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Venerdì, 06 Novembre 2015

Si espande la protesta di intellettuali, artisti e accademici indiani
di Matteo Miavaldi

La protesta di intellettuali, artisti e accademici indiani sta continuando ad espandersi a macchia d'olio, dando vita a un movimento di fatto politico (per ora senza bandiere) che vuole opporsi alla deriva di violenze intercomunitarie di stampo estremista hindu che l'India sta vivendo negli ultimi tempi.
Ieri ha aderito alla protesta la scrittrice Arundhati Roy, tra le intellettuali più conosciute fuori dall'India e tra i più duri critici del Potere indiano (senza grossa distinzione di colore politico), annunciando di aver riconsegnato il National Award for Best Screenplay che vinse nel 1989 per la sceneggiatura di "In Which Annie Gives It To Those Ones" (lo potete vedere in versione integrale sottotitolata in inglese qui).
Per farlo, ha scritto una durissima lettera aperta pubblicata dal The Indian Express, in cui spiega il motivo del gesto e cosa sta succedendo in India oggi.
La traduciamo qui per intero, nella speranza che oltre a parlare delle scimmie con sei dita, dei santoni, dei marò, della povertà e del (presunto) miracolo economico indiano, si possa iniziare a parlare anche di chi in India lotta - in modalità anche discutibili, ma qui apriamo un altro capitolo - per una società migliore che giustifici la dicitura "democrazia" al fianco di "Repubblica indiana".
Nella traduzione ho inserito alcuni link esplicativi per le parti che ritengo necessario approfondire, rimandando via via a pezzi che ho scritto in passato o a pagine Wikipedia dalle quali partire per eventuali ricerche individuali.

Perché ho riconsegnato il mio premio
di Arundhati Roy


Nonostante non creda che i premi siano l'unità di misura per valutare il valore del nostro lavoro, desidero aggiungere il National Award for Best Screenplay che ho vinto nel 1989 alla pila crescente dei premi riconsegnati. Inoltre, voglio chiarire che non sto riconsegnando questo premio perché sia "shockata" dalla cosiddetta "intolleranza crescente" incoraggiata dall'attuale governo.
Prima di tutto, "intolleranza" è la parola sbagliata per descrivere linciaggi, omicidi, incendi dolosi ed esecuzioni di massa ai danni di esseri umani come tutti noi.
Secondo, eravamo stati avvertiti con molto anticipo di ciò che ci aspettava, per questo non posso dirmi "shockata" da quello che sta succedendo da quando questo governo è stato entusiasticamente votato ed eletto da una maggioranza schiacciante [di elettori].
Terzo, questi orribili omicidi sono solamente il sintomo di un malessere più profondo. La vita è un inferno anche per chi i vivi. Intere popolazioni - milioni di dalit, di adivasi [i tribali indiani, ndt], musulmani e cristiani - sono costretti a vivere nel terrore, senza sapere quando e da dove verrà condotto il prossimo assalto.
Oggi viviamo in un paese nel quale, quando i criminali e gli alti papaveri del Nuovo Ordine parlano di "massacro illegale" si riferiscono all'immaginario delle mucche uccise, non a uomini in carne ed ossa assassinati. Quando parlano di "prove per gli esami della scientifica" della scena del delitto, indicano il cibo nel frigoriero, non il corpo di un uomo linciato. Diciamo che siamo "progrediti", ma quando i dalit vengono massacrati e i loro figli bruciati vivi, quale scrittore oggi può dire liberamente, come Babasaheb Ambedkar disse un tempo, che "per gli intoccabili l'induismo è una vera e propria camera degli orrori", senza venire attaccato, linciato, ammazzato a colpi di pistola o arrestato?
Quale scrittore può scrivere ciò che Saadat Hasan Manto scrisse nel suo "Letters to Uncle Sam"? Non importa se siamo d'accordo o in disaccordo con quello che viene detto. Se non abbiamo il diritto di parlare liberamente, ci trasformeremo in una società affetta da malnutrizione intellettuale, una nazione di imbecilli. In tutto il subcontinentesi sta correndo una gara verso il peggio, una gara alla quale la Nuova India ha aderito entusiasticamente. Ora anche qui la censura è stata appaltata alla folla.
Sono molto lieta di aver trovato (da qualche parte nel mio passato) un premio nazionale che potessi riconsegnare, così da poter diventare parte un movimento politico iniziato da scrittori, registi e accademici in questo paese che si sono sollevati contro una certa brutalità ideologica e un attacco al nostro quoziente intellettivo collettivo che intendono farci a pezzi e seppellirci a fondo se non ci opponiamo ora. Credo che ciò che stanno facendo ora artisti e intellettuali sia senza precedenti e non abbia alcun esempio simile nella storia. È politica in forma diversa. Sono estremamente orgogliosa di farne parte e mi vergogno profondamente per quello che sta succedendo oggi in questo paese.
Post scriptum: Per la cronaca, ho rifiutato il Sahitya Akademi Award nel 2005, quando il Congresso era al potere. Quindi risparmiatemi il vecchio dibattito Congress vs Bjp. Le cose sono andate ben oltre. Grazie.

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