http://www.eastjournal.net/ novembre 2, 2015
Dietro le sbarre di Lukavica, la Guantanamo di Sarajevo di Edoardo Corradi
Lukavica è il quartiere serbo di Sarajevo dove è stato costruito un centro di detenzione per stranieri. Aperto nel 2010, quando la “guerra al terrore” di bushiana memoria era ormai terminata, il centro di Lukavica non ha fatto a tempo a prendere parte alla rete di prigioni segrete della CIA in Europa orientale. Così è stato riconvertito per “ospitare” gli indesiderabili di oggi, quegli “arabi di Bosnia” divenuti oggi troppo ingombranti per gli alleati europei ed americani. Durante la guerra del 1992-1995 numerosi cittadini stranieri sono giunti in Bosnia per supportare i soldati musulmani bosgnacchi o solo per portare un contributo in termini di aiuti medici o logistici. Al termine del conflitto molti di loro sono tornati alle loro precedenti vite nei rispettivi Paesi, ma altrettanti si sono fermati in Bosnia naturalizzandosi. È il caso, ad esempio, di Imad Al-Husin, meglio conosciuto come Abu Hamza, siriano arrivato in Bosnia da studente negli anni ’80, e che dal 2008 è detenuto nella struttura di Lukavica, da lui soprannominata “Bosnatanamo”. Un soprannome pesante alla luce di quanto, poco ma terrificante, emerge nei riguardi della prigione statunitense di Guantanamo. Il filo che unisce le due strutture, quella statunitense in terra cubana e quella bosniaca, è l’incarcerazione senza alcuna prova effettiva che confermi la prigionia. Inoltre, la revoca della cittadinanza li rende de facto dei cittadini irregolari nel Paese, procedendo quindi per la loro espulsione nei Paesi d’origine: per Abu Hamza la destinazione sarebbe la Siria, sua terra natia. Una pratica dichiarata illegale dalla Corte Europea per i diritti umani che ha sostenuto che i detenuti, in particolare Abu Hamza in quanto caso analizzato direttamente, fossero in pericolo di maltrattamenti e che la loro detenzione non fosse suffragata da prove sufficienti. Il caso di Abu Hamza non è tuttavia il primo nella storia bosniaca: nel 2002 i “sei algerini” furono estradati al carcere di Guantanamo con l’accusa di terrorismo dopo che gli Stati Uniti fecero pressioni sulla Bosnia a seguito degli attentati dell’11 settembre. La Corte di Sarajevo, tuttavia, ordinò il loro rilascio che avvenne tuttavia soltanto nel 2009 quando fu accertato che nessuna delle accuse a loro carico fu provata. Il lungo iter processuale vide l’accettazione dell’habeas corpus – ossia la verifica da parte di un giudice che i detenuti non siano imprigionati senza alcuna accusa, evitando così l’incarcerazione arbitraria – soltanto del 2008 a seguito del procedimento penale denominato “Boumedienne v. Bush” presso al Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Lukavica, o “Bosnatanamo” che dir si voglia, risulta essere un capitolo oscuro della storia recente del paese. Un capitolo dove tuttavia a esserne protagonisti non sono solo le autorità locali e nazionali, ma anche le pressioni che dall’esterno agiscono sulle scelte dei decisori politici. Sulla porta dell’ingresso principale le bandiere della Bosnia-Erzegovina e dell’Unione Europea sventolano incuranti di quanto accade al suo interno. |