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Lunedì, 07 Dicembre 2015
La notte della Republique
di Dante Barontini
Da anni si parla della Francia come il vero malato d'Europa. Si metteva in luce la crisi del suo modello sociale davanti a una crisi cui l'Unione Europea aveva risposto in modo totalmente diverso dalle abitudini specificamente francesi: austerità, taglio della spesa e divieto di investimenti pubblici. I governi transalpini – sia quello di Sarkozy che a maggior ragione quello dell'evanescente Hollande – si erano adeguati malvolentieri ma rapidamente, accontentandosi di contrattare per la Francia eccezioni non concesse ad altri paesi, come il sistematico sforamento del deficit al di sopra del 3% delle regole di Maastricht o la difesa arcigna dei “campioni industriali nazionali”.
Ma mese dopo mese si era fatta comunque strada la logica per cui bisognava aumentare la competitività riducendo salari e prestazioni del welfare. Una tragedia annunciata, per l'ultimo stato “socialista” europeo.
Diciamo “socialista” nel senso bastardo che questo termine ha assunto nel dibattito contemporaneo, ovvero un sistema economico-sociale con al centro lo Stato, i suoi investimenti, le sue regole e il suo controllo sociale (nel bene e nel male, ovviamente). Appena appena keynesiano, insomma, attento a inclusione e integrazione, alla coesione. Uno Stato capace di progettare lo sviluppo del paese, orientando il sistema bancario e quello delle imprese per raggiungere obiettivi politico-sociali decisi dalla “politica”. Termine che a sua volta è sentito in Francia molto diversamente che qui da noi, perché “i politici” d'Oltralpe sono frutto – tutti, di qualsiasi schieramento – di una formazione univoca presso l'Ena (l'istituto di alti studi in scienze dell'amministrazione), non avventurieri presi per caso da un talk show o da un telequiz. Gente con qualche competenza vera, insomma, corruttibile come chiunque altro, ma capace di dimissioni se presa con le mani nella marmellata.
Questo Stato è entrato in crisi irreversibile con il progressivo trasferimento di sovranità all'Unione Europea. La progettazione è stata rapidamente smantellata, perché sono le imprese multinazionali e il sistema finanziario a dettare le nuove regole; gli Stati debbono semplicemente predisporre i rispettivi territori a presentare le migliori condizioni di investimento. Il welfare, per quanto più robusto che da noi, ha seguito la stessa strada. L'occupazione è diventata precaria e “intermittente” (il termine è nato in Francia non a caso), il salario un sacchetto sempre meno pieno. Le periferie sono diventate anche per i francesi-francesi delle banlieue vuote di futuro e prospettive, sovraccariche di disagio, isolamento, risentimento.
Un quadro sociale devastato dove anche nei quartieri tradizionalmente operai e di sinistra – come la regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie che ha fatto atto di sottomissione a Marine Le Pen, ieri – ha cominciato a farsi strada un senso comune pauperistico e reazionario: “se c'è di meno, che quel poco sia prima per i francesi”.
Su questa landa desolata di speranze è infine arrivata la guerra asimmetrica globale, resa illegibile e incomprensibile dall'uso pervasivo del termine “terrorismo”, la notte in cui tutte le vacche sono nere e prosperano gli incubi. Guerra a cui i cretini “di sinistra” hanno reagito esattamente come la destra, senza averne la stessa credibilità sull'identico terreno. Persino i geniali pensatori che guidano il sedicente Front de gauche si sono intruppati al canto della Marsigliese, senza più farsi né porre domande. Quelle banali e semplici: da dove viene questa guerra, perché è esplosa, chi è il nemico, in cosa dovrebbe consistere “la vittoria”, ecc.
La Republique ammaina la bandiera della libertà dopo aver già seppellito quelle dell'uguaglianza e della fraternità. Lo si era intuito con la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato sostanzialmente all'infinito (quando mai potrà finire se “il nemico” può reclutare all'interno della metropoli?). Il massimo della libertà concepibile è quella limitata alla birretta nel bistrot, al concerto trasgressivo, ai comportamenti sessuali e alla satira contro il nemico.
Per il resto zitti e fidatevi di chi comanda. Che non a caso ora potrà anche essere in continuità diretta con il fascismo, appena appena “ripulito” e tirato a lucido, persino materno e in abiti femminili. |
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7 dicembre 2015
Il terremoto biondo delle due Le Pen fa tremare la Francia e l’Europa
di Umberto Mazzantini
Le colpe della sinistra divisa e le due destre di un’Europa che, così, sembra non avere futuro
Secondo i risultati ufficiali resi noti dal ministero degli interni francese, alle elezioni regionali di ieri il Front National è diventato il primo partito della Francia con il 27,96 % dei voto, davanti all’Union de la droite formata da Les Républicains di Nicolas Sarkozy, MoDem e UDI al 26,89%, terzo il Parti Socialiste che, con il minuscolo Partito radicale di sinistra, ottiene un “miracoloso” 23,33% che gli permette di rimanere in testa in due regioni – Aquitaine-Limousin-Poitou-Charentes e Bretagne – e di giocarsi il ballottaggio in altre.
Disastroso il risultato dei Verdi (EELV), che arrivano al 6,6% – meno della metà delle precedenti elezioni regionali -, sconfortante quello del Front de gauche che supera di poco il 4%, anche se è difficile calcolarne il vero peso, visto che era variamente alleato e diviso secondo le regioni, un po’ come ci si prepara a fare – per aggiungere confusione a confusione e debolezza a debolezza – in quel che resta della sinistra italiana alle amministrative della prossima primavera. I risultati dimostrano che una (improbabile) coalizione PS, Verdi, Gauche, avrebbe superato le due destre, ma questa frantumazione, voluta soprattutto dal PS che ha imposto una virata moderata, ha reso impossibile ogni alleanza al primo turno e compromesso il successo al secondo turno.
In Corsica la frammentazione è al massimo: prima arriva la liste divers gauche dl presidente uscente Paul Giacobbi, seconda la lista nazionalista del sindaco di Bastia Gilles Simeoni, terza la destra sarkozista, quarta un’altra lista nazionalista. Qui la scena è occupata da un altro nazionalismo e il FN è solo quinto.
Le due Le Pen, la zia e nipote, Marine e Marion Maréchal-Le Pen, hanno stravinto – superando il 40% dei voti – rispettivamente in Provence Alpes-Côte d’Azur e Nord-Pas de Calais-Picardie e il FN affronta i ballottaggi in testa in altre 4 regioni. Queste due signore eredi di una dinastia di politici di professione fascisti sono riuscite nel miracolo di diventare agli occhi di un terzo dell’elettorato francese l’alternativa ai “fannulloni” politici di professione.
L’astensione ha raggiunto quasi il 50%. Il Partito socialista si è detto subito disposto a ritirarsi al secondo turno dove è in testa il FN per favorire un front républicain e la destra di Sarkozy – che sembra il vero sconfitto di queste elezioni – non ci pensa nemmeno a farlo nelle altre regioni.
Fin qui i risultati, ma la Francia e probabilmente l’Europa ieri hanno subito un terremoto politico tanto annunciato quanto devastante per il loro futuro. Lo scenario tanto temuto da Sarkozy si è realizzato: la svolta a destra dei suoi Les Républicains è servita solo a farsi scavalcare dal Front National. Guardando la carta geografica di questi risultati elettorali si vede che l’avanzata del FN ha meno vigore dove la sinistra resiste. Ma questo significa anche che il populismo e la politica della paura del FN sta erodendo voti a sinistra. Questo significa che la sinistra, in particolare quella esterna all’ormai centrista Partito Socialista, non ha più nessun vero rapporto ed attrattiva con e per quella che era la sua base elettorale, con gli operai, le periferie, gli intellettuali impoveriti, i dipendenti statali e i piccoli commercianti massacrati dall’austerità e da una globalizzazione mai spiegata e ridotta a “diritti”, scontri di civiltà, islamofobia, difesa dell’indifendibile, minoritarismo ad oltranza…
E’ in questa ritirata “infastidita” dalle paure delle classi che erano una tempo non tanto lontano il riferimento della Sinistra che è nato quel mostriciattolo di demagogia populista che è il Front National, così uguale e così diverso dalla Lega Nord Italiana, così simile alla destra populista ungherese, così vicino ad alcune cose che dice sull’Europa il Movimento 5 Stelle. Così “europeo” e così inossidabilmente francese, così radicato nella tradizione reazionaria della Francia. Probabilmente il FN e le due bionde signore Le Pen sono quanto di più dirompente ci sia per l’Europa perché il loro neofascismo annacquato e ripulito è in realtà una potente alternativa all’Europa neoliberista, un’alternativa che guarda indietro, ad un periodo dell’oro mai esistito, un’alternativa che seduce usando la paura, il richiamo al sangue, alla patria. Un’alternativa d’ordine che lascerà – come dimostra l’Europa dove la destra populista già governa – intatti i privilegi e distribuirà un po’ di assistenzialismo e randellate ai poveracci e ai profughi, continuando ad indicare gli stessi capri espiatori di quando era all’opposizione.
Il dramma è che questa alternativa sembra più seducente di quella di una socialdemocrazia che l’alternativa non l’ha praticata, che è scivolata in un accordo suicida con la destra neoliberista, che ha assunto questa Europa delle banche e dei banchieri, delle lobbies e delle multinazionali, come unico orizzonte del presente e del futuro, che ha spezzato le reni a qualsiasi sinistra alternativa – a cominciare dalla Grecia – vista come il vero pericolo per l’unità dell’Europa, che si è illusa e si illude, in Francia come in Italia, che avere come unico avversario una destra populista e neofascista è comodo dal punto di vista elettorale e permette di dire “l’unica alternativa a noi è il caos”, mobilitando così a suo favore un elettorato deluso che altrimenti voterebbe più a sinistra.
Bene, il caos è arrivato ed è biondo, ariano, francese ed odia l’Europa. Se qualcuno demolirà la traballante costruzione europea non saranno Alexis Tsipras, Podemos o il nuovo governo di sinistra portoghese che si è tentato in ogni modo di far nascere, tacendo persino su l tentativo di golpe costituzionale ordito dal presidente della Repubblica uscente, saranno Marine e Marion Le Pen e la loro fiamma tricolore fascista modernizzata e trasformata in quell’alternativa che è un ritorno al passato, al nazionalismo, alla chiusura. L’alternativa che per difendere i diritti conquistati li riduce, che dice che si può essere più sicuri emarginando ancora di più gli emarginati, più liberi escludendo molti, più europei negando i valori fondanti dell’Europa, più repubblicani e laici cantando la Marsigliese e inneggiando alla purezza cristiana della Vandea anti-rivoluzionaria, o riscrivendo la storia francese mettendo sullo stesso piano Giovanna D’Arco, Napoleone e i bei tempi andati dell’imperialismo coloniale.
Ma è indubbio che ormai parlare di neofascimo è improprio: siamo di fronte – non solo in Francia – ad un nuovo populismo spregiudicato, ad una miscela ideologica volutamente instabile e indefinita, che si è impadronita di temi cari alla sinistra che la sinistra socialdemocratica – e il PD in Italia – avevano messo nella soffitta delle cose appartenenti al passato, ubbie da lavoratori dipendenti, da posto fisso, da classe media impoverita che vuole mantenere i suoi piccoli “privilegi” dello Stato sociale, mentre la vera Sinistra del futuro abbandona questo vecchio ciarpame e guarda all’innovazione, al progresso senza nostalgie per un passato di antiche bandiere rosse, nel quale risuonano le parole di un vecchio Karl Marx ancora così scomode nella loro modernità.
La sinistra “alternativa”, là dove non è riuscita ad interpretare questo, a dare gambe alternative e speranze a questa rabbia disperata per un presente senza un orizzonte futuro, ha fatto ancora peggio, rifugiandosi in un elitarismo che troppo spesso sconfina nell’opportunismo elettoralistico, in un mondo immaginario nel quale sfumano i problemi reali, nel quale ogni minoranza viene esaltata e non esiste più un progetto comune, un quadro di riferimento un’idea alternativa e condivisa di società. Una sinistra che ancora una volta sembra ossessionata da quel che fa una sempre più scialba socialdemocrazia, mentre dovrebbe avviare con coraggio quella traversata antifascista del deserto che è l’unico modo per diventare nuovamente un’alternativa all’esistente.
Nei discorsi identitari delle Le Pen il mondo con i suoi complessi drammi scompare e diventa, trasfigurato, un’altra cosa, più semplice e forse più terribile, fatta di nemici ed amici, dove tutto è rosso o nero, ma che è leggibile per chi non ha non vuole avere gli strumenti per decodificare ingiustizie ed imposture. Ma quale è la decodificazione del terribile mondo del cambiamento climatico, delle ingiustizie crescenti, dell’abisso tra redditi e delle povertà, del mondo della Terza guerra mondiale diffusa fatta dalla sinistra occidentale che non si vuole piegare al neoliberismo?
E’ da questo karakiri delle sinistre europee ed occidentali che nasce il successo delle due bionde signore francesi che potrebbe riportarci molto indietro. La paura, ancora una volta, non serve, serve una sinistra che sappia parlare dei temi del mondo – a cominciare da quelli che si stanno discutendo proprio alla COP21 Unfccc di Parigi – che sappia decodificarli, renderli leggibili, che sappia rimettere in marcia la lotta per un mondo più giusto per tutti, che sappia indicare un’alternativa alla paura, all’odio e alla chiusura, che sappia indicare ai poveri, ai lavoratori, agli impoveriti e ai delusi quale è l’eterno avversario di quel che era la sinistra. L’eterno avversario che, qualunque destra vinca, resterà sempre in sella.
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