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16 November 2015

 

La guerra impossibile da vincere

di Glen Newey

 

'Nous sommes en guerre.' L’affermazione di Nicolas Sarkozy di Domenica mattina, dopo l'incontro con François Hollande per discutere i massacri di Parigi, ha fatto eco alle dichiarazione del suo successore al popolo francese di Venerdì sera, che ha utilizzato la parola guerra quattro volte. La moderna arte di governare, schiera un esercito mobile di metafore miste, come quando i loro che uccidono noi, sono anch’essi, in parte, noi. Se si tratta di guerra all'estero, questo significa che gli assassini di venerdì contano come combattenti, con diritti della Convenzione di Ginevra, e che l'azione militare ha bisogno di autorizzazione legale? Se si tratta di terrorismo interno, a che titolo lo Stato deve spaziare oltre i suoi confini, perseguendo Isis in territorio sovrano straniero?

La guerra dichiarata di Isis, per gli attacchi di Parigi, è causata dall’attacco dei militari francesi contro di essi, che il presidente Hollande ha esteso verso la fine del mese di settembre dall'Iraq ai campi di addestramento di Isis nella Siria orientale. Come con l’operazione congiunta britannica/Usa, che sembra aver preso di mira Mohamed Emwazi Giovedi, la questione della legalità, se eventualmente sollevata, viene consegnata ad un limbo decisionistica: abbiamo evaporato Emwazi, e allora cosa c'è che non va? Una cosa non piace, a parte la pretesa plausibile che queste azioni siano controproducenti nel lungo periodo, è che mina le pretese di superiorità morale che sono un presupposto, ed aliena ulteriori potenze regionali la cui cooperazione è necessaria. Il terrorismo islamico è un virus che muta costantemente. La guerra contro di essa non è finalmente vincibile. L’incapacità di vincerla produrrà una prevedibile spirale di indignazione e di errata risposta.

Per quanto riguarda il diritto internazionale, l'azione militare unilaterale o congiunta dei paesi occidentali in Siria potrebbe essere legalizzata per tre motivi: una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (alla quale però sarebbe posto il veto di Russia e Cina); l’invito di Assad (ma, non piace alla Russia, che non è stato disponibile); o in difesa di un altro stato. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno invocato la richiesta irachena di assistenza militare per giustificare il loro intervento in Iraq e in Siria. Ma, siccome Isis non è riconosciuto come uno stato, questo terreno è problematico. Nel 2005, la Corte internazionale di giustizia è interventa presso l'Uganda e la Repubblica democratica del Congo, contro i ribelli anti-ugandesi ritenuti illegali, sarebbe stato legale solo se la RDC avesse sostenuto i ribelli, ma erano in una pletora di milizie anti-governative attive nel Congo orientale. Chiaramente, Assad non sta appoggiando l’Isis. A che titolo gli Stati sovrani pretendono di bombardare milizie non statali al di fuori della loro giurisdizione per motivi di autodifesa rimane da stabilire.

La pressione sui politici, ricadendo con orrore sullo spargimento di sangue, spinge verso un approccio senza guanti, sulla base della ragion di Stato. Lo Stato ha ragioni che la ragione stessa non riesce a capire. In un contesto di xenofobia si alzò da Pegida, Le Pen, Wilders e il resto: - Siamo in una guerra, la cui invincibilità richiede ulteriori diktat di auto-sconfitta. Dopo l'incontro con Hollande, Sarkozy, con un occhio all'Eliseo, ha chiesto un inclinazione, un’inflessione, un cambio di orientamento nella politica estera francese verso la Siria e la Russia, al fine di distruggere Isis, anche se Assad ha causato circa il 95 per cento delle morti della guerra civile. Putin ha disegnato anelli concentrici intorno alle politiche occidentali in Siria, ma una nuova inclinazione bilaterale della Francia per Damasco non può decollare, anche perché la politica estera francese ha bisogno di rimanere sul lato destro di Stati Uniti e Turchia. Il dibattito a questo livello è finito, sono diverse le armi per combattere la nebbia.

 


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16 November 2015

 

Unwinnable War

By Glen Newey

 

‘Nous sommes en guerre.’ Nicolas Sarkozy’s statement on Sunday morning, after meeting François Hollande to discuss the massacres in Paris, echoed his successor’s statement to the French people on Friday evening, which used the g-word four times. Modern statecraft deploys a mobile army of mixed metaphors, as when the ‘they’ who kill ‘us’ are also partly ‘us’. If it’s war abroad, does that mean that Friday’s killers count as combatants, with Geneva Convention rights, and that military action needs legal authorisation? If it’s domestic terrorism, what title does the state have to range beyond its borders, pursuing Isis on foreign sovereign territory?

Isis’s stated ground for the Paris attacks is the French military strikes against it, which President Hollande extended late in September from Iraq to Isis training camps in eastern Syria. As with the US/British operation which seems to have taken out Mohamed Emwazi on Thursday, the legality question, if raised at all, is consigned to a decisionistic limbo: we ‘evaporated’ Emwazi, so what’s not to like? One thing not to like, apart from the plausible claim that these actions are self-defeating in the long run, is that it undermines the claims to moral superiority it’s premised on, and further alienates regional powers whose co-operation it needs. Islamic terrorism is a virus that constantly mutates. ‘War’ against it is not finally winnable. Failure to win calls forth a predictable spiral of outrage and misconceived response.

As far as international law goes, Western states’ unilateral or joint military action in Syria could be legalised on three grounds: a UN Security Council resolution (but that would be vetoed by Russia and China); invitation by Assad (but, unlike with Russia, that has not been forthcoming); or in defence of another state. The US and UK have invoked Iraq’s request for military assistance to justify their intervention in both Iraq and Syria. But, because Isis is not recognised as a state, this ground is problematic. In 2005, the International Court of Justice found Uganda’s intervention in the Democratic Republic of Congo against anti-Ugandan rebels to be illegal – it would have been legal only if the DRC had backed the rebels, but they were among a plethora of anti-government militias active in eastern Congo. Clearly, Assad is not backing Isis. Sovereign states’ title to strike against non-state militias outside their jurisdiction on self-defence grounds remains to be established.

Pressure on politicians, recoiling in horror at the bloodshed, pushes towards a gloves-off approach based on reason of state. The state has reasons that reason itself cannot fathom. Against a background of xenophobia got up by Pegida, Le Pen, Wilders and the rest, we’re in a war whose very unwinnability prompts further self-defeating diktats. After meeting Hollande, Sarkozy, with an eye on returning to the Elysée in 2017, called for a tilt (‘une inflexion’) in French foreign policy towards Syria and Russia in order to smash Isis, even though Assad has caused around 95 per cent of the deaths in the civil war. Putin has run rings round occidental policy-makers in Syria, but a bilateral French tilt to Damascus is never going to fly, not least because French foreign policy needs to keep on the right side of the US and Turkey. Debate at this level is over different weapons to fight fog.

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