c’è chi vede lo scivolare verso un altro conflitto. La storia di “Gorizia” ci ricorda la disumanità della Grande Guerra e di tutte le carneficine degli ultimi cento anni.

 

 “Siamo in guerra”. È una delle frasi che più vengono gridate e ripetute dalla destra politica e giornalistica dopo gli attentati di Parigi. La chiamata alle armi e i retorici richiami nazionalisti puntano a travolgere tutto e tutti. Si è arrivati persino a un quotidiano che, riferendosi a Valeria Solinas, ha scritto in prima pagina che chi non si arruola nella guerra contro l’Islam e l’immigrazione non è degno di piangerla. E quindi ad Emergency, dove Valeria Solinas ha prestato volontariato e nei cui ideali si riconosceva, sarebbe “proibito” piangerla.

Retorica, nazionalismo, evocazione dei nemici della libertà e della Patria. Li vediamo sbandierati quest’anno, dopo i fatti di Parigi ma, in realtà, in questo periodo li sentiamo sbandierati ogni anno. Siamo a Novembre, il mese che contempla la ricorrenza della fine della Prima Guerra Mondiale. Sono passati cento anni, ma ancora una volta c’è una corsa agli armamenti, ancora una volta gli arsenali vengono riempiti e si proclamano guerre e sono perfettamente all’opera nazionalismi di ogni latitudine. La Rete Italiana per il Disarmo, e diverse inchieste giornalistiche, anche di recente stanno documentando e rilanciando l’accusa a vari stati occidentali e alla Turchia di finanziare e armare lo stesso Stato Islamico. L’accusa principale alla Turchia è di permettere all’IS di agire indisturbato e di, col pretesto della “guerra al terrorismo” bombardare e colpire i curdi (cioè, gli unici che stanno realmente sul terreno combattendo, anche vincendo, la guerra al “califfato islamico”). Per quanto riguarda l’Italia, i riflettori sono rivolti principalmente all’esportazione di armi verso le petromonarchie del Golfo Persico, da dove giungono all’IS.

Sono vari, purtroppo, i parallelismi possibili sulla “Guerra al terrore”, che tanto sta scatenando la destra italica, e ricorrenza della Prima Guerra Mondiale. Quattordici anni dopo l’attentato delle Torri Gemelle e le varie guerre scatenate da Bush, e dai suoi successori, la “Guerra al terrore” si svela sempre più in un totale e disumano fallimento sotto ogni punto di vista. Ma, dopo i tragici fatti di Parigi, la retorica e la “chiamata alle armi” travolgono ogni ragionamento e realtà. Esattamente come accade con la celebrazione di una vittoria smentita da ogni libro di Storia. Il 4 novembre l’Italia celebra trionfi militari che non sono mai avvenuti, come hanno ricordato anche quest’anno il Centro di Ricerca per la Pace e i diritti umani di Viterbo, il Movimento Nonviolento, l’Associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink nel tradizionale appello a disertare le celebrazioni ufficiali di una giornata che dovrebbe essere di lutto e non di festa. Eppure vediamo nelle strade e nelle piazze un trionfo di tricolori, autorità, forze armate e retorica nazionalista. Un trionfo così travolgente che capita sempre più spesso si faccia riferimento alla Seconda Guerra Mondiale, e non alla Prima, senza che nessuno batta ciglio. Prima o Seconda purché la fanfara possa dispiegarsi. Per i quattro sodalizi il 4 novembre deve diventare il giorno in cui “nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l’impegno affinchè non ci siano mai più guerre, mai più uccisioni, mai più persecuzioni”. “Oggi prevale una netta disapprovazione di una guerra che – come sostenne Giolitti – poteva essere evitata portando all’Italia Trento e Trieste mediante una neutralità concordata con l’Austria” scrivono, evidenziando come la prima guerra mondiale costò solo all’Italia “650 mila morti e un milione di mutilati e feriti, molti di piu’ di quanti erano gli abitanti di Trento e Trieste”.

A Carrara la mamma di un bambino, la cui scuola stava partecipando alla cerimonia ufficiale, ha ripudiato la retorica trionfale in piazza e ha espresso il suo dissenso. Mentre i discorsi delle autorità proseguivano, Soledad Nicolazzi ha iniziato ad intonare il tradizionale canto anarchico “Gorizia”. Immediatamente è stata allontanata da polizia e carabinieri che in massa le hanno impedito di far sentire ai presenti in piazza le strofe della canzone. L’Istituto Ernesto De Martino su facebook ha riportato la notizia che, in solidarietà a Soledad Nicolazzi, il 12 dicembre è convocata una manifestazione a Carrara nella quale si invita a cantare collettivamente “Gorizia”.

 

“Gorizia” è un canto storico della tradizione pacifista, anarchica e antimilitarista italiana ed è tra le voci più forti di denuncia della “inutile strage”. Fu cantata per la prima volta dai fanti che entrarono in città dopo la battaglia dell’agosto 1916 che lasciò sul campo oltre 50.000 morti. Rappresentava il grido di dolore di chi sentiva che “dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu”, arrivando a definire maledetta la città nella quale morivano e scagliandosi contro i “traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta, e rovina della gioventù”. Gorizia fu cantata durante il festival di Spoleto il 21 giugno 1964 da Michele Straniero (che sostituì Sandra Mantovani), che per questo fu denunciato per “vilipendio alle forze armate”, e scatenò contestazioni in sala durante lo spettacolo e minacce e intimidazioni neofasciste di replica in replica fino ad arrivare a rischiare attentati dinamitardi, mentre il direttore artistico del Festival e sponsor dello spettacolo Nanni Ricordi arrivò a rassegnare le dimissioni. Insieme ad altri storici canti popolari e libertari, “Gorizia” fu presentato al Festival di Spoleto nell’ambito dello spettacolo “Bella Ciao” di Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, il Gruppo di Piadena, Ivan Della Mea, Michele L. Straniero, Sandra Mantovani, considerati i pionieri del folk italiano. Per festeggiare i cinquantanni anni dello spettacolo, e per riviverne la forza e la lezione democratica e libertaria, Alessio Lega, Riccardo Tesi, Ginevra Di Marco, Elena Ledda, Lucilla Galeazzi, Andrea Salvadori e Gigi Biolcati hanno riarrangiato e riedito il disco.

 

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