http://www.ilfarosulmondo.it 9 dicembre 2015
L’oscuro impero di basi americane in Africa è il segno del prossimo orribile campo di battaglia? di Cristina Amoroso
Il sistema delle colonie era il mezzo degli imperi tradizionali per mantenere il controllo delle popolazioni sottomesse, dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno invertito la rotta sviluppando un vasto sistema di centinaia di basi militari in tutto il mondo a copertura dei loro interessi strategici. Lo sa bene l’Italia che, per tutto il corso della guerra fredda, è stata puntellata nel territorio da sempre più numerose basi militari americane, fortemente controllata e guidata nella sua politica, contaminata nella sua cultura, in nome di un probabile attacco sovietico, ma, quando il 1989 segnò il collasso dell’Unione Sovietica, non poté assistere alla smobilitazione delle forze armate dello zio Sam. Gli Stati Uniti, infatti, andarono sempre più accelerando il militarismo in risposta sia a problemi economici che politici. Se la fonte di informazione erano i media egemonici, risultava piuttosto difficile penetrare in questo “impero delle basi” esteso dall’Europa all’Asia, all’America Latina e il Golfo Persico. In tutto il mondo il volto visibile degli Usa era rappresentato dal personale militare e civile delle basi. Qualcosa è cambiato però. Ciò che è cambiato è l’atteggiamento di Washington in materia di trasparenza. Le ultime operazioni sono coperte da una spessa coltre di segretezza, per cui risulta sempre più difficile scoprire qualcosa. L’ultima strategia sulle basi americane nel mondo risponde a una nuova premessa: una “impronta ridotta”, che significa basi molto piccole, rapida implementazione, operazioni speciali e l’uso importante di droni. Questo è il tipo di guerra che si installa in Africa nel XXI secolo. Se un aspetto della strategia imperiale durante la guerra fredda era di rimanere in “ombra” con la complicità dei politici locali e dei media del potere, la nuova strategia quotidiana legata alle basi militari si basa sulla “scomparsa delle ombre”. Per questo motivo l’opera di Nick Turse, TomDispatch su questo argomento è assolutamente degna di nota. Negli ultimi anni, Turse ha regolarmente rivelato che non si è trattato tanto di espansione militare in Africa, quanto del crescente numero di operazioni militari statunitensi in tutto il continente, la crescita delle missioni di simili forze di addestramento che agiscono in diversi scenari e una maggiore diffusione di operazioni speciali Usa, forze armate segrete all’interno delle forze armate composte da 70mila soldati che prosperano in un mondo dove anche le ombre scompaiono. Nelle aree remote, dietro le recinzioni e lontano da occhi indiscreti, le forze armate degli Stati Uniti hanno costruito un vasto arcipelago di avamposti; secondo alcuni esperti, si tratta di un laboratorio per un nuovo tipo di guerra.
Quante basi militari ci sono in Africa? Per anni – riporta Nick Turse, TomDispatch – l’Africa Command (Africom) ha dato una risposta standard: una base. Campo Lemonnier a Gibuti, il piccolo Paese bagnato dal sole, è l’unica “base” che gli Stati Uniti hanno riconosciuto nel continente africano. Ma se si dà un’occhiata alla lista ufficiale delle basi del Pentagono, l’importo cresce. Il rapporto 2015 sulla proprietà globale comprende campo Lemonnier e altri tre siti del continente e di lunga data a lui più vicini: No. Medical Research Unit 3 della Marina degli Stati Uniti, centro di ricerca medica nei pressi del Cairo, in Egitto, che è diventata operativa nel 1946; l’aeroporto ausiliario tracking station Ascensione e l’aeroporto di veicolo spaziale situato mille miglia al largo della costa occidentale dell’Africa usata dagli Stati Uniti dal 1957; e magazzini a Mombasa, in Kenya, costruiti negli anni ottanta. Inoltre l’Africom ha accesso a molti Csl (Cooperative Security Locations), “posizioni sulla cooperazione per la sicurezza”. Una ricerca di TomDispatch indica che, di fatto, negli ultimi anni le forze armate degli Stati Uniti hanno sviluppato una notevole vasta rete, con 60 unità – di avamposti e punti attivi (hotspot). Alcuni di essi sono utilizzati regolarmente, altri sono tenuti in riserva e alcuni possono essere chiusi. Tali basi, campi, complessi, strutture portuali, depositi di carburante e altri possono essere visti in almeno 34 Paesi, oltre il 60 per cento del continente; in molti di essi, i loro governi sono corrotti e repressivi e mostrano scarso rispetto dei diritti umani. Inoltre gli Usa operano in circa 38 nazioni africane con gli “Uffici di cooperazione di sicurezza”. “L’Africom, come nuovo comando, è un laboratorio di base per i diversi tipi di guerra e l’uso della forza”, come afferma Richard Reeve, direttore del Programma di sicurezza sostenibile. Oltre ai Cisl, infatti, il Comando ha costruito o rinforzato aree di assemblaggio, sedi di cooperazione per la sicurezza e altre operazioni avanzate (Fol) e altri avamposti, molti dei quali coinvolti nello spionaggio, sorveglianza, ricognizione speciale (Isr) e altre operazioni in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Gibuti, Etiopia, Gabon, Ghana, Kenya, Mali, Nigeria, Senegal, Seychelles, Somalia, Sud Sudan e Uganda. Ha inoltre libero accesso alle postazioni militari in Algeria, Botswana, Namibia, Sao Tome e Principe, Sierra Leone, Tunisia e Zambia. Ovviamente per la funzionalità dei Cisl, Isr e dei Fol l’Africom non ha bisogno di molte infrastrutture, può contare sull’aiuto di imprenditori privati per mantenere un certo numero di strutture senza avere truppe americane sul terreno e avere il controllo su vastissime aree. In relazione all’uso del personale, già il “Washington Post” aveva rivelato che le operazioni in Africa erano affidate alle forze speciali statunitensi ed a contractor privati che via via hanno assunto un ruolo sempre più importante nella strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Obama, e che agiscono in maniera clandestina in tutto il mondo, non solo nelle zone di guerra. Queste basi divengono veri e propri riferimenti per la criminalità locale, che può crescere e organizzarsi al coperto del segreto militare. La segretezza garantisce la possibilità di compiere le peggiori nefandezze nell’assoluta impunità. Qualsiasi genere di traffico (armi, diamanti, droga, petrolio estratto illegalmente, immigrati, ecc.) può trovare nella basi Usa in Africa il supporto logistico ed una sorta di diritto d’asilo; tanto, se trapelasse qualcosa, ci sarebbe sempre la famigerata Blackwater a fare da parafulmine. |