Centro Studi sulla Storia dell'Europa Oriental sabato 28 febbraio2015
L’assassinio di Boris Nemtsov
Boris Nemtsov era nato a Sochi il 9 ottobre 1959. È stato assassinato ieri notte a Mosca, poco dopo la mezzanotte, a pochi metri dal Cremlino di Putin, uno dei luoghi maggiormente presidiati di tutta la Russia, sul ponte che attraversa la Moscova. Secondo la ricostruzione diffusa su Twitter da Yurii Barmin, amico e compagno di lotte politiche di Nemtsov, una o più persone sono scese da un’autovettura e l’hanno assassinato con quattro colpi alla schiena. Deciso e coerente oppositore del regime di Putin, era stato più volte fermato e condotto in stazioni della milizia al termine delle manifestazioni democratiche cui aveva partecipato. Aveva dato alle stampe diversi libri. In uno di questi denunciava le ricchezze occulte di Putin e della sua cerchia. In italiano sono stati pubblicati “L’inafferrabile Russia. Confessioni di un ribelle” (Spirali, 2008) e “Disastro Putin. Libertà e democrazia in Russia” (Spirali, 2009), recensiti da Alessandro Vitale (http://aisseco.org/wp-content/uploads/2010/09/Recens.-Nemtsov.pdf). Nemtsov aveva denunciato senza mezzi termini la guerra di aggressione di Putin all’Ucraina: prima l’Anschluss della Crimea e poi la successiva aggressione alle regioni orientali di quello stato. Per questo il suo volto era pubblicato — a indicare anche visivamente il nemico da colpire — nei manifesti che segnalavano i “traditori della patria” affissi dai putinisti nelle grandi città della Russia. Suonano grottesche le condoglianze di Putin alla famiglia, rese note dal suo portavoce Dmitrii Peskov, e come sempre inquietante e minacciosa la promessa del vozhd’ del Cremlino di occuparsi personalmente dell’indagine. Possiamo essere facili profeti nell’immaginare cosa accadrà. Senza ritegno il Cremlino dice che si tratta di una provocazione... Certo, la CIA, i fascisti banderisti, L’Unione Europea e chissà chi altro... o magari omini verdi senza mostrine... A distanza di troppi anni ancora nulla sappiamo delle esercitazioni degli agenti dell’FSB con sacchi di esogeno messi negli scantinati di un grande condominio a Ryazan’... Domani, 1 marzo, Boris Nemtsov avrebbe dovuto essere alla testa della Marcia di Primavera, organizzata dagli oppositori del regime. Sarà invece pianto e commemorato. Quella che doveva essere la Marcia di Primavera diventerà invece diventerà la sua (politica) cerimonia funebre. Il suo assassinio non può che emozionare tutte le persone che hanno a cuore il destino e il futuro di quel paese, oggi impegnato a portare la guerra nel cuore dell’Europa, avvantaggiato dall’immorale inerzia predominante nelle classi dirigenti di molti, troppi, stati della nostra Europa. Già. La guerra nel cuore dell’Europa. Per alcuni qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa (nulla ha insegnato la guerra di agosto 2008 contro la Georgia che ha staccato da quel paese Abkhazia e Ossetia: un paio di mesi e il commesso viaggiatore Sarkozy anticipava il “reset” di Obama, vendendo al Cremlino le Mistral... E l’integrità territoriale della Georgia? Futilità...). Per altri una realtà che non si vuole affrontare (quanti uomini di stato usano circonlocuzioni invece di chiamare “guerra” la guerra... E coloro che squallidamente invitano a tenere conto degli “interessi” della Russia in Ucraina... Ma non è uno stato l’Ucraina?). Viviamo tempi cupi, che non possono evocare quelli vissuti alla fine degli anni Trenta. A Monaco gli stati democratici tollerarono la cancellazione della Cecoslovacchia. Quasi tutti applaudirono quel momento come il prevalere della pace sulla guerra (sia gli uomini di stato che l’opinione pubblica). La voce di Winston Churchill si staccò dal coro: “The nation had to choose between shame and war. We have chosen shame. We shall get the war as well”. La nazione doveva scegliere fra la vergogna e la guerra. Abbiamo scelto la vergogna. Ma avremo anche la guerra. Non possiamo non chiederci se oggi se non siamo in vista di una nuova Monaco sull’Ucraina. Vent’anni fa Boris Nemtsov era considerato la speranza e il volto della nuova Russia. Uno degli esponenti più brillanti della generazione che avrebbe dovuto traghettare il paese fuori dalle macerie materiali e morali del comunismo. Fisico di formazione, a 25 anni aveva brillantemente conseguito un dottorato in fisica e matematica, iniziando a lavorare all’Istituto di ricerca di radiofisica di Gor’kii. La sua attività professionale lo spinse a occuparsi della tragedia di Chernobyl’. Dall’interesse scientifico non poté non passare a quello politico, organizzando un movimento di protesta contro la costruzione di una centrale nucleare nella sua regione. Nel 1990 venne eletto al Soviet Supremo della Russia, dove si avvicina a Boris El’tsin. Nel dicembre 1991, governatore dell’oblast’ di Nizhnii Novgorod (l’ex Gor’kii), attua un ampio programma di riforme (un vero “laboratorio”) mirante alla creazione di un libero mercato che si tradusse in una significativa crescita economica della regione. Il successo gli fornì la necessaria “spinta” politica per emergere sulla scena nazionale: nel dicembre 1993 venne eletto al Consiglio della Federazione Russa e nel marzo 1997 assunse l’incarico di primo vice primo ministro della Federazione Russa, con lo specifico incarico di riformare il settore energetico. La sua carriera politica al vertice del potere russo declina nell’agosto 1998: la crisi economica porta alle sue dimissioni. Viene nominato nuovamente vice primo ministro, ma è l’ultima fiammata della sua permanenza al potere. L’ancora oggi misteriosa ascesa di Putin (un mediocre agente del KGB posto nella “riserva” al suo rientro in patria dalla DDR in giovane età: ovvero un fallimento) costituisce l’inizio di una sua nuova vita politica: quella dell’oppositore (in realtà aveva già iniziato prima: nel 1997 si era opposto alla guerra di El’tsin in Cecenia, raccogliendo un milione di firme). Di Putin è stato un oppositore democratico e coerente. Nel 2013 aveva denunciato la corruzione e le ruberie che avevano accompagnato gli ingenti fondi stanziati per i giochi olimpici invernali di Sochi: un oltraggio e un “bidone”. Di recente aveva espresso pubblicamente il suo timore di essere in pericolo per la rigorosa opposizione della guerra di Putin in Ucraina. Intervistato lo scorso 10 febbraio aveva affermato: “Ho paura che Putin voglia uccidermi” (sobesednik.ru). Nemtsov preoccupava il Cremlino perché stava per pubblicare un un dossier sulla presenza delle truppe russe in Ucraina. Stava per rivelare prove sulla guerra di aggressione della Russia in Ucraina: “The smoking gun”, insomma. Si era anche molto occupato delle risorse energetiche della Russia, del gas e del petrolio, della corruzione in questo settore, degli illeciti arricchimenti della cerchia di Putin, e dell’uso politico della leva energetica attuato dal Cremlino (pensiamo a Yukos, a Hermitage Capital Management — e all’assassinio in carcere di Sergei Magnitskii, che ha portato all’adozione bipartisan da parte di Camera e Senato di Washington del “Magnitsky Act”). Fra qualche mese Boris Nemstov avrebbe anche dovuto partecipare a un convegno che stiamo organizzando... Il suo assassinio ricorda quello di altre figure scomode per il regime, prima fra tutte la giornalista Anna Politkovskaya. Ma anche di Aleksandr Litvinenko, del citato Magnitskii e di altri. Boris Nemtsov ci mancherà, come mancherà a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia in Russia.
Nella pagina Facebook del Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale (https://www.facebook.com/pages/Centro-Studi-sulla-Storia-dellEuropa-Orientale-CSSEO/143590709031821) sono pubblicate varie fotografie della scena dell’omicidio e di Boris Nemtsov in immagini pubbliche. |