http://www.notiziegeopolitiche.net/ mag 21st, 2015
Cina. Dove le fabbriche dei nostri smartphone contano 600mila suicidi l’anno di C. Alessandro Mauceri
Quando si compra un cellulare di ultima generazione o un tablet delle migliori marche o un altro oggetto ad alta tecnologia, spesso ci si concentra sull’aspetto estetico, sulla marca, sulle capacità. Raramente si pensa a come è stato prodotto quell’oggetto o a chi lo ha fatto. Il mercato globale ha privato i beneficiari finali degli oggetti di qualsiasi rapporto con i produttori. Per contro, ha permesso alle grandi industrie, che producono in Paesi lontani, di lavorare al di fuori di ogni controllo e delle regole che tutelano i lavoratori. Quando si parla della Cina si tende a fare riferimento alle sue performance di crescita economica, qualche volta all’impatto che hanno sull’ambiente insediamenti produttivi che non rispettano alcun accordo internazionale e nessuna direttiva o limitazione. Altre volte, ma molto raramente, si parla del sistema di mazzette e corruzione che pare essere diffuso nel paese. Sui giornali, specie su quelli occidentali, non si parla mai di un fenomeno che, invece, nel paese dagli occhi a mandorla, sta diventando preoccupante: il crescente numero dei suicidi a causa del lavoro. Un problema che in alcune città ha raggiunto (e superato) livelli di guardia, tanto che alcune aziende sono state definite le “Fabbriche dei suicidi”. In alcune zone della Cina sorgono aziende che producono componenti elettronici tra le più attive del pianeta. Milioni di operai costretti a ritmi di lavoro estenuanti e a stili di vita, al di fuori delle catene di montaggio, che ricordano più una vera e propria schiavitù che una produzione “intensiva” e capitalista. Aziende che dal punto di vista produttivo prosperano. Non a caso vengono citate come esempi da seguire per le loro performance: “Molte aziende potrebbero imparare dalla Foxconn, che dal superlavoro del suo staff ha guadagnato maggiori profitti ed è diventata membro della Fortune 500”, la classifica stilata dalla rivista statunitense sulle migliori aziende. È proprio intorno ad aziende come la Foxconn che da anni vengono condotte inchieste a causa delle condizioni di lavoro disumane di lavoro che in molti casi hanno spinto i lavoratori a suicidarsi. A lanciare l’allarme, nel 2010, è stata All China Federation of Trade Union, il sindacato unico cinese, che ha dichiarato che a portare i dipendenti al gesto estremo sono quasi sempre le condizioni di lavoro. Quell’anno alcuni operai si ribellarono e minacciarono il suicidio di massa se non fossero cambiate le condizioni di lavoro e di vita (in Cina le due cose non sono nettamente distinte come nei paesi occidentali). Il 27 maggio 2010 il ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale, la Federazione dei sindacati di tutta la Cina e il Ministero della Pubblica sicurezza istituirono un gruppo d’indagine ufficiale per l’analisi dei casi. Fuori della Cina l’unico a parlarne fu il New York Times. L’indagine vene estesa a sedici stabilimenti in dodici aree in diverse zone della Cina: Shenzhen, Nanchino, Kunshan, Hangzhou, Tientsin, Langfang, Taiyuan, Shanghai, Wuhan, Chongqing, Chengdu e Foshan. Ad un ristretto numero di lavoratori furono sottoposti dei questionari. Emerse un dato anomalo: oltre la metà degli intervistati lavorava alla Foxconn da meno di sei mesi. Una cosa molto strana dato che salario e integrazioni retributive supplementari erano relativamente buoni rispetto ad altre aziende in Cina. In seguito emerse che a fuggire erano gli stessi lavoratori che erano costretti a condizioni di vita e di lavoro estremamente faticose e disumane e prive di motivazione e gratificazione. Le autorità chiesero ai dirigenti di poter visitare gli stabilimenti, ma senza ottenere alcuna risposta. Per questo vennero condotte indagini al di fuori degli stabilimenti. Una dipendente dell’azienda ha dichiarato sul blog Shangaiist che “Siamo addestrati per diventare macchine da produzione e veniamo trattati senza rispetto. I rimproveri sono la norma e la nostra autostima è a zero”. Secondo quanto riportato dal China Daily, oltre il 90% delle aziende chiedono ai propri dipendenti di fare straordinari, ma spesso gratuitamente. Straordinari che, molte volte, diventano routine: i lavoratori vengono costretti a lavorare per un numero di ore maggiore di quello pattuito e senza alcun compenso extra. Il segretario del sindacato cinese, Guo Jun, ha promesso maggiori ispezioni e controlli sulle condizioni di lavoro, ma pochi confidano in ciò. Turni massacranti, condizioni di lavoro e di vita infernali. Alla domanda “Come vedi il tuo ruolo nella fabbrica?”, alcuni lavoratori hanno risposto “Dobbiamo essere ancora più macchine delle macchine stesse;”. Altri hanno detto che “l’aria condizionata viene attivata solo per l’aerazione delle macchine”. Anche dopo la fine dei turni di lavoro, agli operai spesso non è permesso lasciare la fabbrica: vengono stipati in dormitori collettivi dove riposano per poche ore tra un turno di lavoro e il successivo. In questo modo, giorno dopo giorno, ai lavoratori viene ridotta la loro autostima e corrosa la loro percezione del senso della vita. È per questo che molti lasciano il posto. Ma alcuni non ce la fanno e decidono di togliersi la vita. In una dichiarazione anonima (l’azienda per cui lavora vieta ai dipendenti di rilasciare interviste) alla Cnn un’altra dipendente ha detto che “Veniamo trattati come macchine, o peggio ancora come animali”. Gli operai lavorano, mangiano, dormono e, in una parola, vivono sempre all’interno della fabbrica, dove sono costretti a ritmi estenuanti di 12 ore al giorno, sette giorni su sette. Spesso passano mesi senza che possano mettere il naso fuori dai capannoni di cemento in cui sono rinchiusi, senza distinguere il giorno dalla notte. L’unico modo per capire se è giorno o notte e vedere la luce che filtra attraverso le finestre. Finestre che, visti i diversi casi di operai che si sono tolti la vita lanciandosi proprio dalle finestre, da poco sono state sbarrate da grate metalliche. Altre inchieste, ma nessuna indagine da parte degli organismi internazionali né, tanto meno, da parte delle aziende che commissionano a queste industrie parti e semilavorati per i loro prodotti di punta. Nomi famosi che riempiono con la loro pubblicità le prime pagine dei giornali. Prodotti come quelli della Apple. Allora il problema finì anche sulla scrivania di Steve Jobs e Tim Cook. L’unica cosa che ha fatto l’azienda oltre a mettere grate alle finestre è stata promettere una consulenza psicologica agli operai in difficoltà. Il problema non riguarda solo la Foxconn. Ma anche la Wintek, un’altra azienda che produce componenti per smartphone: recentemente i responsabili dell’azienda sono stati citati in tribunale da 44 lavoratori esposti ad un agente chimico utilizzato nella catena di produzione che avrebbe effetti collaterali sul sistema nervoso. Intanto, i casi di suicidi tra i lavoratori delle fabbriche hitech in Cina non sono diminuiti. Anzi. Secondo China Labor Watch, una organizzazione non governativa americana che cerca di monitorare le condizioni di lavoro in Cina, anche nelle fabbriche di Zhengzhou, nella provincia orientale dell’Henan, sarebbero avvenuti diversi casi di suicidi. Un problema, quello dei suicidi legati all’eccessivo stress accumulato sul lavoro, che non sembra riguardare più singole imprese o casi isolati: un sondaggio riportato da Agichina parla di 1600 morti al giorno a causa dello stress, circa seicentomila ogni anno. Numeri spaventosi difficili da credere. Un fenomeno sociale che si sta espandendo a macchia d’olio: ormai i casi di suicidi non riguardano più solo operai e semplici lavoratori, ma anche donne e uomini con profili dirigenziali. Lo scorso anno si è suicidato Li Jianhua, responsabile per il settore dei trust della China Banking Regulatory Commission (Cbrc), l’ente di sorveglianza sul mercato bancario cinese. E, sempre nel 2014, la stessa sorte è toccata anche a uno dei revisori contabili di PricewaterhouseCoopers: aveva solo venticinque anni. “Problemi” che hanno costretto diverse di queste aziende ad apportare cambiamenti decisivi al proprio modo di produrre: recentemente Foxconn ha detto di voler sostituire i lavoratori “troppo oberati” da turni di lavoro massacranti con dei robot. Per questo, a breve, l’azienda introdurrà nei propri stabilimenti circa 10 mila robot, detti Foxbot, ognuno dei quali in grado di produrre oltre 30mila dispositivi. Innegabili i vantaggi per l’azienda: i robot non necessitano di spazi per vitto e alloggio, non si ammalano, non protestano, non scioperano e, soprattutto, non si suicidano.
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