http://contropiano.org/ Martedì, 24 Febbraio 2015 La crisi della democrazia è qui, nel cuore d'Europa di Dante Barontin
“A che cosa serve eleggere Alexis Tzipras e un programma di rottura con l’Europa della troika se poi non cambia niente e Tzipras è costretto a seguire le orme di Antonis Samaras, il predecessore deprecato per gli eccessi di austerità che hanno travolto la Grecia?” La domanda posta da Adriana Cerretelli - su IlSole24Ore, peraltro, non su il manifesto – centra con precisione il problema su cui da tempo invitiamo a riflettere la sinistra antagonista italiana (o comunque la vogliate chiamare: quella fuori e contro il “sistema Pd”): la natura dell'Unione Europea è quella di una superstruttura quasi-statuale fortissima con i paesi deboli (vuoi perché piccoli o perché indebitati), non altrettanto con quelli forti (soltanto uno e mezzo: Germania e Francia), e comunque inpegnatissima a ridisegnare lo spazio continentale come un'area avanzata a disposizione del capitale multinazionale, esattamente come avviene per molti “paesi emergenti”. Un'area imperialista in grado di competere con altri nella spartizione del mercato globale (di “globalizzazione, dovreste esservene accorti, non parla più nessuno). Cerretelli, da tempo voce autorevole del mondo delle imprese schierato sul fronte anti-tedesco, sottolinea il pericolo rappresentato dal “doppiopesismo democratico” vigente all'interno dell'area (sia dell'eurozona propriamente detta che dell'Unione a 28): “le cessioni di sovranità restano ineguali. La Germania è l’unico paese la cui Corte costituzionale prende decisioni di valenza europea. Di più, il Bundestag è autorizzato a approvare o respingere le decisioni del Governo adottate in sede europea per verificarne la conformità con la Legge fondamentale tedesca. Governi, parlamenti e strutture democratiche, soprattutto dei paesi debitori, risultano invece sempre più 'minorat' dai nuovi patti sull’euro-governance. Non a caso, e da molto prima che arrivasse Tzipras, la legittimità della troika è messa seriamente in dubbio”. Difficile difendere con la forza delle ragioni uno squilibrio istituzionale del genere. Più facile farlo con le ragioni della forza: la Germania ce l'ha, soprattutto sul piano economico-industriale, gli altri no. E, potremmo aggiungere, ne avrà sempre di più visto che le regole che imposto attraverso l'Unione Europea avvantaggiano soprattutto Berlino (vedi http://contropiano.org/economia/item/29288-l-europa-tedesca-vista-dalle-banche ma anche http://contropiano.org/interventi/item/29276-l-italia-ha-perso-nella-guerra-tra-capitali). La situazione può essere ovviamente vista da diversi lati. Il punto di osservazione di Cerretelli è pro-imprese, dicevamo, e non mette affatto in discussione l'assunto base su cui l'Unione Europea è stata costruita: “nella gerarchia delle regole, quelle europee prevalgono su quelle nazionali. A maggior ragione quelle del patto di stabilità e consimili vanno rispettate a prescindere, non possono nella sostanza soggiacere agli incerti e ai malumori delle democrazie”. E quindi, certo, viva le “riforme strutturali” consigliate dalla Troika... Già, ma cosa accade quando un paese è invece visibilmente al di sopra delle regole comuni? Per esempio la Germania che non rispetta affatto il vincolo del surplus di bilancio, da molti anni stratosfericamente più alto di quanto consentito dalle regole di Maastricht (e, in un sistema idraulico comune, se qualcuno è in forte surplus, qualcun altro dovrà necessariamente essere in deficit). O che, come detto, è l'unico che può permettere a una sua istituzione nazionale di bocciare le decisioni europee (addirittura quelle della Bce, in violazione palmare della presunta indipendenza della banca centrale). Una situazione del genere non può reggere a lungo, e il mondo delle imprese di medio livello, quelle che non possono darsi una dimensione multinazionale (quella che consente, all'occorrenza, di “sganciarsi” da una certa area e paracadutarsi in un'altra), guarda con crescente preoccupazione la crescita inarrestabile di “fermenti ribellisti e assalti all’ordine costituito dei vari Podemos, Sinn Fein, Front National, dei movimenti nazional-populisti”. Elenco fastidioso, diciamolo subito, perché accomuna opposti. Ma si tratta esattamente di quelle forze che non sono al guinzaglio della Troika e degli altri governi nazionali. Forze che perseguono obiettivi di fase decisamente diversi (la “riforma” dell'Unione Europea oppure il ritorno al nazionalismo puro e semplice, con tutto il codazzo di conflitti infraueropei che diventano prevedibili), ma tutti in diversa misura incompatibili con l'attuale configurazione continentale e soprattutto con “le regole” vigenti. Ci sarebbe molto da ragionare sul fatto che questa costruzione quasi-statuale sia diventata così tecnocraticamente rigida da costringere anche il più tranquillo dei riformismi al di fuori delle opzioni accettate o praticabili. L'articolo di Cerretelli è in realtà un invito rivolto alla Troika a tenere un margine di mediazione accettabile per Syriza, di modo che sia praticabile anche per altri paesi con problemi minori ma simili a quelli della Grecia. Non perché quella formazione le sia simpatica, ma per il suo esser sintomo della rabbia che monta da tutto il continente verso una costruzione “lunare”, che dispensa solo sacrifici, disoccupazione, povertà: “la sua Grecia sovversiva e nazionalista esprime il primo vero rigurgito democratico contro il sistema-eurozona”. Se questo “primo rigurgito” verrà soffocato nella culla, come certamente Germania e partner hanno la forza di fare, e come Schaueble e Dijsselbloem hanno deciso di fare per “dare una lezione” a un governo che osa sfidarli almeno un po', allora non ci saranno strumenti per contenere quanto fermenta nelle viscere delle società europee. “La stabilità economico-finanziaria dell’euro è prioritaria per tutti ma non può prescindere dalla stabilità democratica e sociale dei paesi che lo compongono. Altrimenti, scongiurato il default greco, prima o poi arriverà quello europeo”. Traduzione: se si soffocano i rigurgiti democratici, ci si deve attendere quelli nazifascisti. La nostra posizione è nota: bisogna rompere la gabbia rappresentata dall'Unione Europea e lavorare fin da subito per la definizione di quella che chiamiamo “Alba euro-mediterranea” (senza alcun confine prefissato, ovvio). E' l'unico modo per impedire che l'inevitabile esplosione di una costruzione mal progettata, mal gestita, preda di interessi nazionali camuffati da “regole super partes”, finisca per produrre un caos continentale da cui nessuno uscirebbe questa volta vivo. E' anche l'unico modo per fare un passo avanti – concreto, possibile - verso un mondo che mette le logiche del capitale nell'unico posto in cui meritano di stare: nella fogna della Storia.
|