http://www.ilfattoquotidiano.it Putin, dai fasti di Sochi alla crisi del petrolio: zar schiacciato dall’ambizione Ad inizio 2014 il trionfo nazional-patriottico delle Olimpiadi più costose della storia, a fine anno il crollo del prezzo del greggio. Sono il punto più alto e più basso degli ultimi 12 mesi del numero uno del Cremlino. Che ora punta forte sulla propaganda popolare per nascondere le enormi difficoltà finanziarie della Russia, stretta tra sanzioni dell'Occidente, guai 'energetici' e un'economia interna in bolletta Lunedì 3 marzo 2014. Le faraoniche Putiniadi sono terminate da otto giorni. Le Olimpiadi più costose della storia: 51 miliardi di dollari. Gli atleti russi han fatto man bassa di medaglie, hanno vinto i Giochi e risposto nel modo migliore alle attese del loro presidente, rinvigorendo coi risultati la propaganda nazionalpatrottica del Cremlino. In Ucraina si spara e si muore. A Soci la Russia che appoggia i separatisti festeggia il trionfo a cinque cerchi. Lo sport, come alle Olimpiadi sovietiche di Mosca 1980, è stato strumentalizzato dalla politica. Nessun boicottaggio. Qualche accenno di solidarietà nei confronti dell’Ucraina. Qualche protesta per i diritti dei gay, mal tollerati dalle autorità russe; freddezza di alcuni leader verso Putin, nulla di più: i Giochi sono archiviati nel segno di una Russia che sta rialzando la testa e lo fa consapevole della sua forza, dei suoi muscoli. La Crimea sta per “ritornare alla Madre Russia”, in barba alle carte dell’Onu e al patto di Budapest sottoscritto dalla Federazione russa, sull’inviolabilità dei confini ucraini post Urss. Gli oligarchi scorrazzano nelle borse straniere, ottengono prestiti in Occidente, fanno shopping di società in giro per il mondo. Putin si gode il grande momento, è l’uomo “forte” contrapposto al “debole” Obama, ai velleitari capi europei. Il corso del petrolio, elemento fondamentale nella costruzione del regime putiniano, è ancora altamente remunerativo. Ma il 2014 prenderà ben presto una direzione imprevedibile, lontana da quella che Putin si attendeva. La crisi del petrolio è uno sgambetto drammatico alle ambizioni imperiali di zar Vladimir: è un braccio di ferro che stravolge lo scacchiere internazionale. Che relega lo zar trionfante d’inizio anno nell’angolo del reprobo. Il primo segnale: tasso d’interesse al 7% Proprio quel lunedì 3 marzo 2014 succede qualcosa che segnala una prima, timida inversione di tendenza. La Banca Centrale Russa porta il tasso di interesse dal 5,5 al 7 per cento. E’ una leggera stretta per mantenere il corso del rublo. Per aggiustare il settore creditizio, provato dagli ingenti investimenti dei Giochi di Soci. L’economia russa è in stagnazione da un paio d’anni, conseguenza della crisi globale. I consumi sono diminuiti, la spesa pubblica è contenuta, si cominciano a fare tagli, soprattutto nella Sanità. La politica aggressiva di Putin incide sulle casse dello Stato. Il Cremlino mostra i muscoli. I jet russi violano platealmente i cieli scandinavi e baltici, dall’inizio del 2014 la Nato segnala registra almeno uno sconfinamento al giorno di jet russi, alla fine dell’anno saranno più di 470. Sconfina anche il tasso di interesse: il 25 aprile passa al 7,5 per cento. Elvira Nabiullina, la governatrice, è una fedelissima di Putin, come lui è di San Pietroburgo, da lì proviene gran parte del cerchio magico che comanda al Cremlino (i “peters”). Putin rivitalizza la “sindrome dell’assedio”, il rublo crolla L’Occidente, nel frattempo, medita di punire la Russia per la questione della Crimea e per l’intervento smascherato nelle regioni dei separatisti ucraini. Il timore di ritorsioni russe frena gli europei le cui banche sono esposte verso Mosca per 155 miliardi di Euro (l’Italia, per oltre 27). Putin non solo ostenta sicurezza e arroganza, ma semina zizzania. Finanzia più o meno apertamente fondazioni e partiti xenofobi antiUe e anti Euro. Adotta le ben collaudate strategie di destabilizzazione imparate ai tempi del Kgb, quando ne faceva parte col grado di tenente colonnello. Infine, alza i toni antioccidentali. Più pro domo sua, che per spaventare noi. Vuole cementare l’unità patriottica, e far digerire i “tempi difficili”: rivitalizza la sindrome dell’assedio, tanto cara all’Urss. Ma la democratura di Putin non può dettare legge sui mercati valutari, tantomeno su quelli del “brent” petrolifero, delle materie prime e dei consumi. Può solo dettare le linee della politica economica e finanziaria del suo Paese. Che sta entrando in una pericolosa spirale. Già. Il corso del petrolio muta rotta. Perde colpi. Il rublo ancor di più. Il 25 luglio la Nabiullina aumenta di un altro mezzo punto il tasso d’interesse, ora è all’8 per cento. Il 31 ottobre sale al 9,5. Palliativi. Nessuno riesce a frenare la caduta del rublo. L’11 dicembre il tasso va al 10,5 per cento, la settimana dopo schizza al 17,5 per cento. Stop ai mutui e scaffali vuoti: la Russia è in bolletta La Sberbank, la più importante del Paese, chiude i rubinetti, non eroga più mutui. La banca centrale mette sul piatto 13 miliardi di euro per un piano di ricapitalizzazioni nel boccheggiante settore bancario. Sostenere il rublo le è già costato oltre 110 miliardi di dollari, c’è chi dice addirittura 130. Per la prima volta dal maggio del 2009, le riserve in divisa sono scese sotto i 400 miliardi. Altra sofferenza è l’imponente fuga di capitali. Putin promette sanatorie a chi riporta i soldi a casa, quasi nessuno degli oligarchi lo ascolta. I tassi del mercato interbancario, che poi sono in definitiva il barometro reale della fiducia che le banche si accordano, sono nel frattempo saliti che è una bellezza, riflettono le tensioni e i problemi di liquidità. La Crimea e il conflitto con Kiev rischiano di compromettere lo sviluppo e il benessere raggiunto dalla Russia. E di rilanciare il dissenso, assopito nei primi mesi del 2014. Putin non può più sbandierare i progressi economici, la Russia è in bolletta, persino Gazprom chiude e licenzia. Da Grande Vincente dei giochi di Soci si è trasformato in Grande Perdente. Prevale l’incertezza, si vive la delusione dell’incantesimo finito. Scaffali svuotati, bancomat assaltati, risparmi volatilizzati. Rincari spaventosi. Emblematico il martedì nero del 16 dicembre, quando la Borsa di Mosca registra il crollo peggiore dal 1995: l’indice Rts denominato in dollari cede il 19 per cento. Una breccia sfregia il muro del regime putiniano: il rublo ha iniziato lo sprofondo quando Putin ha iniziato ad inviare le truppe di combattenti “volontari” in Ucraina, per addestrare e affiancare i separatisti. L’avventurismo di Mosca rivitalizza Obama E non ci sono solo i conti in rosso dell’orgoglio nazionale ritrovato. L’avventurismo espansivo di Mosca ha rivitalizzato Barack. Che ha segnato punti decisivi, nella sua sfida con Vladimir. La rivincita di Obama parte dalla “passeggiata” a tu per tu col leader cinese, segno che i rapporti Cina-Usa restano cordiali. E culmina con Cuba. L’Avana ripristina i rapporti con Washington. Questo sì, un brutto scacco politico per Mosca. Non compensato dalla ridicola solidarietà al regime nordcoreano di Kim Jong-un per via del film Interview. Pur di scompigliare le carte delle relazioni internazionali, l’embargato Putin ha invitato Kim Jong-un alle cerimonie del settantesimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista, il 9 maggio 2015. Uno sdoganamento provocatorio, perché sarebbe il primo viaggio all’estero di Kim Jong-un dal 2011, quando succedette al padre. Ma anche una mossa per spostare la pressione dell’Occidente. Sotto il tiro delle sanzioni internazionali, la Russia vuole sviluppare le sue relazioni con l’Asia, la Cina, l’India e anche la Corea del Nord, di cui ha tuttavia sempre sorvegliato le ambizioni nucleari. In segno di amicizia, ad aprile la Russia ha cancellato il 90 per cento dei crediti con Pyongyang. La fine di South Stream e i guai con il petrolio Come si agita, Putin! Annuncia la morte del progetto South Stream, ipotizza un nuovo oleodotto che transiterebbe in Turchia. Gazprom, il gigante russo del gas (che assicura il 15 per cento dei consumi europei, il 30 di quelli italiani) tesse ormai la sua rete più ad oriente che verso occidente: a maggio ha stretto un contratto da 400 miliardi di dollari con i cinesi. Nel mirino c’è l’India, visitata a metà dicembre da Putin. E un 2015 che si annuncia, sotto il profilo del gas, piuttosto turbolento. Bruxelles vuole centralizzare gli acquisti di gas dei vari Paesi tramite una società unica (sorta di agenzia europea energetica) per trattare direttamente con la Russia e abbassare i prezzi. Mosca grida al “complotto”. Il governo non riesce più a rastrellare fondi: l’ultima asta di titoli di Stato a tre anni da 700 miliardi di rubli (11,6 miliardi di dollari) è stata cancellata per mancanza d’offerte. L’impotenza della Banca Centrale si ripercuote anche sulla credibilità di Putin. Il nazionalismo delle risorse energetiche funziona solo coi prezzi alti del petrolio. L’economia ferita dalle sanzioni e maciullata dal calo del prezzo del petrolio, come ha osservato sulle pagine del Financial Times l’analista politico Kirill Rogov dell’istituto Gaidar per l’economia politica di Mosca, è “la minaccia più seria per il presidente”. A Putin resta, secondo i sondaggi ufficiali ma in un regime autoritario è lecito dubitare di tali dati un solido sostegno popolare e una certa mobilitazione patriottica. Quanto dureranno se lo stato delle cose continuerà a peggiorare? Propaganda al massimo della forza: “La Russia è una potenza” La crisi spiegata ai russi durante l’ultima rituale conferenza stampa (18 dicembre) di fine anno ha infatti un solo colpevole: l’Occidente. Rispondendo ad una domanda sulla situazione in Ucraina, Putin ha riesumato la storica immagine dell’Orso cioè la Russia che difende il suo territorio: “Forse che se l’Orso se ne restasse buono buono senza dar la caccia ai porcellini e nutrendosi di bacche o di miele, lo lascerebbero in pace? Chiaro che no, perché il loro obiettivo costante è quello di incatenarlo, dopo avergli strappato unghie e denti”. Ancor più significativo il discorso del 4 dicembre, davanti alle Camere riunite nella fastosa sala di San Giorgio del Cremlino, e alla presenza dell’amico patriarca Kirill: l’Occidente vorrebbe smembrare la Federazione russa come è successo alla Jugoslavia, ma “il nostro esercito è moderno, efficace, e piuttosto temibile”. La Russia è una potenza, pretende d’essere considerata tale. Quanto all’Ucraina, la situazione è il risultato di “un colpo di Stato”, la tragedia delle sue regioni orientali la conferma “della giustezza delle nostre posizioni”. Chi vuole farci cambiare idea, sbaglia: “Se per certi paesi europei, la fierezza nazionale è una nozione da lungo tempo dimenticata e la sovranità un lusso troppo grande, ebbene, per la Russia la questione della sovranità è una condizione assolutamente necessaria per la sua esistenza”. A cominciare dalla Crimea, terra “sacrale” per i russi… Pechino allunga le mani sulla Russia E’ facendo leva su questi radicati valori popolari che Putin il Grande Perdente non teme di… perdere il trono: il Cremlino “è ben difeso”, non paventa un colpo di palazzo perché “non abbiamo palazzi” e i russi gli sono fedeli “con il cuore, con l’anima”. Non col portafoglio vuoto. Il patriottismo alimenta speranze. Ma non sfama lo stomaco. Duro, convincere il popolo, che la crisi durerà forse uno, forse due anni, che sarà l’occasione per ristrutturare l’apparato produttivo ed economico del Paese, che la lotta contro l’evasione e la corruzione sarà formidabile: non sono gli argomenti che ogni anno, nel discorso ai russi, il buon Putin sostiene a gran voce? L’economia zoppa e ferita è il tallone d’Achille del presidente russo. Costretto ad accettare l’aiuto (assai interessato) di Pechino, le cui mire commerciali ed energetiche sull’estremo Oriente russo sono ben note. Pechino presta yuan per stabilizzare il rublo, ma soprattutto per fare della valuta cinese una moneta globale. Pechino è prudente, non si sbilancia più di tanto. I dati relativi alla Russia 2015 parlano di una probabile recessione del 4 per cento, se il brent resta ai valori attuali. Colpa di un’economia ben lontana da un modello di sviluppo sostenibile. Semmai, e sanzioni evidenziano crepe che c’erano già ma che il Cremlino aveva dissimulato. Penuria di investimenti diretti esteri. Aridità dei flussi di capitale in entrata. Le banche scricchiolano, le misure anti-crisi non bastano Si odono già i primi scricchiolii. Quelli della Trust Bank, la ventinovesima della Russia, hanno preoccupato la Banca Centrale che ha agito tempestivamente irrorandola di 430 milioni di euro. Come mai tanta sollecitudine? Perché la Trust è nota per i mutui e i prestiti erogati ai militari…nel frattempo l’inflazione galoppa all’11,5 per cento, secondo il ministro delle Finanze Anton Siluanov. Le misure anticrisi sinora non hanno risolto granché. Come bloccare l’export del grano, nonostante un ricchissimo raccolto (104 milioni di tonnellate) per ragioni di “sicurezza alimentare”. Chi ci guadagna sono gli speculatori: alla borsa dei cereali di Chicago, il prezzo del grano è salito del 4 per cento. Più demagogica la manovra che stabilizza il prezzo minimo della vodka (220 rubli il mezzo litro). Pane, vodka, patria. La sacra trimurti. Messaggio nemmeno tanto subliminale: Putin provvede al bene del popolo russo. Non come certi parenti serpenti. L’Ucraina ha deciso di abbandonare lo status di Paese non allineato, Mosca annuncia subito il ripristino dei treni “numero zero”. Micidiali convogli missilistici su rotaia. Dodici di questi treni entrarono in servizio dal 1987 al 1994. Dieci furono smantellati, due finirono nei musei. Dulcis in fundo, il 26 dicembre, in pura “Voennaja Doktrina”, la nuova legge militare. Dove si propugna l’uso legittimo delle forze armate per garantire la protezione dei cittadini russi al di fuori della Federazione. Un déja-vu. Anzi, un déja-lu.
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