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Lunedì 13 Aprile 2015

 

Tempi pericolosi ci attendono

di Alain Badiou e Stathis Kouvelakis

 

Il giornalista francese Aude Lancelin e il filosofo politico Alain Badiou si sono incontrati col membro del comitato centrale di Syriza e collaboratore di Jacobin, Stathis Kouvelakis. La loro discussione si concentra sui difficili negoziati tra la Banca centrale europea (BCE) e la Grecia, ma anche sulle radici storiche di Syriza e sulle scelte che il partito ora deve affrontare.

E’ un lungo scambio che val la pena di leggere per intero, specialmente alla luce delle notizie di ieri che la Grecia sta elaborando dei piani di nazionalizzazione del sistema bancario del paese e intende introdurre una moneta parallela.

Aude Lancelin: Son passate poco più di otto settimane da quando in Grecia è arrivata la speranza, con l’elezione di Syriza, una formazione della sinistra radicale decisa a rompere con le politiche di austerità dell’Europa.

Oggi, sembra che sia in atto una prova di forza quanto mai impari, con la troika che riafferma la sua autorità (anche se con un nuovo eufemistico nome) e il governo greco che deve destreggiarsi tra una terribile crisi di liquidità (che Stathis sta per raccontarci ), e con delle prospettive future che ora sembrano davvero molto difficili.

Quindi una prima domanda per Stathis: possiamo dire che Alexis Tsipras e Syriza in generale siano stati troppo ottimisti sulla pressione che pensavano di poter esercitare sulle istituzioni europee – a cominciare dalla Banca centrale europea, che è stata la prima a colpire dopo l’elezione di Tsipras?

Stathis Kouvelakis: Penso che Syriza – la sua leadership, e anche i suoi attivisti – sapevano che non sarebbe stata una passeggiata nel parco. Penso che quello che è successo era in gran parte prevedibile – e io non sono l’unico a pensarlo.

L’elezione di Syriza ha provocato un attacco collettivo da parte delle istituzioni europee, e la BCE  è stata la prima a colpire. In effetti, dopo la decisione della BCE del 4 febbraio di chiudere il principale rubinetto di finanziamento delle banche greche, il governo greco è stato messo davvero con le spalle al muro nelle discussioni con i suoi cosiddetti partner europei. (Non potrei pensare ad un termine meno appropriato, dato che in realtà sono i suoi nemici, nemici risoluti ed estremamente determinati a sconfiggerlo).

Così ha dovuto far fronte a questa situazione molto difficile, e quando finalmente ha firmato l’accordo del 20 febbraio, aveva di fronte la prospettiva che le banche non sarebbero state in grado di aprire la settimana successiva. Dall’inizio della campagna elettorale, ci sono stati continui prelievi di liquidità, e l’inizio di una crisi bancaria, che è accelerata con la decisione della BCE.

Questo è un problema classico: tutti i governi di sinistra al mondo che erano decisi a cambiare le cose, hanno finito per trovarsi di fronte a questo tipo di ostacoli. Al centro della questione, c’è la decisione di Syriza, o della sua leadership, di rompere con l’austerità nel quadro delle istituzioni europee, e, più in particolare, all’interno delle condizioni della zona euro. Questa era la base sulla quale Syriza è stata eletta, e questa è stata la sua linea, in particolare nel corso degli ultimi tre anni.

Ora possiamo dire che abbiamo visto i limiti di questa strategia. Abbiamo visto che queste istituzioni europee non sono ricettive a questo tipo di argomentazione politica o democratica, secondo la quale “siamo un governo eletto con un mandato da svolgere, e tu sei la nostra banca centrale, e ci si può aspettare che tu faccia il tuo lavoro e noi facciamo quello per cui siamo stati eletti.

Non è affatto di questo che si tratta. Queste istituzioni esistono per imporre delle politiche neoliberiste estremamente dure, per imporre la supervisione della troika su interi paesi. E questo è esattamente quello che hanno fatto, costringendo il governo greco a ritrattare – in maniera molto grave – nell’accordo del 20 febbraio. E infatti la troika ha fatto la sua ricomparsa, ribattezzata come “le istituzioni”, e in questo momento le squadre di esperti della troika sono ad Atene ad indagare sui conti della Grecia.

Cosa c’è di nuovo, però, rispetto a prima, è che c’è stato effettivamente un braccio di ferro – ed è ancora in corso. Syriza è stata costretta a ritrattare – e in realtà, entro le condizioni di questa strategia, semplicemente non aveva altra scelta. “Nell’ambito di questa strategia,” sia chiaro.

Ora la Commissione europea ha anche cercato di ordinare al governo greco di non far passare due disegni di legge che sono attualmente in discussione nel Parlamento greco: uno sulle cosiddette misure umanitarie, per affrontare una situazione di emergenza e soddisfare alcune necessità urgenti di base; il secondo, riguardante le persone che sono in arretrato nel pagamento delle imposte.

E il governo ha deciso di andare avanti. Quindi in ultima analisi, questo è ciò che c’è di diverso in Syriza: che c’è davvero un confronto in corso. C’è stata una ritirata – dobbiamo essere chiari su questo – ma il confronto non è ancora finito, e sarà particolarmente combattuto nei prossimi mesi, durante l’estate, che sarà decisiva. E dobbiamo riflettere, e mettere in atto un approccio alternativo al fine di evitare il ripetersi di quanto è successo nel mese di febbraio.

AL: Alain Badiou, sei sorpreso di questa evoluzione degli eventi?

Alain Badiou: Devo dire fin dall’inizio che, in questo tipo di situazione, io non voglio apparire come una sorta di sapientone – lo scettico che riesce a vedere tutto in anticipo. Odio questo tipo di atteggiamento. Dopo tutto, qui ci troviamo in un territorio inesplorato, e quando si sta affrontando qualcosa di nuovo, per definizione, è necessario guardare a come si sviluppa, i suoi toni, le contraddizioni che solleva.

Ma questa è la domanda che voglio porre a Stathis: il progetto di Syriza è quello di una rottura con le vecchie politiche – e non solo, una rottura con le politiche dominanti in Europa, e in effetti nel mondo intero. Ciò significa affermare una forte singolarità.

Quindi mi sembra che possiamo attualmente vedere una contraddizione tra la novità di questo progetto e il metodo politico utilizzato per realizzarla. Il suo metodo attuale è un classico: occupare le leve del potere attraverso una legittimazione costituzionale/elettorale, e poi procedendo a manovre e trattative con i “partner” – o come fai giustamente notare, i nemici – sperando che tutto questo possa portare a una risoluzione effettiva della situazione.

Ma, come dici tu, i nemici non stanno giocando a quel gioco: non è questo il loro approccio. Ed è una cosa molto importante da capire che. E allora come pensi che Syriza, le forze politiche in Grecia, e in ultima analisi, il popolo greco nel suo complesso, possano relazionarsi con questa situazione in un modo diverso da quello di prima?

SK: Classico? Be’, sì e no. Se esaminiamo l’attuale serie di eventi in Grecia, e con questo intendo gli ultimi cinque anni, possiamo vedere che alcuni aspetti sono molto classici, altri molto meno.

Quel che è meno classico in questo senso è il fatto che Syriza non sarebbe mai arrivato al potere – essendo stato un piccolo partito, fino a pochi anni fa – senza le mobilitazioni popolari e i movimenti sociali sorti in Grecia negli ultimi anni, che sono senza dubbio di una  portata maggiore di qualsiasi altra cosa che abbiamo visto in Europa dagli anni ’70. E non è un caso che l’altro paese in Europa che ha avuto mobilitazioni simili – che sono davvero innovative sotto vari aspetti, con l’occupazione di piazze, per non dimenticare le decine di giorni di scioperi generali in Grecia – è la Spagna, che ha anch’essa il suo fenomeno Podemos.

Quindi c’è una interazione tra mobilitazioni popolari e processi politici, che sono anche espressi a livello elettorale, e io credo che sia assolutamente fondamentale. Ed è qualcosa di nuovo in Europa: abbiamo visto qualcosa di simile in America Latina negli ultimi tempi – e anche prima in Cile, con la Unità Popolare di Salvador Allende – ma anche più di recente, per esempio, con l’avvento al potere di Evo Morales in Bolivia.

Ma in ogni caso, penso che sia certamente un fenomeno nuovo in questo continente, o almeno in Europa nel ciclo storico in cui ci troviamo. Quindi, l’elezione di Syriza è il prodotto di tale mobilitazione, ma i tempi del ciclo attuale, i tempi sociali e i tempi del processo politico, non sono sincronizzati – che sarebbe chiedere troppo. Ed è per questo che sono necessarie politiche e strategie.

Né i tempi sono sincronizzati a livello europeo, e questo è qualcosa che dobbiamo riconoscere. Non ci sarà alcuna soluzione miracolosa che emerga spontaneamente dal basso e sia abbastanza potente da rovesciare l’intero equilibrio di forze in un colpo solo; è più complicato di così.

Ma il fatto che Syriza sia stata in grado di andare tanto avanti grazie al movimento popolare ci permette anche di dire che il suo arrivo al potere rende possibile una nuova fase di mobilitazioni popolari. E ne abbiamo visto tante nelle settimane dopo la sua elezione.

Poi è successo qualcosa di eccezionale, che [il primo ministro] Alexis Tsipras stesso ha sottolineato nella presentazione del suo programma politico generale proprio all’inizio di febbraio. Ha terminato il suo discorso facendo un appello ad una mobilitazione del popolo greco, a scendere in strada, e nelle piazze. Ha chiesto loro di sostenere la costituzione, invocando il suo ultimo articolo, che è simile a quello della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo del 1793, che specifica che la costituzione risiede nel popolo e nel suo patriottismo, nel suo diritto a ribellarsi.

E infatti abbiamo visto un qualcosa che secondo me è senza precedenti per gli standard europei, con decine di migliaia di persone che sono scese in piazza ad Atene , sia per sostenere il governo greco in questo confronto con l’Unione europea, ma anche per fargli pressione. E che ha continuato ad andare avanti fino al 20 febbraio.

Questo movimento si è diffuso anche a livello europeo: 15 febbraio c’è stata una giornata di mobilitazione a livello europeo a sostegno del popolo greco. In diverse città migliaia o addirittura decine di migliaia di persone sono scese in piazza per dimostrare, per esempio a Parigi, ma anche a Roma, e anche in altre città. In questo ultimo periodo abbiamo visto la speranza di cui hai parlato, che  si è anche tradotta in azione.

AL: Vuoi dire che la forza del sostegno popolare a Syriza in Grecia ha tenuto, anche se alcune delle sue promesse elettorali sembrano essere state sospese?

SK: Il sostegno popolare è ancora molto forte, e in effetti va molto oltre l’elettorato di Syriza. E proprio come nel 2011, la gente che si è mobilitata nelle manifestazioni va ben oltre gli abituali frequentatori delle marce di protesta, va anche oltre la stessa base di Syriza.

Allo stesso tempo, fatto ancora più importante, la società greca in generale sta acquistando consapevolezza delle difficoltà che si trova davanti. Non può più essere imbrogliata con le varie ricostruzioni semplicistiche di quello che è successo. Sa che la situazione è molto difficile e che c’è una enorme pressione e che i rapporti di forza sono fortemente sbilanciati.

Così ora siamo arrivati ad un punto diverso, ma penso che dobbiamo ristabilire le condizioni per mandare avanti proprio questa interazione – tra movimenti, mobilitazioni popolari, e le battaglie che seguiranno a livello istituzionale in Europa e a livello internazionale.

AB: Sono assolutamente d’accordo con quello che hai appena detto, e che va veramente al cuore della mia domanda. Che verte sul fatto se questa novità politica – e la politica, come stiamo dicendo, non riguarda solo l’esistenza e le azioni dello stato, ma anche l’interazione tra i movimenti popolari e lo stato – stia giocando in un modo nuovo e inedito.

Sono ben consapevole che la situazione greca ha tutta una serie di interessanti e significative caratteristiche, anche senza precedenti, da quel punto di vista – assolutamente. E anche per un periodo di diversi anni: possiamo ricordare le insurrezioni del 2008, ecc. Così la storia della Grecia è una storia di movimenti popolari, di rivolte, con le persone che scendono in piazza da un certo numero di anni, è vero, sono totalmente d’accordo. Syriza – e Podemos, che operano ciascuna secondo il proprio registro – sono un prodotto di questa singolarità di questi ultimi anni, non solo per quanto riguarda la politica classica, ma anche in termini di “inventare” la politica. . .

La domanda che mi preoccupa, potrei dire, forse motivata dal risultato finale del governo Mitterrand, è la seguente: quando Mitterrand fu eletto, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per celebrare la sua vittoria.

Ma subito abbiamo visto emergere un tipo di azione di governo che ben presto ha abbandonato tutto, ritirandosi a poco a poco nel modo tradizionale di funzionare dell’ordine statale, cedendo agli imperativi delle circostanze. E che ha spezzato questo movimento. Tutto ciò è accaduto in circa due anni. Ora con Syriza non siamo ancora a due anni, ma sono piuttosto ossessionato da questa immagine. E veramente mi auguro, e molto, che questa volta non succeda di nuovo quello che è successo allora.

Hai scritto in uno dei tuoi pezzi che il pericolo è che se la mobilitazione popolare non è in grado di controllare le azioni dello stato, tramite la mediazione dell’organizzazione che questo movimento ha creato o reso possibile, le istituzioni statali riprenderanno tutto il controllo.

Mi ha colpito molto, nel periodo Mitterrand, la velocità con la quale abbiamo visto questo tipo di “statizzazione”. In particolare quando si è trattato di politica economica e finanziaria : ricordate, Mitterand aveva un grande ambizioso programma di nazionalizzazione di parti centrali dell’economia francese, la maggior parte delle banche, ecc – e in effetti lo ha anche fatto.

Ma nonostante tutto questo, credo che nel lungo periodo un metodo politico, un modo di fare politica, sia del tutto determinante, e questo è il motivo per cui ti chiedo se Syriza esprima veramente un nuovo tipo di di relazione – una novità per l’Europa degli ultimi tempi, almeno – tra i processi statali e i movimenti popolari. Per me questo è il cuore della questione.

AL: Ciò nonostante, i leader di Syriza sono molto diversi da Mitterrand: Tsipras proviene da una sinistra radicale, o addirittura comunista, mentre la colorazione politica di Mitterrand, come politico di lunga data, alla fine della sua carriera era molto più sfumata.

AB: Era meno chiara, sì, ma tuttavia i comunisti erano al governo, e i suoi obiettivi dichiarati erano molto più radicali di quelli di Syriza oggi. Per il momento, il suo programma politico è soprattutto negativo – “no all’austerità”, “un altro modo è possibile”, ma i suoi contorni non sono molto specifici. . . non fa nessuna sfida esplicita alla proprietà privata, anche se questo è il cuore della tradizione comunista.

Ma io non sono preoccupato per questo, capisco perfettamente che la questione del suo programma immediato deve inizialmente essere dimostrato attraverso le sue prime decisioni di governo. Ciò che mi interessa nel nuovo scenario è proprio la possibilità di una nuova dialettica tra il movimento popolare e le azioni dello Stato, che è il motivo per cui ho fatto una domanda su questo, che è la cosa nuova e diversa. La leadership di Syriza è costituita da un nuovo tipi di organizzazione, ma ritorniamo alla domanda se il suo modo di gestire lo stato sia veramente nuovo.

SK: Sono d’accordo con quello che Alain Badiou ha appena detto. Solo una parola sul programma: credo che il radicalismo di un programma sia meglio misurato se rapportato alle circostanze, e non in astratto.

AB: Giusto.

SK: E nella congiuntura attuale, anche delle richieste molto modeste o moderate prendono quella che non vorrei nemmeno chiamare una dimensione rivoluzionaria. Come possiamo vedere, oggi chiedere la cancellazione del debito è tracciare una linea di demarcazione nitida, che scompagina le forze nemiche. E questo nemico sa anche dove sta ora la linea di demarcazione, il punto cruciale del conflitto.

Dobbiamo sconfiggere le politiche neoliberiste, e l’esempio greco mostra che i movimenti e le mobilitazioni sono la condizione indispensabile e il punto di partenza di questo processo, ma da sole non bastano. Dobbiamo prendere lo stato, ma senza essere totalmente presi dallo Stato. Questo è tutto il problema.

Ero in Francia per quasi tutto il periodo Mitterrand, e mi ha colpito il fatto che l’unico settore della società che si è mobilitato – anzi, quasi subito dopo la vittoria della sinistra nel 1981 – sono stati i lavoratori del settore automobilistico. E per la maggior parte, questi lavoratori erano immigrati.

AB: Che il governo ha attaccato in modo esplicito.

SK: Esattamente, è stato quando Pierre Mauroy [il primo ministro durante i primi tre anni della presidenza Mitterrand] fece delle dichiarazioni in cui affermava che questi scioperi erano manipolati dall’Iran, dagli islamisti, etc.

AB: E’ stato un episodio di importanza cruciale.

SK: Sì, è stato di fondamentale importanza, soprattutto nel senso accennato da Badiou, la questione del metodo politico. Se un governo rende chiaro che una parte della propria base – anzi, una parte particolarmente emblematica – è vista come il nemico, e che ritiene che una tale mobilitazione sia una minaccia, allora il processo sta chiaramente andando nella direzione sbagliata.

L’altro importante livello in cui il governo Mitterrand è fallito, è stato quello europeo. La scelta allora era se uscire da ciò che è stato poi chiamato il Sistema monetario europeo – cioè, continuare con una politica di intervento statale attivo, nella direzione tracciata dalle nazionalizzazioni e dando uno stimolo all’economia – oppure rimanere nel quadro europeo e fare una svolta neoliberista.

Ed è andato per la seconda opzione. Tutto considerato, le opzioni di Syriza oggi non sono poi così diverse. O intraprende un percorso di rottura con il quadro europeo – e i contorni di quella mossa sono tutti da esplorare, e questa oggi è la sfida principale per le forze sociali politiche della Grecia – o altrimenti dovrà cedere, e questa sarebbe una sconfitta molto pesante, con conseguenze potenzialmente disastrose. Non solo per la Grecia, ma anche per tutta la lotta politica in corso in Europa in questo momento.

AL: Veramente, volevo parlare dell’euro, a cui hai appena fatto riferimento. Alcuni osservatori vorrebbero farci credere che Tsipras voleva utilizzare questi quattro mesi – cioè, prima del prossimo ciclo di negoziati nel mese di giugno – proprio per preparare in segreto il terreno per uscire dall’euro. O perlomeno si sentono alcuni che lo sostengono.

Tu sai cosa sta accadendo all’interno di Syriza. Quindi, qual’è esattamente l’equilibrio delle forze tra gli internazionalisti – in senso lato, quelli che si attaccano all’idea che una rottura con l’Europa sia impensabile – e quelli, te compreso, credo, che non sono d’accordo a rimanere nella zona euro a qualunque costo e a prescindere dalle conseguenze.

SK: Voglio solo esprimere una piccola obiezione a un termine che è stato utilizzato. Non posso accettare che venga detto che coloro che insistono sul rimanere all’interno della zona euro, compresi i compagni di Syriza che hanno quel tipo di posizione, siano internazionalisti, mentre il resto di noi non lo sono. Anche se io penso che questi compagni siano internazionalisti, e anche che loro stessi pensano questo di se stessi.

Personalmente mi sento di dire che la Banca centrale europea non ha nulla a che vedere con l’internazionalismo, non vedo la minima traccia di internazionalismo in Mario Draghi, e penso che l’internazionalismo sia dalla parte di coloro che ora si oppongono a Mario Draghi, alla sua politica, e a tutto ciò che incarna – compreso lui come persona, fisicamente.

Questa questione dell’euro è sempre stata oggetto di intensi dibattiti all’interno di Syriza. Ed è posta come segue: c’è questa visione che, dato che lasciare l’euro ci porterebbe in gravissimi problemi – e questo è vero ad esempio per il suo potenziale effetto sul potere di acquisto e sull’attività produttiva del paese – ci conviene cercar di combattere le nostre battaglie all’interno delle istituzioni esistenti. L’idea è quella di basarci sul sostegno dell’opinione pubblica e dei movimenti che sono là fuori, e combattere una battaglia che sfrutta le contraddizioni attuali in Europa. Ma ora abbiamo visto che questo non funziona.

I quattro mesi che abbiamo “conquistato” non sono quattro mesi di respiro. Il paese è ancora sotto pressione estrema e costante ricatto. In realtà, lo Stato greco è sull’orlo di non essere in grado di pagare i suoi conti, e affronta una serie continua di scadenze di rimborso del prestito – in nessun modo ha ottenuto di metter fine a questa macchina infernale del debito.

E’ del tutto possibile che il mese prossimo non sarà in grado di pagare i dipendenti pubblici e le pensioni, e si trovi di fronte a una situazione di insolvenza. Lo stesso vale per il sistema bancario greco, che è estremamente precario. Ma penso che la linea stia cambiando.

L’altro ieri Alexis Tsipras ha dato davvero un’intervista davvero degna di attenzione ad un giornale greco, che gli ha chiesto se avesse un piano alternativo in caso di una crisi di liquidità. Per citare quasi parola per parola, egli ha risposto: “Certo, abbiamo un piano alternativo. La Grecia non fa ricatti, ma nemmeno accettiamo ricatti da altri. Il paese ha un sacco di opzioni possibili; naturalmente non vogliamo raggiungere un tale impasse, ma. . . “

Ecco,  è qui che ci troviamo in questo momento, insomma. A mio parere, non c’è altra strada, e questo vale anche per i negoziati europei. Se il nemico – ed è un nemico – sa in anticipo che c’è una linea che non attraverseremo, naturalmente concentrerà tutta la sua pressione esattamente lì. E questo è esattamente quello che è successo, e continuerà fino al punto di assediare la Grecia e costringerla alla capitolazione.

Per le élite politiche europee e gli interessi economici che rappresentano, è fondamentale non solo costringere Syriza a una ritirata, ma anche umiliarla politicamente. Tale umiliazione politica sarebbe anche un colpo per Podemos e tutte le forze sociali e politiche in Europa che mettono in discussione le politiche di austerità: «Vedi che cosa è successo ai greci? Ecco cosa c’è in serbo per voi, se cercate di fare lo stesso “.

AL: Ma quanta parte di Syriza è disposta a una rottura? Per citare una tua intervista del mese di gennaio, prima delle elezioni penso, a Jacobin magazine, hai detto che per alcuni leader di Syriza “evitare la rottura dell’euro ad ogni costo funzionava quasi come una mitica garanzia di una prospettiva internazionalista e socialista.” E questo è quello che sta orientando la politica di Syriza al momento. Allora qual è il rapporto di forza tra queste tendenze – quante persone sono d’accordo con la vostra linea?

SK: E’ davvero difficile descrivere un equilibrio di forze, in una situazione così tesa, perché quello che abbiamo davvero è la fluidità. Quello che ho detto in questa intervista è che penso che nella situazione greca non c’è via di mezzo tra la rottura e la capitolazione.

Questo non è uno scenario che svolge in un istante, dura qualche tempo – ma c’è anche un limite su quanto si possa andare avanti, e secondo me tutto sarà risolto in un modo o nell’altro nei prossimi mesi, durante l’estate. Questo breve, intenso periodo vedrà la risoluzione di un sacco di problemi e contraddizioni, sia all’interno di Syriza che nella società greca in senso più ampio.

AB: Mi chiedo, però, se in realtà la scelta che hai presentato come possibile esito dello scenario attuale, del suo orizzonte futuro, di soddisfare tutto quello che la permanenza nell’euro richiede, e così far sapere al nemico che in un modo o nell’altro in ultima analisi capitolerete – così completamente, cedendo alle richieste del nemico su tutti i principi fondamentali – sia in realtà poco rappresentativa della situazione attuale.

Il problema di come il popolo greco riuscirà a risolvere la situazione attuale è molto più complesso e poco chiaro. Una cosa che mi ha colpito negli ultimi tempi è la posizione di  Giscard d’Estaing di sostegno all’uscita della Grecia dall’euro.

Non è un vostro amico, ma ha detto cose che chiunque potrebbe trovare ragionevoli, che la Grecia dovrebbe lasciare l’euro e tornare alla dracma, in modo da poter realizzare una forte svalutazione, e, in tale contesto, poco a poco ridurre il debito.

Così, anche uno come lui può dire che, tutto sommato, se la Grecia uscisse dall’euro sarebbe meglio per tutti gli interessati. . . senza dubbio ci sarebbero problemi in Grecia, ma non ci si deve preoccupare di questo, e, infine, potremmo vedere ciò che succede dopo aver svalutato la nuova valuta.

L’ho detto al fine di sottolineare che la tensione su questo problema è una questione di tattica, una questione congiunturale che riguarda il vostro rapporto con l’Europa – ma quale sarebbe la base popolare, programmatica e politica di una tale misura? Questa è una domanda che viene molto discussa in questo momento, anche nei suoi vari aspetti tecnici, se lasciare e svalutare o rimanere e insistere.

Quindi ti domando come vedi la fase successiva, o anche oltre – ciò che viene dopo questa battaglia in corso, anche se posso capire che questo solleva ogni sorta di tensioni sia all’interno che all’esterno della Grecia.

SK: Siamo in un momento di crisi. In un momento come questo non solo noi, ma anche l’avversario, esita tra diverse strategie differenti. Per il momento, però, la strategia dominante non è quella che hai citato, anche se esiste: anche parte dell’élite tedesca concorda con la posizione di Giscard, che sarebbe meglio per liberarsi dei greci, da alcuni punti di vista anche costi quel che costi.

Ma ciò che le forze dominanti in Europa ora vogliono davvero è di strangolare il paese. Vogliono mantenere la Grecia nella “gabbia di ferro” e costringere Syriza a fare ciò che tutti gli altri governi della sinistra in Europa hanno finito per fare. Vogliono mostrare che Syriza è come tutti gli altri, che è inevitabile, che non vi è altro modo. Questa è la loro vera strategia, dimostrare che Tsipras non è diverso da [il presidente francese] François Hollande, non è diverso da [l’ex primo ministro italiano] Romano Prodi, non è diverso da quello che abbiamo recentemente ottenuto dai social-democratici di sinistra in Europa.

Per quanto riguarda la questione della possibilità, c’è un’espressione utilizzata nel suo libro La rinascita della storia, che mi ha colpito, in cui si dice che non siamo nel momento del possibile, ma della “possibilità del possibile.”

E, onestamente, mi è venuta in mente la sera delle elezioni greche, perché uno dei miei amici di Syriza disse che il popolo non aveva davvero votato per la speranza, quanto per la speranza della speranza. Credo che siamo qui, in una fase in cui il nostro compito è uscire dalla camicia di forza. Ed è qui che la questione della possibilità sarà davvero essere posta, in carne ed ossa, se volete.

Vorrei anche toccare un altro dei temi che hai sollevato nei tuoi scritti. Come te, credo che abbiamo bisogno di un’idea, e che non c’è altra parola per questa idea, se non”comunismo”. Ma per me il comunismo non è solo un’idea, è anche, se vuoi, il movimento reale.

AB: Naturalmente.

SK: Quindi ci sono delle tensioni. E penso che la situazione greca, forse, ci permette di porre ancora una volta questa domanda. Non nei termini semplicistici e ingenui di immaginare che Syriza “sia” il comunismo – non lo sto dicendo affatto. Ma piuttosto, che la fase che stiamo attualmente vivendo, questa esperienza ed i vari elementi sottostanti, ci permettono di tornare a questa domanda, perché offre degli elementi per una risposta.

Non c’è una risposta pronta, ma degli elementi che ci permettono di lavorarci su, ancora una volta – tra cui un punto in particolare che hai lasciato da parte, vale a dire l’insediamento nello stato. E con questo non parlo tanto di elezioni – perché assumere il governo è qualcosa di molto differente dall’esercitare il potere dello Stato! Abbiamo bisogno di conquistare lo Stato, al fine di conseguire la vittoria, rompere la camicia di forza, e rompere con l’interiorizzazione della sconfitta.

Per un’intera fase la sinistra radicale ha sofferto di questo, ha interiorizzato la sua subalternità, e per superare questa situazione abbiamo bisogno di vittorie – non una, ma numerose vittorie. Quello che è successo in Grecia non è stata la vittoria, ma una vittoria, che punta in questa direzione.

AB: Sono assolutamente d’accordo. Io stesso ho sperimentato l’ascesa al potere di Syriza esattamente nel senso che hai descritto, come una vittoria che cambia chiaramente il regime delle possibilità oggi in Europa. Certo. Non ero tra quelli dei nostri amici che parlavano del voto a Hollande come di un’apertura di nuove possibilità, solo per scoprire alla fine che non era affatto così – questo l’avevo capito, almeno!

Per dirla in termini più schematici, in questa materia ci sono tre aspetti, non solo due. Ci sono gli obiettivi finali, c’è il movimento, e poi c’è il procedimento di presa dello stato. Naturalmente questo è possibile solo grazie al movimento, ma allo stesso tempo in realtà è eseguito o realizzato da attori politici organizzati chiaramente identificabili.

E in Grecia, Syriza rappresenta il nuovo modo in cui la politica è organizzata, in termini del rapporto tra i movimenti popolari e lo stato, un rapporto che si è trasformato. Questo è un modo più astratto di descrivere la situazione.

Quindi la mia domanda è che cosa pensi che ne sarà di questa dialettica, non solo in questo momento, ma anche in un prossimo futuro. Così posso vedere l’impegno di Syriza nello Stato, il principio che rappresenta, con il suo coinvolgimento nel processo elettorale – e se ne viene qualcosa di buono, benissimo! Poi posso vedere ciò che resta della pressione popolare e delle mobilitazioni popolari in Grecia. Questi movimenti, però, erano in declino prima delle elezioni. Non è che Syriza ha vinto le elezioni perché erano in crescita.

SK: Naturalmente.

AB: E’ così che di solito vanno le cose. In Francia, nel mese di giugno 1936, il grande movimento sociale è venuto dopo le elezioni, in Grecia è venuto prima, ma in nessuno dei due casi questi momenti erano sincronizzati. Ma in ogni caso, quello che non vedo chiaramente è il terzo aspetto, e mi riferisco essenzialmente a come gli altri due termini sono articolati con l’aspetto del movimento politico, che in ultima analisi significa Syriza – è il movimento politico, e svolge un ruolo molto importante.

Ho seguito quello che hai scritto molto da vicino, e mi sembra che Syriza sia in qualche modo fragile. Questo è qualcosa che mi ha veramente colpito. Con questo non mi riferisco solo alle origini disparate dei suoi componenti, ma alla fragilità derivante da quello che è probabilmente un accordo ancora di minima tra questi diversi elementi, un accordo che probabilmente non è all’altezza del compito di affrontare subito le condizioni dell’impegno del partito all’interno dello Stato.

Le condizioni, come hai giustamente detto, per prendere davvero il potere, per una vera presa in consegna dello stato. Così mi chiedo che cosa puoi dire sul rapporto tra questi tre aspetti, dal punto di vista di Syriza, per così dire.

SK: Penso che Syriza ci permette di fare qualche passo avanti per affrontare la questione della forma del partito.

Inoltre, esercitare il potere di governo porta in primo piano tutti i tipi di contraddizioni e problemi, non necessariamente quelli più ovvi. Ad esempio, si può vedere una forte tendenza che spinge gli elementi del partito che sono più impegnati nell’apparato statale diventare sempre più autonomi dagli schieramenti e anche dal partito, mentre gli altri elementi sono immersi nei movimenti sociali e nella pratica .

Così Syriza sta interiorizzando queste contraddizioni. Vedremo in che senso lo sviluppo della situazione permetterà a queste contraddizioni di risolversi, si spera in modo produttivo e senza il tipo di frammentazione e divisione tra fazioni che ha spesso colpito le organizzazioni della sinistra in passato. Anche se sappiamo che, naturalmente, ci saranno contraddizioni, scontri e dibattiti all’interno del partito.

Come per il suo progetto politico, ti dirò qualcosa che non esprime un punto di vista personale, quanto una ricerca più ampia che è attualmente in corso. Syriza non è l’inizio e la fine di tutto. C’è anche una sorta di “rete in costruzione” dal basso nella società greca, che è andata avanti in questi ultimi anni, con tutti i tipi di sforzi di auto-organizzazione, e di movimenti che mentre lavorano a livello locale, spesso anche instaurano relazioni flessibili tra di loro .

Questi movimenti hanno dovuto fare i conti con le urgenze della situazione attuale: lo stato in Grecia si è davvero ritirato, e questo è molto importante per comprendere la brutalità e la violenza della situazione. E’ terribile quando lo Stato si ritira in questo modo. E, come diceva Bourdieu, è la “mano sinistra” dello Stato, che è lo stato sociale, non quella “destra”, che si è ritirata. La mano destra sta lavorando bene, l’abbiamo sicuramente visto nell’ultimo periodo, con la repressione e l’autoritarismo di stato.

Il problema qui è il rischio che, poiché il piano di Syriza è in definitiva di ricostruire ciò che è stato distrutto,  ricostruire lo stato sociale e le conquiste sociali, il tipo di movimento dal basso, anche se è fragile e ancora insufficiente, potrebbe scomparire. Penso che il compito da svolgere sia quello di ricostruire un paese che è stato distrutto – la sua economia e la sua società sono state distrutte – e che abbiamo bisogno di ricostruirlo dal basso.

Questo richiederà tempo, ma questo sforzo di ricostruzione può essere la base per la nascita di un tipo di alleanze sociali molto ampie e forse senza precedenti, permettendo nuove pratiche di sviluppo, e consentendo alle tendenze che abbiamo visto spuntar fuori negli ultimi tempi di crescere a un livello molto più alto.

Anzi, possiamo vedere già qualcosa di questo: centinaia di migliaia di persone in Grecia che hanno bisogno di cure mediche fanno affidamento su una rete di farmacie che esiste esclusivamente grazie alla iniziativa popolare – le iniziative di medici, assistenti sociali, attivisti, pensionati e studenti che stanno organizzando le cose nei loro quartieri, cosa che sarebbe stata impensabile per chi conosceva la società greca durante la bolla di pochi anni fa, una bolla che è stata ovviamente illusoria.

Qui è assolutamente necessario vedere che ci sono diversi livelli di mediazione. Forme di potere locale e regionale, nei comuni, per esempio, che Syriza è stata in grado di assumere, spesso in alleanza con altre forze della sinistra radicale. Questo è un campo di sperimentazione che dobbiamo costruire.

Nel 2012, Alexis Tsipras e la direzione del partito hanno chiaramente sostenuto questa prospettiva, anche facendo riferimento ai processi in Bolivia. Tsipras ha detto che la proposta di Syriza non era solo di un governo di sinistra radicale, ma un governo della sinistra radicale e dei movimenti sociali. Quindi i riferimenti alla Bolivia e gli inviti al movimento sociale perché organizzi assemblee generali per discutere questo tipo di questioni. Questo è esattamente il tipo di approccio con cui dobbiamo procedere al fine di combinare la ricostruzione con una trasformazione profonda delle strutture della società greca.

AB: E ‘interessante quello che stai dicendo. In sostanza, la possibilità di una presa in consegna dello Stato – piuttosto che delle forze politiche che vengano catturate dalla contro-azione dello Stato! – deriva forse più di tutto dal fatto dell’indebolimento dello Stato, il fatto che sia stato distrutto. Perché non bisogna cercare di prendere in consegna più uno stato forte, strutturato, autoregolamentato in senso classico; e in effetti, questa è la differenza con il caso Mitterrand. Mitterrand aveva a che fare con quello che era uno stato forte, non c’era nessun problema particolare su questo.

Quella che stai descrivendo è una situazione in cui la crisi della società e dello Stato è così profonda che, in un certo senso, la presa in consegna dello stato diventa anche da subito una questione di ricostruzione. Non una questione di prendere in consegna qualcosa che funziona senza problemi, o in maniera ordinaria, ma piuttosto uno stato in una condizione disfunzionale. Il malfunzionamento ha creato lo spazio per delle iniziative orizzontali.

In questo senso, quello che vi trovate veramente di fronte è una fase di costruzione di qualcosa di nuovo, che ha a che fare con ciò che questo stato disfunzionale ha lasciato nella sua scia. Quindi lo stato è andato in pezzi, e come dici tu questo crea difficoltà reali alla popolazione, ma in un certo senso, fornisce anche una opportunità politica.

SK: Sono d’accordo.

AL: Hai citato la fragilità interna di Syriza, ma Syriza è anche fragile in un altro modo, credo, e parlo del suo isolamento. All’inizio della nostra discussione, Stathis, hai parlato di  un movimento di solidarietà promosso dalle altre forze della sinistra radicale, come espresso in una dimostrazione di migliaia di persone a Parigi.

Ma se avremmo potuto immaginare che paesi come la Francia avrebbero cercato di utilizzare la situazione per ammorbidire il trattamento ricevuto dalle istituzioni europee – e sembra che Tsipras ci credesse, a un certo punto – alla fine, ben lungi dal venire in vostro aiuto, essi hanno assunto una posizione ostile. Sei rimasto sorpreso da questo?

SK: Personalmente, no, affatto. Credo ci fossero sfumature diverse nella valutazione della situazione da parte dei leader di Syriza, in quanto alcuni di loro avevano calcolato che gli altri governi avrebbero avuto le loro ragioni per desiderare un approccio diverso, e che sarebbe stato possibile giocare su queste contraddizioni.

Tatticamente parlando non c’era nulla di così assurdo in questo, tranne che quando i nodi sono arrivati al pettine tutti questi governi hanno parlato all’unisono su tutte le questioni fondamentali. È impossibile immaginare che in Francia Hollande facesse passare la legge Macron e allo stesso tempo facesse un’apertura a Syriza: o l’uno o l’altro.

Vorrei ricordare un dato di fatto. Alexis Tsipras è venuto in Francia tra le due elezioni del 2012 – era già il leader dell’opposizione in Grecia – e poi è andato in Germania. A Berlino, è stato ufficialmente ricevuto da tutti i partiti rappresentati in Parlamento, tranne la Democrazia Cristiana, ma certamente, e in maniera molto significativa, dai socialdemocratici.

In Francia, il Partito socialista ha rifiutato di incontrarlo. Non solo, ma François Hollande ha fatto un intervento estremamente virulento durante la campagna elettorale greca del giugno 2012, in un’intervista che è stata ritrasmessa dalla TV greca più e più volte nei giorni prima del voto, in cui ha raccomandato ai greci di non votare per i partiti che parlano di una rottura, non votare per i partiti che parlano di non mantenere gli impegni che sono stati presi – con una formula in cui gli impegni presi dai precedenti governi greci sono considerati un feticcio .

Alla conferenza stampa che ha tenuto a Parigi, Alexis Tsipras ha raccolto lo slogan di Jean-Luc Mélenchon per descrivere l’allora neo-eletto presidente francese: “Hollandreou”, una combinazione dei nomi di George Papandreou, il primo greco ministro che ha dovuto dimettersi in circostanze assolutamente vergognose, e di François Hollande, e sembra che anche lui presto andrà giù per la stessa strada.

AB: Penso che la ragione più profonda per cui questi governi social-democratici, di sinistra tradizionale, ecc. non sono interessati ad aiutare Syriza è che la loro propaganda principale è l’idea che le scelte che fanno sono obbligate. Queste non sono persone che parlano di programmi straordinari di cambiamenti trasformativi; no, essi sostengono di avere le mani legate.

Se Syriza ha successo, questo allora rivelerà che le loro scelte non sono così obbligate come dicevano, e che le prendevano solo perché non avevano risposte politiche che permettessero loro di venire fuori con qualcosa di diverso.

Per loro, la questione è morta e sepolta da molto tempo – be’, sto tornando alla mia ossessione, ma l’esperienza francese è pertinente a questa domanda – sin dal periodo di Mitterrand, nel 1983. Di fronte alla scelta fondamentale che hai menzionato prima, il governo ha deciso di dire che non poteva fare diversamente. E di evitare di parlare di austerità, che è stata espressa con un’altra parola: “rigore”. La “politica del rigore”. Una buona parte della politica social-democratica è così: usare nuove parole per dire la stessa cosa…

E penso che questo sia un punto essenziale. Che qui, anche, voi vi assumete una responsabilità straordinaria – e quando dico “voi”, voglio dire il popolo greco. . . ma anche tu personalmente! – Ossia fornire la prima dimostrazione, a tutta l’Europa, che in questo tipo di congiuntura, è possibile attuare una politica diversa.

Sarebbe davvero un terremoto politico in Europa, se i greci potessero accendere un meraviglioso faro, e dimostrare che è possibile interrompere la continua deriva neoliberista dell’Europa e il suo essere governata secondo le esigenze finanziarie ed economiche del capitale, per usare un linguaggio di vecchia scuola. . .

SK: Come dici tu, penso che qui si vede come quello che è in questione è la specificità del neoliberismo. Anche in quanto pone un vecchio dilemma in termini nuovi, vale a dire la divisione tra riformisti e rivoluzionari. Be’, il riformismo richiede di ritenere che alcune riforme progressiste siano possibili – le riforme a tutela del lavoro, di promozione dello stato sociale, ecc – all’interno del sistema.

Ma nel capitalismo neoliberista questo non è più possibile. Quindi, anche per ottenere delle riforme relativamente modeste che in altri momenti sarebbero state perfettamente compatibili con il funzionamento del sistema, c’è la necessità di forti scontri e conflitti su larga scala. E l’abbiamo visto bene in America Latina: paesi come la Bolivia o il Venezuela o l’Ecuador che hanno avuto dei governi che non erano socialisti, ma anche una rottura parziale col neoliberismo ha richiesto delle lotte mortali: il sangue è stato versato per rendere possibile l’elezione di Evo Morales.

Non dovremmo rifiutarci di riconoscere la violenza della situazione attuale in Grecia, la violenza inflitta alla società greca. E si può anche vedere questa violenza nel fatto che i neo-nazisti sono ora diventati una grande forza politica in un paese in cui non hanno mai avuto alcun tipo di seguito di massa.

Ma questo ha qualcosa a che fare con il crollo dello Stato, come hai ricordato, e col tipo di panico che questi anni hanno creato in alcune parti della società. Quindi sì, è il futuro del neoliberismo che è in questione – hai citato la Francia nel 1983, ma per me il vero e proprio laboratorio è stato il Cile di Pinochet, è stato allora che è cominciata la controrivoluzione neoliberista. E il suo destino in Europa, nel nostro continente, sarà forse deciso dal sud.

AL: Parli di Cile. . . hai paura che se le speranze di Syriza questa estate crollano, allora una formazione come Golden Dawn sarà in grado di causare gravi problemi?

SK: Ho parlato del Cile, ma i greci non hanno bisogno del riferimento cileno per capire che cosa c’è in gioco. Hanno fatto un’esperienza diretta.

AB: Assolutamente.

SK: Le tecniche che sono state utilizzate in America Latina erano già state utilizzate in Grecia nel 1967, con il colpo di stato militare dei colonnelli. Posso anche parlarne personalmente, per esperienza della mia famiglia.

Ma direi che oggi il problema non è tanto nell’esercito, quanto nella polizia e in parte dell’apparato giudiziario. C’è il rischio che cercheranno di implementare una “strategia della tensione” in Grecia, e l’abbiamo già visto nel periodo in cui Golden Dawn era all’offensiva. E quando i suoi leader sono stati arrestati dopo l’omicidio del rapper attivista Pavlos Fyssas a settembre 2013, alti funzionari della polizia e dei servizi segreti sono stati arrestati anch’essi.

Questa è stata la prova di qualcosa che già sapevamo, ossia dell’esistenza di strutture parallele in alcune parti dell’apparato statale; possono rimanere in silenzio in questo momento, in quanto attualmente è Berlino che è responsabile della situazione, ma potrebbero tornare alla carica in futuro. Ecco, l’equilibrio delle forze nella società, e, naturalmente la vigilanza esercitata dalle mobilitazioni popolari, sono totalmente indispensabile per sconfiggere questo tipo di minaccia.

AB: Vorrei fare una domanda finale, su un aspetto piuttosto soggettivo: sei principalmente ottimista?

SK: Mi è già stata posta questa domanda, Alain, e ho riflettuto molto io stesso su questo. Devo dire che personalmente in questi ultimi mesi, ho vissuto le cose in modo molto diverso da qualsiasi altra cosa degli ultimi 35 anni della mia vita di attivista. Questo è un nuovo tipo di condizione soggettiva, se si vuole. Una grande angoscia, forti emozioni, momenti di gioia, ma alternati ad altri molto più tristi – e in tutto questo le parole ottimismo e pessimismo non risultano davvero appropriate.

Penso che nel calore della battaglia, non c’è niente altro che la battaglia, e la volontà di portare avanti questa lotta è la mia unica preoccupazione. Non è che ho scelto di mettere da parte tutto il resto – quello che è chiamato di solito ottimismo. Piuttosto, è che sento che in realtà non riguarda questa situazione.

AB: Questa è una condizione soggettiva che dimostra che sei veramente in un momento molto intenso della vostra storia. Anch’io ho sentito questi sentimenti in vari momenti nel passato – un miscuglio davvero unico di angoscia e di gioia, esistenti fianco a fianco. Quindi sono d’accordo con te, che era una domanda stupida. . .

AL: Quali sarebbero le ragioni per immaginare un esito favorevole, questa estate?

SK: Possiamo vederle nella serie di eventi che abbiamo vissuto in questi ultimi anni: chi l’avrebbe detto cinque anni fa che saremmo arrivati così lontano? Certo, c’è stata una grande tragedia, ma anche un sacco di cose straordinarie. E queste ragioni stanno anche in una parola che è generalmente considerata logora, ma che credo abbia anche un contenuto reale in questo caso: la parola “Speranza”. E’ passato molto tempo dall’ultima volta che l’abbiamo sentita.

AB: Giusto.

AL

Grazie ad entrambi.