http://antoniomoscato.altervista.org/i http://www.agoravox.it/ venerdì 10 aprile 2015
Da Genova a Charleston, le prove si costruiscono di Antonio Moscato
La tardiva e blanda “condanna” dell’Italia da parte della corte europea di Strasburgo per la “macelleria messicana” della scuola Diaz ha suscitato le solite polemiche, e ha visto la destra (anche quella ben presente nel governo, dove non a caso ha proprio il ministero degli Interni) preoccuparsi di non irritare le varie polizie, che considerano essenziale veder garantita l’impunità di coloro che hanno commesso delitti nell’esercizio delle loro funzioni. E che tranne rare eccezioni si sentono rappresentati da Sallusti che sul Giornale” ha scritto addirittura "Ora torturano i poliziotti". D’altra parte non è mai cessata la campagna per la liberazione dei due marò assassini, condotta occultando al 95% dell’opinione pubblica le prove che hanno portato alla loro detenzione in India. La quasi totalità dei giornalisti ha ignorato prima gli articoli e poi il libro di Matteo Miavaldi, I due Marò. Tutto quello che non vi hanno detto, pubblicato tempestivamente dalle edizioni Alegre, e hanno continuato i piagnistei sulle “vittime innocenti di una giustizia barbara”. E una delegazione unitaria di parlamentari di ogni partito si è recata in India solo per dimostrare l’impegno a difendere qualsiasi militare dalla giustizia di un altro paese, impegno necessario visto che “i nostri ragazzi” vengono inviati sempre più spesso, a mano armata, a far guai in paesi di cui non sanno nulla. Non so però se la definizione di tortura sia la più efficace per descrivere quel che accadde a Genova (ed era accaduto pochi mesi prima a Napoli). Va bene indubbiamente per descrivere le violenze a ragazzi inermi nella scuola e poi nella caserma di Bolzaneto, ma non per l’insieme delle operazioni condotte attaccando cortei autorizzati e concordati in cui c’erano intere famiglie con bambini e in cui la quasi totalità dei giovani non avevano nessuna esperienza di scontri di piazza perché quasi da un quarto di secolo non ce n’erano stati, e l’idea stessa di un servizio d’ordine difensivo dei cortei era stata messa al bando dalle sinistre in via di addomesticamento, ed equiparata alla violenza gratuita delle P38 degli anni di piombo. Non a caso quei greci che erano riusciti ad arrivare a Genova e non erano stati ricaricati a forza nei traghetti, se la cavavano un po’ meglio della maggior parte degli italiani. Avevano una certa esperienza… Fin dal primo momento io, che avevo ancora un netto ricordo della violenza poliziesca degli anni che avevano preceduto il ’68, mi ero preoccupato vedendo il panico dei manifestanti pacifici di fronte a cariche feroci e immotivate. Avevo capito subito che quando a fare da innesco e da pretesto per le cariche non c’era né un “Black” vero, né un “disobbediente” delle tute bianche (pacifiche nella pratica e scioccamente velleitarie nelle dichiarazioni di “guerra al G8”, senza neppure immaginare le possibili conseguenze di quelle sbruffonate), comparivano facce patibolari camuffate da estremisti, che poi si ritiravano impunemente dietro i blindati della polizia o scomparivano momentaneamente dietro le linee dei carabinieri. Uno di quelli tirava un sasso, ma i lacrimogeni lo ignoravano e puntavano invece a pioggia sui cortei pacifici. La mia paura era che l’imbottigliamento dei cortei in strade inadeguate, per confluire poi in una piazza senza altre vie d’uscita aperte, poteva provocare una strage da panico. Sarebbe bastato un petardo per provocarla. Tutto in quei giorni puzzava di prova di un colpo di Stato; c’era la sospensione di ogni diritto stabilito dalle leggi: a partire dalla vicenda dei compagni greci (compreso Tsipras, ora sappiamo) costretti a reimbarcarsi a manganellate, agli attacchi alle tute bianche che avevano creduto di potersi fidare della parola di un questore per concordare un itinerario, allo spudorato tentativo di precostituire un pretesto per un attacco punitivo portando le bottiglie molotov nella scuola dormitorio. Ma non è una specificità italiana. Di casi analoghi ne conosco molti in vari paesi. Oggi, ad esempio, ne abbiamo visto uno a Charleston, nel South Carolina; un robusto poliziotto bianco ha sparato senza motivo a un nero fermato perché aveva la luce di posizione rotta (e per questo forse stava tentando di andare a un negozio di ricambi per auto), e poi lo ha ammanettato post mortem, mettendogli sotto il corpo la sua taser (pistola elettrica) per simulare una colluttazione. Lo abbiamo saputo grazie alla proliferazione di cellulari con poderose videocamere, altrimenti il vecchio trucco avrebbe funzionato, e l’ucciso sarebbe stato anche calunniato presentandolo come aggressore e violento. Quanti casi ci sono stati! Ricordiamo l’impegno di autorevoli ufficiali dei carabinieri (in collusione con la mafia) per coprire l’assassinio di Peppino Impastato presentandolo come un terrorista dinamitardo. Ho già ricordato di aver conosciuto in Puglia vecchi compagni braccianti che in età giolittiana, ottenuto il diritto di voto, avevano però dovuto difendersi dal tentativo dei regi carabinieri di arrestarli mettendo loro un coltello in tasca mentre arrivavano per votare (e in alcuni paesi del nord della provincia di Bari e del foggiano per questo si cucivano le tasche, in un altro i capilega si presentarono a votare indossando i soli mutandoni, che non avevano tasche…). L’impunità di cui le “forze dell’ordine” godono per i bassi servizi che rendono al potere non è un caso eccezionale: i funzionari condannati e prosciolti poi per prescrizione per la mattanza di Genova, sono stati tutti promossi variamente, e il peggiore di loro, Gianni De Gennaro, è stato messo dal governo Letta alla testa della potente multinazionale degli armamenti, la Finmeccanica. Non mi soffermo sui casi ripetuti di poliziotti o carabinieri scoperti in attività illegali, o di alti e altissimi ufficiali della Guardia di Finanza coinvolti in operazioni di corruzione che avrebbero dovuto sventare. Per forza che poi è difficile per un finanziere di basso livello e quindi mal pagato resistere alle tentazioni, a partire da quella di avvertire l’imprenditore a cui deve far visita… Ma il peggio è la confusione che regna nella sinistra cosiddetta radicale. Negli ultimi anni in cui ho militato nel PRC avevo scoperto che in Puglia (ma non solo) c’erano segretari di circolo che avevano fatto per tutta la vita i poliziotti o i carabinieri, e avevo capito quindi perché dei giovani compagni e compagne facessero concorsi per entrare in polizia. E non riuscivo a far capire loro il mio dissenso. Sarebbe necessario che la sinistra ricominciasse a riflettere sulla società in cui viviamo: i corpi di polizia non sono neutrali, non sono al di sopra delle parti, ma sono il baluardo della conservazione, e sono sempre disponibili per ogni operazione autoritaria. Sembra poco, ma sarebbe indispensabile per ricostruire una vera sinistra, in grado anche di vigilare su possibili tentativi di ulteriori svolte autoritarie. A cui sembrano pensare in molti, che per questo hanno bisogno di assicurare l’impunità a chi se ne fa complice. |