http://www.eastjournal.net/ 30 giugno 2015
L’Ucraina e la crisi della politica europea di vicinato di Davide Denti
La guerra in corso in Ucraina ha trovato l’UE impreparata e l’Italia distratta, ma “quello che sta succedendo in est Europa condizionerà il nostro futuro molto più di ciò che avviene oggi nel Mediterraneo. Il vicinato europeo si è trasformato in pochi anni da un ring of friends a un ring of fire“. Così il presidente IAI Gianni Bonvicini, intervenuto a Trento il 17 giugno all’incontro “La politica europea di vicinato in crisi?”. La stessa Unione europea, d’altronde, riconosce ormai di aver fallito nel comunicare ai russi il progetto di politica di vicinato, che non era nato come uno strumento antagonistico, a somma zero, come è invece stato percepito a Mosca. Con il risultato che, se Mosca nel 2004 non era contraria all’allargamento UE in Europa centro-orientale, oggi fa invece di tutt’erba un fascio tra UE e NATO. In secondo luogo, si riflette a Bruxelles su quanto non sia stato opportuno intervenire con messaggi di sostegno al movimento del maidan, non da parte di semplici esponenti politici (il che resta legittimo) ma da parte di esponenti di governo (il che è stato invece problematico a livello diplomatico), e soprattutto di fronte ad interlocutori sensibili per non dire paranoici come i russi. Se lo scoppio del conflitto armato, l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass restano responsabilità primariamente russe, esse hanno comunque trovato il concorso di alcuni errori da parte UE. Per Serena Giusti, professore al Sant’Anna di Pisa, il progetto di Partenariato Orientale (Eastern Partnership, EaP) offerto dall’UE ai paesi post-sovietici si è rilevato inadeguato. I suoi contenuti, con il libero scambio commerciale e la libertà dai visti inseriti negli accordi d’associazione, sono stati visti in maniera negativa da parte di Mosca, anche per via della percezione russa dei paesi promotori dell’EaP, Polonia e Svezia. Così, la politica di vicinato e il partenariato orientale sono stati considerati come una politica d’influenza UE all’interno di uno spazio proprietario per Mosca, in cui la Russia è in grado di utilizzare molteplici leve di influenza, dal soft power alla coercizione economica e militare. Il vicinato comune si è trasformato in uno spazio competitivo tra due poli in opposizione con politiche simili di integrazione regionale. Secondo Nona Mikhelidze, ricercatrice IAI, la divisione etnoculturale di cui si fa un gran parlare non era mai emersa prima, in Ucraina. “Il vero nation building in Ucraina avviene oggi, grazie alla Russia. L’Ucraina non è mai stata divisa sull’Europa”, a differenza che sulla Nato. Ma “la causa del conflitto restano le politiche interne alla Russia”, più che gli avvenimenti a Kiev o in Crimea. Secondo Mikhelidze, la Russia teme il consolidamento della democrazia nell’area post-sovietica, come minaccia alla sopravvivenza del regime russo. Prova ne sono le leggi del 2012 e 2013 di limitazione della libertà della società civile, duro colpo per quelle ONG definite ‘non desiderabili’ dal governo. “Si è sviluppato un discorso sulla ‘quinta colonna’ e sui traditori interni, come era scritto sui cartelloni con il volto di Boris Nemtsov, poi ammazzato. Si è creato un sistema dove è stato possibile che Nemtsov venisse ucciso davanti al Cremlino”. Mikhelidze ricorda la necessità di dare più ascolto agli esperti locali. “Secondo Dmitry Oreshkin, abbiamo oggi in Russia un processo di scomparsa dello stato come sistema di istituzioni e di privatizzazione della violenza, una Russia come confederazione di mafie, da quella di Kadirov in poi. Per Dmitri Trenin del Carnegie, la situazione domestica in Russia è grave: declino economico, calso delle piccole imprese, povertà crescente, calo degli investimenti esteri e delle fonti di reddito per il bilancio nazionale, legato al calo dei prezzi del petrolio e alla concorrenza dello shale gas.” Chi si chiede che fare se gli accordi di Minsk-2 non funzionassero, “ma Minsk-2 va già male!“, continua Mikhelidze. “L’UE riconfermerà le sanzioni alla Russia proprio per questo: la linea del fronte si è spostata di 70 km solo negli ultimi mesi. Se Putin nell’estate vorrà prendere Mariupol sarà vera battaglia, e le sanzioni si aggraveranno ancor di più.” Gli avvenimento dell’ultimo anno, secondo Jens Woelk, professore di diritto europeo all’Università di Trento, hanno provveduto a “seppellire il concetto di sicurezza democratica post-’89″. L’Europa è tornata in un mondo di discorsi di geopolitica e realpolitik com’era al tempo della guerra fredda, in cui “viene meno un quadro giuridico comune e condiviso con la Russia, com’era quello costruito negli anni ’90 sullo strumentario giuridicamente vincolante dell’OSCE e del Consiglio d’Europa”. Il federalismo di cui si discute per l’Ucraina potrebbe essere uno strumento utile per il paese, ma “parlarne oggi resta poco opportuno, poiché si rinfocolano le paure di ulteriori secessioni”. Piuttosto, seguendo le proposte della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, l’Ucraina sta andando verso un processo di decentramento, seguendo il modello della riforma costituzionale del 1997 in Polonia: “tre livelli territoriali, di cui uno eventualmente asimmetrico (le regioni autonome), e un consiglio delle autorità locali come seconda camera, consultiva, del paese: sembra poco ma significa molto, perché ci si allontana dalla tradizione post-sovietica”. D’altronde, gli enti locali sono solo uno dei temi di riforma individuati dalla Commissione di Venezia: “governo, parlamento, magistratura, decentramento: il paese è fragile e resta interamente da riformare“, conclude Woelk. Quali vie d’uscita, quindi? Purtroppo soluzioni a breve termine non se ne vedono. Sarà necessario continuare ad esprimere fermezza di fronte all’azione russa in violazione del diritto internazionale, anche tramite le sanzioni volte alla piena attuazione degli accordi di Minsk-2 e al ristabilimento dell’autorità dell’Ucraina sulle proprie frontiere. In ciò, la Russia è implicata come parte del conflitto, anche se tenta di atteggiarsi più a mediatore. Dove l’Europa ha più responsabilità, inoltre, è nel sostegno all’Ucraina per mettere in piedi un apparato di governo che risponda alle esigenze dei cittadini – e anche a ricordare a Kiev i propri passi falsi, come l’ultima nomina a governatore di Odessa di Mikhail Saakashvili, ex presidente georgiano, personaggio controverso in patria (dove è indagato) e odiato in Russia – pur se, secondo alcuni, tale nomina rientra in una logica di esternalizzazione dei rischi da parte di Poroshenko, con Saakashvili che potrebbe fare velocemente da parafulmine in caso di fallimento. L’obiettivo resta quello di favorire la costruzione di una Ucraina funzionante e non percepita come antagonista da Mosca Infine, resta necessario impegnare la Russia in un dialogo, senza sconti ma indispensabile. Una Russia isolata, si ragiona a Bruxelles, è ancora più pericolosa. Il contributo russo resta inoltre necessario su altri dossier diplomatici, dalla Siria alla Libia, e l’isolamento non potrebbe mai essere una strategia efficace, vista la continuità nelle relazioni tra Mosca e i vari paesi emergenti (BRICS). Di sicuro, per il futuro, servirà sviluppare una differenziazione tra gli strumenti delle politiche di vicinato, e mantenere l’unità tra gli stati membri UE come condizione necessaria ma non sufficiente per una politica estera comune. E fondamentale, da questo punto di vista, sarà il riallacciare i contatti tra le società civili, quella russa e quelle europee, che sono stati duramente colpiti da sanzioni e controsanzioni, e dalla stretta repressiva del regime moscovita. “Bisogna riflettere su come coinvolgere la società civile russa pur condannandone la leadership politica“, afferma Giusti, che propone di riprendere il concetto di “partenariato per la modernizzazione” che era stato alla base delle relazioni UE/Russia nei primi anni 2000. “La Russia si è dimostrata pronta a cooperare su questioni specifiche e tecniche, come quella della protezione dei consumatori su cui c’è stata effettivamente convergenza normativa. Il passaggio a questo tipo di cooperazione su temi di low politics potrebbe essere utile per decomprimere le tensioni attuali”, conclude Giusti. D’altronde la questione del mantenere i contatti tra società, people-to-people, mentre i rapporti politici sono ai minimi termini, è stata già d’attualità nell’ultimo decennio e mezzo nelle relazioni tra UE e Bielorussia, con scarsi risultati. E anche nel caso bielorusso la cooperazione e diffusione normativa si è dimostrata possibile in casi tecnici e settoriali, come quello del controllo delle frontiere. Per Nona Mikhelidze la prima, ma meno probabile via d’uscita, è che la Russia accetti le regole del gioco: “ma la democrazia è una minaccia per la verticale del potere attorno a Putin”. In secondo luogo ci potrebbe essere un congelamento del conflitto, a cui Kiev non si oppone più: “il Donbass è solo il 4% del territorio ucraino, a Kiev hanno capito che è preferibile lasciarlo lì per ottenere spazio per introdurre riforme nel paese. Ma il calcolo di Putin è che l’Ucraina fallisca prima della Russia, e che l’occidente rinunci a salvarla.” In questo, va segnalata anche l’evoluzione della posizione tedesca sulle sanzioni. Ricorda Mikhelidze, “Stefan Meister ha da poco dichiarato che l’era della Ostpolitik socialdemocratica è finita, e che a Merkel non resta che comunicare alle imprese tedesche che le sanzioni resteranno.” Sarà necessario, infine, iniziare a fare previsioni di scenario affinché l’UE si trovi preparata al dopo-Putin. Esistono infatti segnali (dalla crisi economica all’inflazione), secondo vari osservatori, che la fine del regime russo si avvicini, e che la guerra in Ucraina venga utilizzata per distrarre la popolazione dalla spossatezza economica interna. “E’ necessario fare previsioni di scenario”, conferma Mikhelidze, “perché un collasso del putinismo potrebbe non essere così pacifico come fu quello dell’URSS”. In tal caso, l’UE non potrà farsi trovare di nuovo impreparata. |