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Un ponte per...
Greta, Vanessa, Giovanni Lo Porto e Padre Paolo, i 4 italiani sequestrati hanno scelto di rischiare per costruire ponti di dialogo Greta, Vanessa, Giovanni Lo Porto e Padre Paolo. Non sono i nomi di un gruppo di avventurieri. Sono persone che hanno scelto di rischiare per provare a costruire ponti e dialogo dove oggi trionfano solo violenza e morte. Ed anche, come nel caso di Greta e Vanessa, per dimostrare che in Italia c'è chi soffre per il destino dei bambini di Aleppo e trova incomprensibile come mai da quasi 4 anni assistiamo al massacro di un intero popolo. "Siria" oggi vuol dire 10 milioni di persone tra sfollati e rifugiati nei paesi limitrofi. Una generazione perduta di minori che ha perso la scuola, la vita quotidiana, la normalità. Sono le stesse persone che cercano di arrivare sulle nostre coste. Sono milioni, e sono disperati. Greta e Vanessa hanno cercato delle risposte, hanno costruito con decisione e buona volontà un progetto di solidarietà. E non hanno fatto nulla di nuovo per l'Italia, ma hanno seguito tantissimi altri esempi. Enorme è stata la mobilitazione di giovani durante il conflitto nei Balcani. Non era raro a quell'epoca che in ogni città un gruppo di persone si mettesse insieme per raccogliere beni di prima necessità e caricasse un furgone, partendo poi per rischiosissimi viaggi verso la Bosnia o la Serbia. E così è stato per i tanti ragazzi italiani che sono andati in Chiapas negli anni '90 e poi quelli che oggi si stanno organizzando per andare a portare solidarietà a Kobane, la città curda della Siria sotto attacco dello Stato Islamico. Solo pochi giorni fa la popolazione di Gallipoli si è mossa per aiutare le centinaia di persone, tra cui molti siriani, abbandonate su una nave vicina alle coste della città salentina. Ognuna di queste persone poteva voltare la faccia dall'altra parte, o scaricare il proprio livore su un social network. Invece ha scelto di darsi da fare, magari in modo spontaneo e disorganizzato, ma ha avuto coraggio. Noi di Un ponte per... il 2015 lo dedichiamo a tutte queste persone. Che spesso rischiano la vita e corrono dei pericoli. La solidarietà implica anche la costruzione di un rapporto con chi si vuole aiutare o sostenere. E questo comporta inevitabilmente dei rischi, soprattutto in aree di conflitto. Nessuno di noi che opera in quelle aree pensa che il solo fatto di essere solidali ci renda immuni dalla violenza cieca della guerra. Ma questo non ci ferma, anche perché è necessario che la pace si costruisca tra le persone ancor prima che tra i governi. Le polemiche sui pagamenti dei riscatti per i rapiti sono insensate in un paese dove si sprecano miliardi in corruzione con ampie complicità a tutti i livelli. Peraltro il nostro paese ha fatto, solo nell'ultimo anno, sforzi incredibili per salvare giornalisti e recentemente più di un lavoratore di imprese private. E non si è sentita neanche una polemica. Noi di Un ponte per... abbiamo imparato in Iraq sulla nostra pelle che esistono pericoli da evitare, ma che ce ne sono ovunque quando si opera in aree di frontiera che si chiamino Medio Oriente o zone ad alta criminalità dell'Italia. Abbiamo scelto sempre di continuare. Per questo oggi speriamo che Greta, Vanessa, Giovanni e Paolo vengano liberati presto. Lo speriamo per loro, per le loro famiglie e per salvaguardare tutto ciò che c'è - ancora - di buono nel nostro paese.
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