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Grecia, Syriza piccona il muro di Berlino Alexis Tsipras sarà il nuovo Premier della Grecia. Il giovane e brillante leader di Syriza, la formazione della sinistra greca, si è imposto con una maggioranza che dimostra come le pressioni illecite che da Bruxelles e Berlino rimbalzavano nel paese, non hanno spaventato i greci. E’ un voto storico per la Grecia e per l’Europa, che per la prima volta nella storia del continente vede trionfare la sinistra radicale. Circa dieci milioni di elettori hanno scelto di manifestare con il loro voto quanto già, inutilmente, avevano detto nelle piazze, cioè che il commissariamento della Grecia da parte della Trojka e l’imposizione del Memorandum hanno portato alla disperazione il paese ellenico. Se nelle precedenti elezioni con la crisi di Nuova Democrazia e del Pasok, così come con l’affermazione di Alba Dorata, i greci avevano manifestato disagi e paure, oggi, con il voto a Syriza, si è prodotto un gesto di ribellione aperta contro le logiche monetariste e l’impianto rigorista nelle politiche di bilancio imposte dai poteri forti europei, che per drenare capitali dalle casse pubbliche verso le banche private hanno determinato impoverimento, disoccupazione di massa e drastica riduzione dei livelli di assistenza e previdenza, condannando buona parte del continente alla crisi economica e sociale più profonda nella storia del dopoguerra. In Grecia, come in altri paesi del fianco sud dell’Europa, si è però dimostrato come l’attuale devastazione economica e sociale non sia solo il frutto di politiche di bilancio approssimative e di crescite sostenute con il debito; al contrario, le crisi economiche e sociali più violente sono il prodotto di politiche rigoriste per tutti ma indulgenti per pochi. La Grecia, in particolare, è stata due volte vittima: dapprima rappresentando il laboratorio per eccellenza delle manovre truffaldine sui conti, utili a incrementare le collegate speculazioni bancarie; successivamente, patenndo sulla propria pelle le manovre di aggiustamento strutturale comandate da BCE e FMI che hanno distrutto la sovranità nazionale, la coesione sociale e le entità pubbliche del paese ellenico. Il tutto mentre si omaggiavano i poteri finanziari del maggiore arricchimento percentuale degli ultimi 50 anni, scaricando sulle finanze pubbliche il debito privato, trasformatosi magicamente in debito sovrano. Quello greco, per certi aspetti, è un voto sulle ricette economiche prima ancora che sulle identità politiche. Il modello dominante che il voto greco mette in discussione, vede l’universalità dei diritti e delle prestazioni come un insopportabile elemento perequativo. Concepisce un modello di società dove il mercato deregolamentato rappresenta l’unica possibilità di accesso ai servizi, la nuova organizzazione socioeconomica dei paesi, persino il nuovo senso comune. Intende l’Europa come un immenso mercato senza regole, dove il valore del lavoro é ridotto a poco più che un elemosina e i diritti sociali azzerati, in modo da poter realizzare profitti da primo mondo con costi da terzo mondo. Non si tratta di formazione accademica, ma d’impianto ideologico. Il passaggio del denaro dalle casse pubbliche alla speculazione, sia sotto forma d’interessi sul debito, sia più direttamente con i tagli virulenti al welfare, trasforma in privilegi per alcuni quelli che un tempo erano diritti universali. E’ parte di una cultura politica che vede nella destrutturazione della coesione sociale un passaggio necessario per la riduzione dello Stato ad ente preposto solo al controllo sociale. Quest’idea di progressiva riduzione del ruolo dello Stato (che in forma esplicita viene concretizzandosi nel nuovo TTPI, il trattato EU-USA di cui si discute in forma segretissima, al riparo da Parlamenti e opinione pubblica) viene contrastato proprio da affermazioni come quella di Syriza, che sul valore delle Istituzioni e sulla loro centralità nel funzionamento delle società, poggiano una cultura politica ad orientamento socialista, che vede nell’equità sociale - e quindi nell’universalità dei diritti e delle prestazioni - la premessa fondamentale. Per questo il voto di ieri in Grecia disegna una discontinuità in forma e sostanza delle politiche monetariste e dell’austerity. La vittoria di Tsipras inverte infatti le logiche politiche fino ad ora manifestatesi come inevitabili ed è l’inizio della critica europea contro la UE a trazione tedesca. Rappresenta la prima, autentica picconata nel muro eretto dai poteri forti europei a salvaguardia del loro sistema di dominio. Com’era da immaginarsi, la prima reazione della Bundesbank è stata la richiesta di conferma degli impegni presi da Samaras e d’indicare con chiarezza cosa Atene vorrà fare con l’Euro. Propaganda ormai inutile. Siryza non ha mai proposto l’uscita di Atene dall’Euro; sono alternativi alle politiche economiche e sociali della UE, non scemi. Siryza viene dall’esperienza della sinistra greca riunitasi nel Synaspismos, con un’attrezzatura di competenze politiche ed economiche di assoluto valore, non sono la versione ellenica dei grillini. Inoltre, i trattati che compongono l’insieme delle norme su cui si fonda l’Unione Europea non prevedono ne direttamente, né indirettamente, la cacciata di un paese dalla Ue e, meno che mai, dalla moneta unica; dunque, se non è Atene a volervi rinunciare (cosa da escludere) né la Merkel, né Junker potranno farci niente. La questione vera, invece, riguarda il debito sovrano e agita i sogni di Berlino e Bruxelles. La Grecia di Tsipras chiederà la rinegoziazione del debito che risulta oggettivamente impagabile e su questo non vi saranno compromessi. Syriza, in concreto, vuole cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico, per poi introdurre una moratoria sul piano di rientro e una clausola di crescita per ripianare il debito restante, in modo da utilizzare le rimanenti risorse per stimolare la ripresa. Bruxelles non ha scelta e dovrà accettare la rinegoziazione del debito pubblico, che infliggerà comunque un colpo alla sua presunta onnipotenza e aprirà un possibile varco al contagio ad altri paesi europei, Spagna in primo luogo, dove Podemos, che incarna la risposta della sinistra non ottusa e conservatrice, risulta prima nei sondaggi d’opinione. In uno scenario dove nel fianco Sud della UE si dovessero innescare dei risultati emulativi di quello greco, il dominio tecnocrate a guida tedesca sull’Europa subirebbe un colpo mortale. Ci sarà chi argomenterà che le dimensioni del paese e l’impatto della sua economia nel complesso continentale risulta relativo e non in grado di produrre un’inversione di tendenza di valore generale, ma in realtà sotto diversi aspetti la Grecia rappresenta ben più che un test. Vedremo quali saranno ora le conseguenze immediate e quelle a medio termine del voto greco; se cioè la UE deciderà di cominciare a ripensare le sue scelte rigoriste o se invece deciderà di provare a forzare il risultato elettorale aumentando minacce e pressioni su Atene. Ci saranno spinte e controspinte, ma il dato è chiaro: le politiche dell’odio sociale da ieri sono messe in discussione, tanto nel loro impianto generale come nelle ricette feroci con cui le si applicano, anche quando con eufemismi verbali ed ipocriti vengono definite “suggerimenti” o “aggiustamenti strutturali”. Con Syriza è l’idea stessa di Stato e di società, di dignità e di sovranità dei paesi, di una economia al servizio del benessere collettivo e non della speculazione di pochi, che ha ripreso cittadinanza in Europa. Sono milioni i cittadini europei che delle politiche rigoriste sono vittime, ma alcuni di essi, ieri, si sono vestiti da scheda elettorale. Un abito made in Grecia, elegante, da giorno di festa.
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