http://www.notiziegeopolitiche.net/ ago 12th, 2015
Kosovo: ‘Una piaga aperta’. Intervista a Dusan Aleksic, pres. Unione dei Serbi in Italia di Giacomo Dolzani Era il 17 febbraio del 2008 quando il Kosovo dichiarava unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia, trasformandosi da regione autonoma governata da Belgrado a stato indipendente. Quando nel 1999 la Nato sconfisse le forze della Jugoslavia di Milosevic, che dal 1996 combattevano in Kosovo contro i guerriglieri secessionisti albanesi dell’Uck, forte dell’appoggio occidentale e del momento di debolezza politica dello stato serbo, l’autoproclamato Governo di Pristina decretò l’autodeterminazione di quello che è oggi il più giovane stato d’Europa. Questa defezione è motivo di continui dissidi tra la Serbia, la quale non ha mai accettato l’indipendenza della regione, e l’Unione Europea, che sostiene la causa kosovara, ma anche con Tirana: il Governo albanese ha infatti da subito spalleggiato Pristina, peggiorando i già non buoni rapporti con Belgrado. In seguito al venir meno dell’autorità del Governo serbo sulla regione, dopo il tentativo di pulizia etnica perpetrato dalle truppe di Milosevic ai danni della popolazione albanese, adesso è il popolo serbo, e insieme a questo gran parte delle minoranze non albanesi, a correre il rischio di dover lasciare la propria terra: la distruzione di chiese e monasteri, la profanazione di cimiteri cristiani e gli attacchi armati contro villaggi a maggioranza serba sono infatti avvenimenti che si verificano ormai con notevole frequenza, nel silenzio dell’Ue e della Nato. Per parlare di questa situazione, Notizie Geopolitiche ha intervistato Dusan Aleksic, presidente dell’Unione dei Serbi in Italia: Sono passati oltre sette anni dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia: qual è la sua visione riguardo questa secessione e che idea ha del futuro di questo paese e, in particolare, della minoranza serba che lo abita? Con questa domanda ha toccato una piaga aperta, che potrà cicatrizzarsi soltanto quando in Kosovo e Metohija (il vero nome della regione) saranno risolti i diverbi che per ora non permettono ai popoli, che da secoli abitano quel territorio gli uni accanto agli altri, con le proprie tradizioni, religioni, lingue e culture, di vivere in pace insieme, in maggioranza o minoranza che siano. Sto parlando di serbi, albanesi, turchi, croati, bosniaci, gorani, rom e altri. Vorrei sottolineare che il Kosovo e Metohija è la patria non solo dei serbi e degli albanesi, ma anche di molte altre minoranze nazionali, che hanno subito la stessa sorte dei serbi durante la pulizia etnica avvenuta per mano albanese. Le condizioni principali perché la convivenza sia possibile sono quelle che permetteranno lo sviluppo economico, la diminuzione della disoccupazione, la crescita del tenore di vita, il ritorno del rispetto della legge, la sicurezza. E’ fondamentale che venga ripristinata la sicurezza perché i non albanesi tornino in Kosovo e Metohija. Non a caso è stato mutilato il nome della regione, togliendo la parola Metohija. Quella parola rivela la proprietà della terra (la parola “metoh” significa proprietà del monastero). Ai serbi piace costruire. Nella storia hanno costruito molte chiese e monasteri, e nella vecchia Serbia, l’odierno Kosovo e Metohija, si trova la maggior parte di essi. Quei monasteri, di immensa importanza spirituale per il nostro popolo cristiano ortodosso, ma anche di enorme importanza culturale, sono proprietà della nostra Chiesa. Nell’occidente la proprietà privata è protetta dalle leggi, invece in Kosovo e Metohija una gran parte dei monasteri sono stati distrutti dagli albanesi. Quelli rimasti, sono considerati “proprietà kosovara”. Adesso, come vede, per ragioni storiche e soprattutto politiche, i serbi sono in minoranza, una minoranza minacciata di scomparsa. Vivono nelle enclavi, in condizioni di vita molto difficili. Il loro futuro è incerto, ma godono della solidarietà e del sostegno da parte dei serbi in Serbia e dalla diaspora. La Serbia non potrà mai riconoscere l’indipendenza proclamata unilateralmente dagli albanesi, e nessun suo Governo potrà mai farlo, perché non avrebbe il sostegno del popolo e della Chiesa. Sono troppo profonde le nostre radici in Kosovo e Metohija. Senza radici una pianta non può vivere, come senza radici storiche e culturali un popolo non può sopravvivere. Se riconoscessimo l’indipendenza del Kosovo, sarebbe come tagliare le proprie radici e condannare sé stessi alla scomparsa. Io non vedo un futuro per una Serbia senza Kosovo, né il futuro del Kosovo e Metohija senza il resto della Serbia. Si è spesso affermato che Pristina abbia guadagnato il suo diritto all’autodeterminazione in seguito ai crimini commessi dalle forze di Milosevic durante la guerra del Kosovo, soprattutto nel biennio 1998-1999; come commenta queste affermazioni? A mio parere, il diritto all’autodeterminazione non può essere legittimo come conseguenza della politica di un uomo nel periodo di uno o due anni. Il Kosovo e Metohija non era proprietà di Milosevic, non è giusto castigare un popolo intero per un’errata politica di uno dei suoi presidenti. Milosevic durante il suo governo ha danneggiato soprattutto i serbi. Ha tentato di fermare il separatismo di parte albanese esistente in Kosovo e Metohija da decenni. Esso è simile ai separatismi presenti in molti altri paesi europei. Non giustifico Milosevic, come ho già detto, la sua politica era sbagliata, ma credo che ogni Governo avrebbe reagito col pugno di ferro se fosse stata minacciata la sicurezza dei cittadini e l’integrità territoriale del paese. Molti paesi contengono delle regioni in cui esistono tendenze separatiste, ma in quei paesi i separatisti non sono riusciti ad ottenere il diritto all’autodeterminazione, perché in quel caso si rispetta il diritto internazionale che garantisce l’integrità territoriale di un paese. Non mi stupiscono le decisioni degli albanesi, mi stupisce la comunità internazionale, ovvero i paesi che hanno riconosciuto “l’indipendenza del Kosovo”. Quei paesi hanno ferito l’integrità territoriale della Serbia senza verificarne sia le conseguenze che i fatti storici che precedono Milosevic. Qual è la sua opinione riguardo alla posizione assunta dall’Unione Europea nella disputa in corso tra Serbia e Kosovo per il riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da Belgrado? No ne ho alcuna opinione a riguardo, ma ho alcune domande: se il Kosovo non è territorio serbo, perché chiedono alla Serbia di riconoscerlo come stato indipendente? Se il Kosovo è un territorio appartenente alla Serbia, perché è riconosciuto come stato indipendente da alcuni paesi se la Serbia è contraria? In quanto alla mediazione europea, pongo una terza domanda: l’Ue vuole aiutare i serbi e gli albanesi a trovare una soluzione al problema accettabile per entrambe le parti, oppure spinge verso la soluzione già imposta dai vertici europei? L’ex presidente della Repubblica Serba della Bosnia ed Erzegovina, Radovan Karadzic, in un’intervista rilasciata al nostro giornale ha affermato che, durante la guerra combattuta tra il 1991 ed il 1995, da parte della stampa estera: “è stato preparato in maniera estremamente meticolosa un sistema di ‘demonizzazione’ e stigmatizzazione dei serbi, ed è stato così esemplare che, in futuro, chiunque sarà in grado di prevedere cosa può succedere ad una nazione che venga trattata nello stesso modo di quella serba.” Qual è la sua opinione in proposito? Ho scritto nella mia lettera rivolta ai giornalisti italiani quali conseguenze abbiamo avuto noi, semplici cittadini di nazionalità serba, dopo la propaganda antiserba scatenata dai media durante il conflitto in Jugoslavia. La propaganda o “demonizzazione” dei serbi, come ha detto presidente Karadzic, attribuiva tutta la colpa della guerra, dei massacri, delle pulizie etniche, dei crimini di guerra solo ai serbi. La gente comune, in base alle notizie date dalla maggior parte dei media occidentali, pensava che la Serbia fosse l’invasore che ha invaso prima la Croazia, poi la Bosnia ed Erzegovina e alla fine il Kosovo. L’opinione comune era che i croati, i musulmani bosniaci e gli albanesi, combattessero per la libertà e i loro civili fossero vittime degli aggressori serbi. Pochi sapevano che le nazioni in conflitto erano dello stesso paese, che si trattava di una guerra civile. Quando la Nato bombardava la Serbia, si pensava che finalmente i serbi venissero giustamente puniti per tutti i crimini commessi. Non si sapeva che le bombe cadevano anche sul Kosovo e sul Montenegro e non si sapeva nulla degli effetti collaterali di questi bombardamenti, anche per i propri paesi. La maggiore emigrazione di massa dal Kosovo è avvenuta proprio durante e dopo i bombardamenti Nato. Emigravano anche i serbi, perché i bombardamenti hanno distrutto l’industria e l’economia del paese. Come vede i festeggiamenti e le parate militari indette dalla Croazia per il ventesimo anniversario dell’operazione Tempesta? L’operazione militare “Tempesta” è stata una tragedia non solo per i serbi ma anche per i croati. Vent’anni fa 250.000 cittadini croati di nazionalità serba hanno abbandonato il proprio paese, in cui vivevano da generazioni: la Croazia. Perdere 250.000 abitanti in pochi giorni non può essere una vittoria, ma solo una sconfitta, motivo di lutto nazionale. Io la penso così. Non solo perché si è trattato dei serbi, il mio popolo, ma lo stesso vale per chiunque avesse dovuto abbandonare il proprio paese in massa, questo è motivo per lutto nazionale, non per i festeggiamenti. Sono sicuro che anche molti croati la pensano come me. Non tutti erano contenti dei festeggiamenti e delle parate. Dovrebbero festeggiare se i serbi tornassero in Croazia. Dovremmo festeggiare se tornassimo a vivere nel rispetto reciproco e se riuscissimo a perdonarci a vicenda le ferite della guerra.
Il presidente dell’Unione dei serbi in Italia, Dusan Aleksic, immigrò in Italia negli anni novanta, poco più che ventenne. La sua vita era simile a quelle degli altri immigrati: un’esistenza costellata da fatica ed incertezza, nostalgia e determinazione. Aleksic ha frequentato le scuole superiori per diventare geometra in quella che era la Jugoslavia e ora, in Italia, lavora in edilizia. E’ sposato, ha cinque figli e nonostante gli impegni lavorativi e famigliari trova sempre il tempo e la forza da dedicare alla propria comunità. |