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lunedì 25 maggio2015

 

Centenario dell'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale: non c’era nulla da festeggiare.

 

Il 24 maggio 1915 iniziò la partecipazione all’inutile strage, non c’è nulla di patriottico di cui essere orgogliosi cento anni dopo

 

650.000 soldati morti, 600.000 vittime civili, oltre un milione di mutilati e feriti (altro che le poche migliaia che abbiamo letto e ascoltato in alcune celebrazioni in terra d’Abruzzo!) in nome di ciò che secondo Giovanni Giolitti poteva essere ottenuto con “una neutralità concordata”. Questo è il bilancio davanti alla Storia della partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale, incredibilmente festeggiata ed omaggiata orgogliosamente in queste ore anche in Abruzzo. Nulla c’è di cui essere orgogliosi, nulla da festeggiare davanti alla realtà storica di quella che Benedetto XV definì l’inutile strage. Non è un retorico sfoggio di patriottismo e nazionalismo (cavalcate anche dalle novelle destre italiche …) che rende giustizia ai morti, agli invalidi civili, alle sofferenze inflitte al popolo italiano e ai popoli d’Europa.

 

I sindaci di Trento e Bolzano si son rifiutati di aggiungersi a questi “festeggiamenti” affermando che il 24 maggio può e dev’essere soltanto una giornata di lutto, il ricordo di una pagina nera della storia tutto tranne che da vantare. Concordiamo con le loro parole e con la loro scelta, che amareggia non sia stata particolarmente seguita in Abruzzo.

 

Se si vuol ricordare e rendere giustizia ai morti e alle sofferenze della Prima Guerra Mondiale, al posto della retorica della Patria e della Nazione, andavano lette e diffuse le strazianti poesie di Giuseppe Ungaretti scritte in trincea, il "Giornale di guerra e di prigionia" di Carlo Emilio Gadda in cui emerge l'ottusità di ufficiali arroganti e l'insipienza criminale degli alti comandi, "Addio alle armi" di Ernest Hemingway e "Un anno sull'altopiano" di Emilio Lussu, grandi testimonianze del fanatismo di quella guerra, le lettere dei soldati che mandavano al diavolo la guerra e il re, che furono censurate, proiettare pubblicamente i capolavori cinematografici “La grande guerra” di Mario Monicelli del 1959, “Uomini contro” di Francesco Rosi del 1970, e il film “Tu ne tueras pas” di Autant Lara (“Non uccidere” nella versione italiana), che fu denunciato per vilipendio e proiettato pubblicamente nel 1961 dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con un coraggioso gesto di disobbedienza civile.

 

Oramai in tutte le scuole i libri di storia hanno rivisto il tradizionale giudizio positivo sulla prima guerra mondiale e oggi prevale una netta disapprovazione della guerra celebrata nelle piazze. Ci chiediamo per quale oscura ragione il livello di consapevolezza raggiunto dalla cultura venga demolito dalla retorica.

 

Alessio Di Florio

Associazione Antimafie Rita Atria

Associazione Culturale Peppino Impastato

PeaceLink Abruzzo


Mi unisco al biasimo, anche perché quella guerra ha segnato la fine dei conflitti duellati, con uomini che marciavano in formazione, imperterriti, verso le pallottole avversarie. Aprendo l’era di guerre tra vigliacchi che bombardano dall’alto, usano armi chimiche di distruzione di massa, inventano i carri blindati per entrare nelle trincee del nemico. I cui sottomarini affondavano di nascosto le navi mercantili che sostenevano gli alleati. Una volta aperto il vaso di Pandora, ne è scaturito il complesso militar industrtiale, il moloch della morte più feroce e sanguinario mai esistito che ancora miete vittime civili a decine di migliaia, senza vergogna alcuna e con mezzi sempre più subdoli e vigliacchi. Quel complesso o apparato militar industriale cui, ai giorni nostri, si sono aggiunti i capitali finanziari e i poteri politici, chiudendo così un cerchio del potere che aspira ad essere universale, fino a quando Dio vorrà.

 

Saluti Maurizio

 

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