http://www.revue-ballast.fr http://popoffquotidiano.it 17 novembre 2015
Zoe: «Il governo greco ha sacrificato la democrazia» Traduzione di Titti Pierini
Zoe Konstantopoulou, ex presidente del Parlamento greco, ricostruisce il processo che ha trasformato Syriza nel partito del III memorandum
Zoe Konstantopoulou è nota per essere stata la seconda donna a rivestire il ruolo di presidente del parlamento greco. Eletta con ampio suffragio a questa carica come membro di Syriza agli inizi di febbraio 2015, la ha lasciata il 4 ottobre dello stesso anno, questa volta come membro di Unità popolare – il partito costituitosi dopo l’annuncio di elezioni anticipate. Negli otto mesi di presidenza, Zoe Konstantopoulou si è contraddistinta per aver animato i lavori della Commissione per la verità sul debito pubblico greco, nonché per il suo rispetto delle norme democratiche e la sua accanita opposizione alla capitolazione del governo Tsipras, come pure per la sua combattività nel contrastare l’affermazione di quest’ultimo che non vi fosse altra scelta… Si è pronunciata meno sulla questione monetaria, la sua visione dei “Piani B”, o anche sulla sua breve ma intensa esperienza di esercizio del potere. La ritroviamo a Bruxelles, nell’atrio del suo albergo; il chiarimento avviene in francese. Un chiarimento dall’interno sui pochi mesi che hanno scombussolato l’Europa e tradito le speranze del popolo greco. È noto il suo percorso di avvocato specialista in diritti dell’uomo, mentre lo è di meno quello politico prima che entrasse in Syriza. Quale è stato? Zoe Konstantopoulou- Quando ero studentessa, facevo parte dei rappresentanti sindacali degli studenti, all’interno di sindacati autonomi. Nel mio percorso, non ho mai cercato di iscrivermi a partiti politici. La prima volta che ho partecipato a un processo elettorale fu alle elezioni europee del 2009, nella lista di Syuriza, di cui non ero membro. Mi sono candidata non per essere eletta, ma per sostenere quella lista. Nel 2012 sono stata eletta ed è stato allora che sono entrata in Syriza. Era il momento in cui il partito si era unificato e si concepiva come il partito dei suoi aderenti. Ed era appunto quella sfida che mi aveva spinto ad entrare in un partito politico, per la prima volta. Ma è il fallimento di quell’obiettivo dichiarato che, a mio avviso, ha portato al disfacimento di Syriza. A dire il vero, infatti, quel che appare oggi come Syriza non ha più nulla a che vedere con il partito di cui ho fatto parte. La vittoria di Syriza alle elezioni del gennaio 2015 non era una sorpresa. Nella fase precedente lei faceva parte del “governo ombra”. Come eravate preparati, all’interno di quella squadra, all’accesso al potere, e soprattutto alle trattative con i creditori che si preannunciavano? La cosa deplorevole è che tutta la preparazione fatta nei vari “ministeri ombra” (cioè, delle persone e delle squadre incaricate ognuna di un settore) non è stata utilizzata. E in vari campi non la si è valorizzata. Per quanto riguarda il problema della giustizia, della trasparenza, della corruzione e dei diritti dell’uomo, di cui avevo l’incarico, il lavoro compiuto non è stato oggetto neanche di una seduta ufficiale di presentazione. Dopo le elezioni, ho preso l’iniziativa di incontrare il ministro della Giustizia per metterlo al corrente di tutto il lavoro preparatorio svolto, ma non è stato il partito a organizzare l’incontro. Allo stesso modo, le persone che erano state incaricate del lavoro preparatorio in vari altri ambiti non sono state consultate per impostare il lavoro governativo, Per quale motivo? È una domanda da rivolgere al Primo ministro, Alexis Tsipras. La squadra era diretta da Alexis Mitropoulos. Vi partecipavano anche Il futuro vicepresidente del governo, Ioannis Dragasakis, e Dimitris Stratopulis. C’era questo fenomeno dei comitati preparatori che non si concludevano, o cui veniva tolto il mandato nel corso dei mesi. Non posso che sottolineare che siamo stati in tanti a dire che il lavoro preparatorio era indispensabile e andava continuato. Per quanto mi riguarda, avendo ricevuto anche l’incarico di un altro comitato costituito all’interno del gruppo parlamentare per seguire la legislazione sui Memoranda e predisporne l’abolizione, ho segnalato a più riprese che occorreva maggiore preparazione. Per questo specifico comitato ho inviato una lettera ad Alexis Tsipras, nel giugno 2014, per dirgli che occorreva o assicurarsi che il comitato funzionasse, oppure scioglierlo. Gli segnalavo inoltre che questa preparazione anti-Memoranda era un lavoro molto serio, per il quale era impossibile contare di far tutto dopo le elezioni. A rivedere retrospettivamente gli avvenimenti, quel che colpisce è come il ricatto delle istituzioni europee fosse già evidentissimo fin dal 4 febbraio e come la capitolazione non risalga al 12 luglio ma al 20 febbraio, quando si firmava un primo accordo che risospingeva la Grecia nella logica dei Memoranda. Come si spiega che il governo non abbia approfittato del tempo che ha avuto fino a fine giugno per predisporre alcune alternative? Secondo me, la situazione è ancora più grave di questo. Se il governo non ha creato lui stesso strumenti e alternative, il parlamento ne ha creati almeno tre: la Commissione per la verità sul debito pubblico greco, il Comitato per la rivendicazione delle riparazioni da parte della Germania per la seconda Guerra mondiale (la stima di una Relazione del ministero delle Finanze è che esse ammontino a una cifra tra i 278 e i 340 miliardi di euro), e anche il Comitato per le istituzioni e la trasparenza che ha riaperto due casi di corruzione di vasta portata: la faccenda Siemens e quella della lista Lagarde. Questi casi riguardano non solo la corruzione in seno al governo greco, ma anche i rapporti di questo con altri governi e con le istituzioni europee. La lista Lagarde è stata consegnata al ministro delle Finanze che ha sottoscritto il primo Memorandum, Giorgos Papakonstantinou. Consisteva nell’elenco di greci con depositi presso la banca HSBC in Svizzera, mai registrato presso il ministero delle Finanze, né utilizzato per recuperare tasse e rendite conseguenti. Christine Lagarde, che era la fonte di quell’elenco ed è ora è alla direzione del FMI, non ha mai chiesto alla Grecia come mai non abbia utilizzato uno strumento così prezioso. Quindi, in parlamento esistevano strumenti già pronti e alcune alternative, possibili percorsi che avrebbero potuto costituire argomenti molto forti nelle trattative! Il 25 febbraio, nella riunione del nostro gruppo parlamentare per discutere sull’accordo del 20 febbraio (presentato come una vittoria dal Primo ministro e dal suo gabinetto) io facevo parte di quelli che dicevano che era un disastro. Che bisognava uscire dal rinnovo dei Memoranda, che ci riportava nello stesso quadro dei precedenti governi. Che bisognava soprattutto rifiutarsi di accettare ogni formulazione che dicesse che la Grecia avrebbe completamente rimborsato il debito, senza nessuna ristrutturazione. Che occorreva crearsi strumenti e procedure per uscire da quella logica. È quel che ho fatto dalla mia posizione di presidente del parlamento Non solo il governo non ha fatto la stessa cosa, ma non ha neanche utilizzato quanto gli è stato preparato e servito. In quel momento c’era ancora un dibattito interno in Syriza, o è la squadra di governo a prendere tutte le decisioni? Purtroppo, il gruppo parlamentare di Syriza si è riunito molto poco. Le informazioni erano limitatissime. In quanto presidente del parlamento, avevo accesso a informazioni solo quando discutevo con il Primo ministro – e a intervalli molto lunghi. I membri del gruppo parlamentare si informavano solo attraverso i media. Era impossibile distinguere cosa rientrasse nelle informazioni e cosa nella propaganda, quale che ne fosse la provenienza; e questo comportava che i parlamentari non fossero in grado di rispondere ai loro concittadini. Secondo Éric Toussaint. Portavoce del CADTM Internazionale, se il governo greco non ha osato colpire le banche è in parte a causa della vicinanza di Iannis Dragasakis e di Georgios Stathakis ad alcune banche private. È così? Sul fatto che il governo non abbia colpito le banche – e si tratta di un risultato deplorevole – direi che si devono chiedere delle risposte al signor Dragasakis. Era lui l’incaricato di questo aspetto. Per quanto mi riguarda, a più riprese ho cercato risposte da lui, non solo sul problema delle banche ma anche a proposito di tutti gli aspetti del programma di Syriza che non sono stati realizzati. Era lui il responsabile dell’applicazione del programma. Il fatto che abbia registrato un insuccesso totale, o l’assenza di interventi nei campi di sua competenza, dovrebbe comportare qualche conseguenza. Eppure, è stato rimesso al suo posto di vicepresidente del governo. E questo pone il delicatissimo problema di sapere quali fossero gli accordi interni tra il signor Dragasakis e Tsipras. Lo ripeto, nessuno degli impegni di Syriza nei campi di cui è responsabile è stato onorato. E, normalmente, se c’è un fallimento, una qualche conseguenza ci deve pur essere… Che ne è dei passi effettuati dal governo Tsipras presso paesi terzi (soprattutto la Russia, la Cina o il Venezuela)? Perché non hanno portato a ridurre la pressione dell’UE sulla Grecia? Su questo non ho informazioni sufficienti… Si sa che il governo greco ha voluto mobilitare gli Stati Uniti per far pressione su Angela Merkel, ma poco si sa sul ruolo preciso della diplomazia americana nei negoziati con i creditori. Il parlamento ha informazioni in proposito? No. Secondo me, se ovviamente vi sono alcuni aspetti segreti nella diplomazia, ci sono anche cose evidenti o che non si possono nascondere. Se c’è un campo in cui si sarebbe potuta utilizzare l’esperienza americana, è quello della lotta alla corruzione, soprattutto nella faccenda Siemens, in cui gli Stati Uniti hanno imposto consistenti ammende e ottenuto rimborsi. Se vi fosse veramente stata una collaborazione fruttuosa avrebbero potuto valorizzare quell’esperienza – cosa che non si è fatta. Lei ha dichiarato che il governo Tsipras ha tenuto il popolo greco al di fuori dalle trattative con i creditori… Sì, il popolo era male informato – o non informato affatto – sui negoziati. Il popolo è stato disorientato da dichiarazioni ripetitive, volte a tenerlo calmo, a dirgli che andava tutto bene e che si sarebbe concluso un accordo, mentre non si sapeva su che cosa si fondasse questa affermazione. Io non ho mai avuto elementi concreti che dimostrassero che ci sarebbe stato un buon accordo. C’era un intero popolo che, fin dall’inizio, è uscito per le strade a sostenere il governo perché trattasse e rivendicasse in suo nome, e questo non è stato valorizzato. Secondo me, la mobilitazione e la sovranità popolare erano armi fortissime, che il governo non ha saputo, o voluto, utilizzare. Nelle elezioni di gennaio, poi nel referendum, c’è stata anche un’ondata di speranza in tutt’Europa e l’espressione di una solidarietà con il popolo greco. Nel dibattito pubblico in Grecia c’era la consapevolezza che quel che avveniva fosse potenzialmente un elemento federativo e mobilitante nell’intera Europa? Si, rientrava nella coscienza popolare che quel che succedeva in Grecia fosse un fatto storico a livello europeo, addirittura mondiale. Il nostro discorso politico, per tutto il periodo prima dell’avvento al potere metteva in rilievo questa dimensione di un cambiamento per l’Europa e il mondo intero. Ma questo è stato distrutto dal governo. La capitolazione ha infranto anche quella speranza e quella solidarietà. Per questo c’è una gravissima responsabilità da parte di coloro che hanno deciso e incentivato la capitolazione, perché questa va oltre i confini della Grecia. Durante la campagna referendaria, è sembrato che il quesito posto non fosse chiaro e che molti greci non vedevano quale potesse esserne lo sbocco – sia che il verdetto fosse “Sì” oppure “No”. Tanto più che il 30 giugno, mentre portava avanti la campagna per il “no”, Tsipras scriveva ai creditori per proporre loro un accordo che equivaleva già alla capitolazione. Quel referendum è stato organizzato veramente per vincerlo? Non ho assolutamente la stessa lettura della percezione della questione da parte dei cittadini. Pur non avendo le conoscenze per decodificare i testi dei creditori (in gergo economico, finanziario e giuridico), quello che era chiarissimo era che i creditori chiedevano la prosecuzione delle misure di austerità, del quadro dei Memoranda, degli attacchi alla sovranità popolare e nazionale, alla democrazia e alla funzione parlamentare, continuando a chiedere altre misure per pagare un debito che non è un debito dei cittadini greci. Credo che i cittadini abbiano capito benissimo che il problema era sapere se si sarebbe ceduto al ricatto o se si sarebbe passati alla lotta. E penso che quelli che hanno detto “No” – e cioè una percentuale molto rilevante, tenendo anche conto che le banche avevano chiuso per una settimana (una cosa senza precedenti in Grecia) e che c’è stata una propaganda terrorista da parte dei media e dei creditori – fossero consapevolissimi. Quanto alla reale intenzione che stava dietro la proclamazione del referendum, è una questione molto interessante. Posso dirvi che il mio obiettivo in quanto presidente del parlamento, era di proteggere la democrazia e di respingere il ricatto. Lo scopo dichiarato del governo era quello di vincere il referendum. Ma durante la settimana di campagna vi sono stati interventi da parte di membri del governo che erano completamente contrari a questo obiettivo e non andavano nel senso di salvaguardare la procedura. Ad esempio, certe dichiarazioni di Dragasakis, martedì 30 giugno, dicevano che si sarebbe annullato il referendum. Come presidente del parlamento, ho chiarito pubblicamente che non esisteva alcun modo di ritirare un referendum deciso dal parlamento. Tsipras ha anche fatto alcuni interventi che andavano nel senso della vittoria. La mia conclusione è che Tsipras non pensava che avrebbe vinto. Io credo che avesse perso il polso della società, e per questo aveva l’aria così sorpresa dall’ampiezza della manifestazione per il “No” il 3 luglio – la più grande organizzata ad Atene da quarant’anni. Yanis Vaoufakis ha spiegato che la sera della vittoria, il 5 luglio, è andato all’ufficio del Primo ministro dove ha trovato Tsipras e i membri del gabinetto ristretto con le facce scure… Anche io sono andata all’ufficio di Tsipras quella sera, prima di raggiungere piazza Syntagma. Oltre a Tsipras, c’erano Dragasakis e Varoufakis, c’era Alekos Flambouraris, Nikos Pappas, Euclide Tsakalotos e Dimitrios Papadimoulis, il vicepresidente del parlamento europeo: è vero che non c’era un clima positivo. Io ho portato loro un pacchetto di copie del rapporto preliminare della Commissione per la verità sul debito greco, l’ho distribuito a tutti e ho detto loro: “Ora bisogna far valere questo lavoro”. Naturalmente, solo Varoufakis lo ha preso con interesse. Tsakalotos mi ha chiesto di dargliene una copia in inglese per capirlo meglio, mentre l’aveva già avuta. Dragasakis l’ha messa da parte… L’argomento regolarmente utilizzato per concludere che in Grecia nessun governo potrebbe andare legittimamente verso un’uscita dall’euro è che il popolo sarebbe molto legato a questa moneta. Il dibattito sulla questione monetaria c’è veramente stato in Grecia? Prima di tirare conclusioni sull’attaccamento del popolo a una moneta, ci vorrebbe un sistema credibile per testare quest’ipotesi. La questione della moneta non è mai stata posta al popolo. E questo riguarda anche il momento in cui il paese è entrato nell’eurozona. Non è il popolo ad aver preso questa decisione, ma uno dei governi greci più corrotti, quello di Konstantinos Simitis (PASOK), svariati membri del quale sono implicati in grandi traffici di corruzione, tra cui la faccenda Siemens. Si fa in modo che la questione della moneta non venga posta né si discuta. Va comunque detto che il popolo greco è molto attaccato alla democrazia. Non accetterebbe di cedere la democrazia per una moneta, qualunque sia. Quello rivolto al popolo in questo momento è un ricatto esplicito: “O l’euro, o la democrazia”. In questo dilemma, sono convinta che il popolo deciderebbe in maggioranza per la democrazia. Ed è veramente vergognoso che ci sia un governo che ha risposto al dilemma sacrificando la democrazia. Alle elezioni anticipate di settembre lei era candidata nelle liste di Unità popolare, un nuovo partito, favorevole all’uscita dall’euro, mentre lei sembra marcare una certa distanza su questo punto del programma… Non ho la pretesa di essere quel che non sono. Non sono un’economista e non sono convinta che si sappia tutto quel che c’è da sapere sul problema della moneta comune in questo momento. Quel che invece so, perché sono giurista, è che le disposizioni europee relative alla funzione dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e della moneta europea sono violate da quegli stessi che si pensa ne siano i garanti. In questo momento, l’euro non è usato come moneta, ma come un’arma contro delle popolazioni. E se c’è un attacco contro la popolazione, anche se l’arma è una moneta, il dovere è quello di difendere la popolazione. Non posso dire cosa accadrebbe se le disposizioni venissero rispettate, ma so che l’Europa non è stata fondata al servizio di una moneta. È la moneta che è stata creata al servizio dello scopo principale e fondante dell’Europa, che è la prosperità dei suoi popoli e delle sue società. In questo momento, in Grecia c’è una società che soffre, che vive una crisi e un disastro umanitari connessi a politiche decise all’interno dell’Unione Europea in violazione delle disposizioni europee. Dal mio punto di vista, il problema non è monetario né economico, la questione è profondamente politica, democratica e sociale. Unita popolare non è riuscita ad entrare in parlamento: Quali lezioni ne ricava? Per cinque anni, i creditori hanno fatto la guerra a qualsiasi procedura democratica. Non erano mai contenti quando c’erano elezioni in Grecia, che presentavano sempre come un pericolo per l’economia. Erano scontentissimi del referendum. La prima volta che erano soddisfatti di fronte a un processo elettorale è stato quando Tsipras ha deciso di sciogliere il parlamento in cui c’era una buona parte di deputati che rifiutavano la capitolazione. Per me, quelle elezioni erano concordate con i creditori che volevano sbarazzarsi di chi resisteva. Si facevano perché fosse impossibile, o quasi impossibile, avere una rappresentanza politica della sinistra anti-memorandaria e anti-austerità, Dal mio punto di vista, era molto improbabile che l’Unità popolare, o qualsiasi altro tentativo di mobilitazione, potesse andare in porto in così poco tempo. Quindi, in tutta sincerità, non le ho vissute come un fallimento, ma come una battaglia che andava fatta e alla quale ho sentito di dover partecipare. Per questo ho subito collaborato con i compagni di Unità Popolare, anche se non c’era tempo per formulare un programma completo, o per creare una struttura e procedure collettive, pur indispensabili. Era assai probabile, fin dall’annuncio delle elezioni anticipate il 20 agosto, che i creditori avrebbero vinto la sfida – e per questo ho insistito sul fatto che tutti dovevano condurre la battaglia, anche se la sinistra era estremamente traumatizzata da quanto era appena successo. Molta gente non è andata a votare. Molti si sono lasciati prendere dal dilemma che si cercava di imporre loro: “O il ritorno al vecchio sistema, o Syriza”. In realtà non si trattava assolutamente più di Syriza, che era solo un’etichetta falsa. Il risultato elettorale è lo sbocco del piano dei creditori. Ma il fatto che si sia tentato di organizzarsi, sia pure in condizioni d’urgenza, e che si sia quasi riusciti a contrastare il piano rappresentava un primo passo in direzione della ricostruzione e della raccolta della sinistra radicale, della sinistra dei movimenti sociali, che costituisce sempre un elemento vitale e indispensabile nella società greca. Lei è una dei firmatari dell’appello al “Piano BN”, accanto ad altri firmatari con posizioni notoriamente diverse (ad esempio, Fassina si orienta verso “fronti di liberazione dall’euro”, incluso con le destre nazionaliste). Quel testo caldeggia di rinegoziare i trattati europei. In fondo, è quel che avvenuto quest’anno; come credere che ci sia ancora modo per cambiare l’Europa dall’interno? Dipende da noi. Ma la prospettiva di creare un rapporto di forza sufficiente non è molto remota, se non improbabile? Tutto dipende dalla volontà politica e sociale. L’esperienza della Grecia ha dimostrato che quel che è mancato era la volontà politica da parte di una minoranza governativa – purtroppo dirigente… Ma la volontà sociale e quella del popolo non mancavano. Sono sicura che se questa volontà popolare si fosse combinata con la responsabilità politica di dirigenti seri e sinceri, avrebbe potuto sfociare in conseguenze del tutto diverse all’interno dell’Europa. Va detto che il problema non sono solo i testi ma la completa violazione di testi che non descrivono altro che ciò che dovrebbe andar da sé. No, non è un sogno immaginare un’altra Europa. In ogni caso, io non sarei disposta a far dono dell’Europa a chi vuole trasformarla in gabbia dei popoli e delle società. Lei insiste sul ruolo del popolo e dei movimenti sociali nella democrazia. In che stato si trovano in Grecia? Si assiste a uno choc nella società e all’interno della sinistra, ma credo che, a poco a poco, i movimenti si rivitalizzeranno perché c’è un attacco diretto a tutto ciò che costituisce l’oggetto delle mobilitazioni di questi movimenti. La Commissione per la verità sul debito pubblico greco si è momentaneamente bloccata il 5 ottobre. Ha un futuro, e quale ruolo pensa di svolgervi? Io non sono una persona che guarda alla politica come professione. Credo che il primo dovere dei politici sia quello di essere cittadini. Non ho alcuna difficoltà a continuare, partendo dal mio posto di cittadino, esattamente quel che facevo come membro del parlamento. La Commissione per la verità sul debito pubblico greco non è ancora soppressa, anche se credo che il nuovo presidente del parlamento cercherà di chiuderla. I membri della Commissione, però, hanno l’intenzione di continuare e abbiamo già programmato una prossima riunione in gennaio o febbraio. Quindi ci sarà un seguito. Non va dimenticato che questa Commissione non è un’idea che sia emersa in seno al parlamento, ma è stata avviata per richiesta e sogno di un’intera società nel 2011. È nata all’interno dei movimenti sociali ed è stata solo ribattezzata e strutturata dal parlamento. Ora, senz’altro continuerà funzionando in un altro modo perché, come sta ad indicare il suo nome, è una commissione di verità – e la verità è legata al concetto di perpetuità.
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