http://www.internazionale.it/ 05 Giugno 2015
Il presidente turco Erdoğan affronta un voto incerto di Bernard Guetta Traduzione di Andrea Sparacino
Domenica 7 giugno oltre 55 milioni di turchi saranno chiamati alle urne per il rinnovo della Grande assemblea nazionale, il parlamento unicamerale del paese formato da 550 deputati eletti ogni quattro anni con un sistema proporzionale
I sondaggi potrebbero anche rivelarsi sbagliati, e magari domenica sera il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan otterrà la maggioranza parlamentare dei due terzi, che gli permetterebbe di autoassegnarsi grandi poteri imponendo al paese un sistema presidenziale, o quantomeno riuscirà a far eleggere un numero di deputati del suo partito (Partito per la giustizia e lo sviluppo, Adalet ve kalkınma partisi, Akp) sufficiente a tentare la via del referendum. Per il momento, però, le previsioni dicono altro. Allo stato attuale i sondaggi non garantiscono nemmeno una maggioranza semplice a Erdoğan. L’uomo e il suo partito sono ormai lontani dal sostegno popolare di cui hanno goduto dopo le elezioni del 2002 e dalle costanti vittorie agli scrutini successivi. C’è stata un’età dell’oro per Erdoğan e per l’Akp, un’epoca in cui un tasso di crescita alla cinese ha permesso la costruzione di nuove infrastrutture ai quattro angoli del paese, riducendo la disoccupazione e spingendo la Turchia tra le prime venti economie del mondo. Era l’epoca in cui questo partito islamista affascinava il mondo con il successo della sua conversione alla democrazia e al rispetto della laicità. Diventati “islamici conservatori”, questi ex islamisti facevano proseliti in tutto il mondo arabo, a cominciare dalla Tunisia. Ma ora le cose sono cambiate. Il tasso di crescita turco è tornato sotto il 3 per cento, mentre il tasso di disoccupazione è all’11 per cento. Questa situazione alimenta il malcontento, e l’autoritarismo megalomane da cui è affetto Erdoğan dopo 12 anni alla guida del governo e dieci mesi come presidente preoccupa molti elettori. I laici si fidano sempre meno di lui, le nuove classi medie nate dal boom non sopportano il suo tradizionalismo e nel frattempo intere frange dell’Akp vorrebbero formare una destra modernista e liberale a immagine e somiglianza delle altre destre europee. Oggi i mezzi d’informazione e i sondaggisti turchi vedono Erdoğan in grande difficoltà, ma cosa accadrebbe se le loro previsioni fossero confermate? Sarebbe un cambiamento epocale, a livello nazionale e forse anche regionale. Secondo una prima ipotesi Erdoğan potrebbe conquistare una maggioranza parlamentare che però non sarebbe abbastanza netta da modificare la costituzione. Umiliato e senza altri poteri oltre a quelli protocollari, il presidente potrebbe perdere il controllo del suo partito, all’interno del quale i modernizzatori stanno guadagnando sempre più spazio. Sarebbe la prova che l’islamismo è compatibile con la democrazia, ma in questo caso il cambiamento resterebbe all’interno della Turchia. Una seconda ipotesi sarebbe quella in cui il “califfo” (come lo chiamano i suoi oppositori) non otterrebbe nemmeno una maggioranza semplice e sarebbe costretto ad allearsi con il partito curdo (Partito democratico dei popoli, Partiya demokratik a gelan), che accetterebbe di appoggiarlo solo in cambio di una grande autonomia delle regioni curde. In un momento in cui il Kurdistan siriano e quello iracheno sono sostanzialmente indipendenti, uno sviluppo di questo tipo scatenerebbe un terremoto e contribuirebbe pesantemente alla ridefinizione delle frontiere in tutta la regione. Le elezioni di domenica, insomma, potrebbero avere un’importanza capitale.
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