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23/07/2015

 

L’esperimento di Odessa: l’Occidente commissaria l’Ucraina

di Stefano Grazioli

 

Il georgiano filo-Usa Saakashvili governatore della regione, un laboratorio - rischioso - per spostare gli equilibri di una zona da sempre filo-russa

 

Per comprendere quello che accade e soprattutto che accadrà nel breve e medio periodo in Ucraina ci sono sostanzialmente tre punti di osservazione. Il primo è Kiev, dato che nella capitale è la nuova élite al potere che prende in definitiva le decisioni. Il processo di transizione dopo Euromaidan è tutt’ora in corso e il nuovo tandem al comando costituito dal presidente Petro Poroshenko e dal primo ministro Arseni Yatseniuk sta gestendo con enorme difficoltà le questioni politiche ed economiche, aggravate naturalmente dalle guerra in corso.

Il sistema oligarchico è di fatto immutato e l’Ucraina rimane una democrazia a metà, zoppa e corrotta. Le riforme che verranno, se verranno, decideranno nei prossimi mesi se l’architettura dell’ex repubblica sovietica verrà puntellata a sufficienza per il futuro o cadrà inesorabilmente facendo dell’Ucraina un failed state nel cuore dell’Europa.

Il secondo punto di osservazione è ovviamente il Donbass, dove si gioca la partita militare con la Russia e dove gli attori non sono solo i separatisti e l’esercito di Kiev, ma i grandi player sulla scacchiera geopolitica, da Mosca a Washington. Senza un dialogo costruttivo tra il Cremlino e la Casa Bianca, il problema del sudest ucraino è destinato a diventare uno dei tanti conflitti congelati dentro e fuori lo spazio post-sovietico, dal Caucaso meridionale a Cipro nord.

Il terzo palcoscenico da tenere sott’occhio è quello di Odessa: la città sul Mar Nero è diventata una sorta di laboratorio nel quale le forze filo-occidentali stanno tentando di spostare il baricentro da sempre filorusso. L’esperimento è stato affidato a Mikhail Saakashvili, ex presidente della Georgia, finito a fare il governatore della regione.

L’oblast di Odessa è particolarmente strategico sia dal punto di vista politico, poiché russofono, adiacente alla Crimea e con il capoluogo storicamente legato a Mosca, che da quello economico, data la presenza del grande porto commerciale.

Perché sia stato scelto Saakashvili a guidare un progetto ad alto rischio rimane un mistero, è certo però che la sfida è di quelle campali e può trasformarsi in una vittoria per tutta l’Ucraina o nell’ennesimo disastro destinato a spaccare ancor di più il Paese. L’ex presidente georgiano è infatti un personaggio che definire controverso è un eufemismo: la sua principale caratteristica, che è allo stesso tempo punto di forza e grande debolezza, è di essere politicamente un uomo di Washington.

Arrivato alla presidenza nel 2003 dopo la Rivoluzione delle rose, il primo regime change colorato guidato dagli Usa nel giardino di casa della Russia all’inizio dello scorso decennio, Misha l’Americano ha rivoltato dapprima la Georgia come un paio di guanti, rilanciando l’economia, portando investitori occidentali, combattendo la corruzione (quella di piccolo e medio livello, non quella ai piani alti, parola di Transparency International).

Dopo la ventata di democrazia e liberalismo, a Tbilisi è rinato invece l’autoritarismo, sono arrivate le repressioni tra manganellate in piazza e bavagli alla stampa (critiche nero su bianco piovute da Amnesty e Human Rights Watch), fino al capolavoro di provocare la guerra del 2008 con la Russia nel maldestro tentativo di riportare sotto controllo a cannonate due repubbliche ribelli. Il risultato, dopo due mandati presidenziali, è che i georgiani hanno preso a calci Saakashvili e compagni, sostituendoli con un presidente e un governo meno radicali e più aperti al dialogo con Mosca.

Così il presidente a stelle e strisce, un paio di ministri e viceministri e grappoli di advisor a vario titolo, tutti silurati a casa propria, sono stati catapultati a Kiev e dintorni in un’operazione coordinata che assomiglia a una sorta di commissariamento dell’Ucraina. Difficile pensare che non ci siano ministri della Sanità migliori di Alexander Kvitashvili, viceministri dell’Interno più esperti di Ekaterina Zguladze o appunto governatori regionali più efficienti di Saakashvili.

Il disegno è chiaro ed è quello di un’occidentalizzazione del controllo sistema politico-economico ucraino. Alla scuderia georgiana si aggiungono altri cavalli di razza come l’americana Natalia Yaresko, giunta a fare il ministro delle Finanze, e come l’investment banker lituano Aivaras Abromavicius al Commercio.

Il caso di Odessa è particolarmente inquietante proprio perché Mikhail Saakashvili non è uno dalle mezze misure e la sua radicalità può portare a maggiori conflitti, al di là dell’ormai storico duello personale con Vladimir Putin.

Oltre a quelli con i signorotti locali e gli oligarchi di grande stazza limitrofi - a partire da Igor Kolomoisky, ex governatore della vicina regione di Dnipropetrovsk con vari interessi legati anche al porto sul Mar Nero - il nuovo plenipotenziario inviato da Poroshenko, che qualcuno a Kiev vocifera possa essere il prossimo sostituto di Yatseniuk, è chiamato ora a tenere sotto controllo un territorio che sia per ragioni congenite che grazie a pressioni esterne costituisce un tassello traballante nel precario mosaico ucraino.

Se non si può parlare di separatismo filorusso, sono comunque presenti a Odessa forze centrifughe e la vicinanza con la Transnistria accentua l’instabilità della regione. Insomma, Saakashvili, già più di un complice di Vladimir Putin nell’escalation che ha di fatto sottratto alla Georgia le due repubbliche di Abcasia e Ossezia del sud, questa volta deve fare bene i conti se non vuole innescare un effetto domino fatale per il Paese che lo ha adottato.