Chi ha ucciso l'Unità?

Dispiace, per l'informazione, per i colleghi e per la sinistra. Ma la chiusura speriamo temporanea dell'Unità almeno serva a capirne il perché.


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«SIAMO TUTTI LETTORI E GIORNALISTI DE L'UNITA'»

30 Luglio
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Il sito è curato da Cesare Buquicchio, Maddalena Loy, Cinzia Zambrano Maristella Iervasi, Chiara Affronte, Stefano Miliani, Francesco Sangermano, Ella Baffoni


HANNO UCCISO L'UNITA'

I liquidatori di Nuova iniziativa editoriale spa in liquidazione, società editrice de l'Unità, a seguito dell'assemblea dei soci tenutasi in data odierna comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni e l'aggiornamento del sito web a far data dal 1° agosto 2014.


http://www.internazionale.it
29 luglio 2014

L’Unità sospende le pubblicazioni

L’Unità non sarà più in edicola dal 1 agosto. Lo hanno comunicato i liquidatori della Nuova iniziativa editoriale, la società editrice del quotidiano. La mattina del 29 luglio l’assemblea dei soci ha bocciato il piano dell’azionista di maggioranza Matteo Fago che, scrive il Secolo XIX, aveva proposto l’affitto della testata per 12 mesi e il salvataggio dei lavoratori.

Da mesi l’Unità soffre di una crisi di liquidità e ha accumulato 25 milioni di euro di debiti. I giornalisti della testata hanno protestato diverse volte, scioperando e non firmando gli articoli. Il 14 luglio la deputata di Forza Italia Daniela Santanchè e la conduttrice televisiva Paola Ferrari avevano presentato un’offerta per rilevare il quotidiano, ma il comitato di redazione si è opposto alla cessione.

Il comitato di redazione ha commentato la notizia con un comunicato sul sito del giornale.

L’Unità fu fondata a Milano da Antonio Gramsci il 12 febbraio 1924. Chiusa in seguito alle leggi fasciste sulla stampa, riaprì nel 1944. È stata l’organo ufficiale del Partito comunista italiano, in seguito del Pds e dei Ds. Nel 1998 la società editrice che controllava il quotidiano diventò una società per azioni ma nel 2000 dovette sospendere le pubblicazioni per una crisi delle vendite.

Nell’aprile 2001 il giornale tornò in edicola, edito da Nuova iniziativa editoriale. Nel 2008 venne acquistato dal presidente della regione Sardegna, Renato Soru.

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http://contropiano.org
Mercoledì, 30 Luglio 2014

Ha chiuso l'Unità, il giornalismo di partito è finito
di Alessandro Avvisato

L'Unità chiude ancora una volta, ma Gramsci c'entra solo marginalmente. È importante però capire bene che questo ha un significato preciso: per il Pd di Renzi quel “background vetero-comunista” è ormai un peso sull'immagine e un contributo elettorale quasi marginale.

Lo diciamo in modo meno sintetico: al Pd attuale non gliene frega niente se quelli che pensano ancora a Gramsci e al socialismo non voteranno più Pd. I loro sondaggi dicono che quella banda di nostalgici (che credono ancora che la Coop sia la forma societaria del socialismo in terra, l'Unipol sia l'unica assicurazione da sottoscrivere nonostante Consorte e l'alleanza con Ligresti, che il sindaco di Bologna sia per forza di cose "un bravo compagno", ecc) pesa elettoralmente per uno zero virgola. Gente che in buona parte va già da un'altra parte e che comunque è sottoposto alle dure leggi oggettive della fisiologia: sono in maggioranza anziani, e ogni anno sono sempre di meno.

Sia chiaro, per completezza: l'Unità entra nella procedura di liquidazione coatta amministrativa. Questo implica che il governo – il ministero dello sviluppo, ossia Lupi – dovrà nominare un commissario liquidatore (in genere un trio di professionisti in materia, non necessariamente esperti in campo editoriale). Il quale esaminerà, se ci saranno, delle offerte per l'acquisto della testata. Per ora si conosce solo quella della strana coppia Daniela Santanché/Paola Ferrari De Benedetti (sì, proprio la giornalista sportiva della Rai, sì proprio il De Benedetti di Repubblica, di cui ha sposato un figlio; dell'altra è impossibile ignorare alcunché...).

Insomma: potrebbe ancora risorgere, come testata (letteralmente: quel marchio in cima alla prima pagina che “certifica” l'identità del giornale che avete in mano). Ma non somiglierà per nulla alle molte versioni viste (e non molto lette, da qualche anno) nel secolo che abbiamo alle spalle. 

Detto quel che la cronaca impone, cosa c'è da imparare da questa vicenda?

Che il giornalismo “di partito”, in questo nuovo mondo, come si sente ripetere in ogni tg o talk show, è finito? Ci riesce difficile consentire. Mai come in questi ultimi anni abbiamo affrontato giornali esclusivamente “di partito”. Per parlare solo dell'Italia, abbiamo davanti la corazzata berlusconiana (Mediaset con le sue tre reti, Il Giornale, una serie infinita – e indistinguibile – di periodici per pensionati/e in fila dal dentista, affiancati da testate regionali più di nome che di fatto, ecc); l'incrociatore L'Espresso-Repubblica, gruppo De Benedetti, che ciurla nel manico dell'immaginario della “sinistra perbenista”, di recente approdato al renzismo spinto e senza contraccetivi; la Rai e dintorni, con i cambi di bandiera successivi a ogni tornata elettorale (cambia ì"l'azionista di riferimento", non la logica aziendale filo-governativa). Poi ci sono (pochi) battitori liberi, come Il Fatto, praticamente al centro di un rifiuto non rivoluzionario (solo “legalitario”) dell'esistente, e qualche decina di testate online equamente sovrapposte al panorama esistente nella carta stampata. Essere (quasi) soli contro tanta potenza non ci inorgoglisce: ci preoccupa. Sa un po' troppo di regime. Peggio: di un regime che pretende di aver liquefatto qualsiasi “identità” differenziata dal format prevalente. “Liberi”, nsomma, di pensarla come viene imposto...

Anche perché tutte queste navi potenti, ancorché battano bandiere di partiti teoricamente differenti (Berlusconi, Renzi, Grillo), garriscono all'unisono in onore del Partito liberista nazionale, quello che deve fare le “riforme strutturali” - dopo quelle costituzionali, legge elettorale compresa – per allineare la governance di questo paese agli standard imposti dall'Unione Europea e dal Fmi.

Insomma: i giornali “di partito” sono morti perché c'è un solo partito al potere. Con qualche problemino interno, certo, ma non irrisolvibile.

Che muoia dunque l'Unità, subito dopo il manifesto (sì, certo, è ancora in edicola; ma somiglia in qualcosa a quello di Pintor, Rossanda, Parlato, Chiarini, Franco Carlini, Casalini, Matteuzzi, Pascucci, Polo, Galapagos?), è solo la conferma del fatto che c'è un solo giornale possibile: quello strettamente di regime.

Ti strozza la pubblicità, prima ancora del pubblico che non c'è più.

Ma il vero cuore della questione è proprio qui. Non c'è più il pubblico che compra i giornali. Perché?

La prima ragione è la moltiplicazione dell “fonti di informazione”, ovviamente a partire da Internet e dalle migliaia di fonti disponibili nella nostra lingua (praticamente infinite in inglese). Anche a “lettori forti”, quelli che come noi leggono di tutto anche al bagno, capita sempre più spesso di sentirsi “pienamente informati” anche solo dalla frequentazione dei notiziati online; anche facendo la necessaria “tara” sull'affidabilità di ogni fonte.

Non è vero, naturalmente. Quell'informazione è strutturalmente deficitaria per ragioni oggettive. È scritta di corsa, spesso – quasi sempre – col copia-e-incolla non dichiarato (esempio: noi in questi giorni postiamo i pezzi di Nena News sui bombardamenti di Gaza, ma ve lo dichiariamo e vi invitiamo a collegarvi con quel sito; più piratesco, e anche infame, sarebbe darvi i loro “contenuti” come se li avessimo prodotti noi).

È prodotta da “non professionisti” in senza lato. Non perché il tesserino da “giornalista professionista” garantisca un'obiettività maggiore (ne conosciamo a tonnellate di cronisti “embedded” pronti a propinare merda riciclata per fini di guerra psicologica!). Ma per un motivo molto più semplice: “scrivere” giornalisticamente significa guardare l'oggetto che cerchiamo di descrivere “dall'esterno”. Anche se siamo parte organizzativa centrale di una manifestazione o di uno sciopero, insomma, nel momento di descrivere cià che accade cerchiamo di non rimanere “dentro” quella logica che produce al massimo un volantino (leggibile solo dai diretti interessatI), ma cerchiamo di “far vedere” ciò che accade in modo che anche un altro “esterno” possa vedere quel che abbiamo visto. 

Quando questo non c'è – perché chi scrive non è presente-ma-esterno all'evento, oppure perché è presente-ma-troppo-interno) – l'informazione diventa creta con cui si può fare qualsiasi cosa. Di più. Di questo tipo di “informazione” siamo sommersi secondo per secondo, senza neanche il tempo di farsi le domande classiche (sarà vero? Sarà falso? Ma chi è che me lo dice? Ecc).

La cosa più tragica è che “il pubblico” è stato abituato a questo andazzo. Non si chiede più molto, nella sua dimensione di stragrande maggioranza. Il dubbio è filosofico, quindi ristretto a un numero risibile (in percentuale, certo) di lettori/fruitori. E' avvelenato, in senso stretto.

Soprattutto è abituato a testi brevi, assertivi, non problematici, che non (ti) chiedono uno sforzo di partecipazione critica. Soprattutto, assolutamente gratuiti. E questo taglia la testa a qualsiasi toro. Il pubblico “vuole sapere”, ma “non pagare”. È stato abituato così, in rete. Senza nemmeno distinguere tra una prenotazione d'albergo e un saggio sui destini del pianeta (che, siamo costretti a farlo notare, richiedono uno “sforzo produttivo” alquanto differente, e che andrebbero semmai retribuiti almeno in proporzione al tempo di lavoro per produrli). Perciò necessariamente, dovrà essere “di bocca buona”. E al discount dell'informazione-spazzatura troverà certamente quel che basta a soddisfare una così magra curiosità. 

Per questo, oltre che per il cambiamento “genetico” del Pd, l'Unità e cento altri giornali sono destinati alla chiusura definitiva. Per questo, senza proclami ridicoli, gente come noi cerca di fare informazione “strutturata”. Ovvero che restituisca a chi legge l'immagine unitaria del mondo, al di là dei milioni di frammenti di cui sembra – sembra soltanto, sveglia! - composto.

Sapendo che nessuno di noi, da solo o in piccoli gruppi, può riuscire nell'impresa di cambiare la visione del mondo – prima – e il mondo poi.

Quell'Unità di carta non c'è più. La nostra - di testa e di cuore - è tutta da costruire.

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http://www.internazionale.it
31 luglio 2014 16.27

L’ultima prima pagina dell’Unità

Il 31 luglio è uscito in edicola l’ultimo numero dell’Unità. Il 29 luglio i liquidatori della Nuova iniziativa editoriale, la società editrice del quotidiano, avevano annunciato la fine della diffusione del quotidiano. La decisione è arrivata dopo che l’assemblea dei soci ha bocciato il piano dell’azionista di maggioranza Matteo Fago, che aveva proposto l’affitto della testata per 12 mesi e il salvataggio dei lavoratori.

Da mesi l’Unità soffre di una crisi di liquidità e ha accumulato 25 milioni di euro di debiti. I giornalisti della testata hanno protestato diverse volte, scioperando e non firmando gli articoli. Il 14 luglio la deputata di Forza Italia Daniela Santanchè e la conduttrice televisiva Paola Ferrari hanno presentato un’offerta per rilevare il quotidiano, ma il comitato di redazione si è opposto alla cessione.

Non è ancora chiaro quale sarà il futuro del giornale, che se non arriveranno offerte per un rilancio della testata rischia il fallimento.

“L’Unità è viva”, recita la prima pagina del quotidiano uscito in edicola il 31 luglio.

Nell’editoriale, pubblicato sulla seconda pagina con il titolo Fate girare la voce:questo non è l’ultimo numero, il direttore Luca Landò ha scritto:

Perdonate l’ostinazione, ma quello che avete tra le mani “non” è l’ultimo numero dell’Unità. Lo dicono, lo chiedono, lo pretendono i lettori che da ieri stanno scrivendo senza sosta, ma anche le persone che ti fermano per strada per dire che non può finire così.

Riguardo al futuro del giornale, Landò ha lasciato aperto uno spiraglio e scrive:

La palla passerà ora a un tribunale che nominerà un commissario. A quel punto le cose potranno soltanto peggiorare o migliorare. Sembra banale, ma è così. Peggiorare, perché se nessuno si farà avanti, la strada obbligata sarà il fallimento e addio ritorno in edicola. Migliorare, perché a quel punto verrà meno l’assurda regola del 91% prevista dallo statuto della Nie che ha paralizzato ogni tentativo di rilancio della società e della testata. Sarà il commissario e lui solo a decidere il peso e il valore delle offerte che arriveranno: niente più giochi o sgambetti e questo è già qualcosa.

Arriveranno altre offerte? Ieri abbiamo saputo che Matteo Fago rilancerà la sua, quella che è stata fermata martedì dagli altri soci e che verrà ripresentata in forma riveduta e corretta (leggi “rinforzata”) perché questo chiederanno i liquidatori a chi vorrà sottoporsi, non più al giudizio di un’assemblea della Nie, ma a quello di un commissario. È una notizia importante perché apre uno spiraglio, anzi due.

Il giornale di Gramsci. L’Unità fu fondata a Milano da Antonio Gramsci il 12 febbraio 1924. Chiusa in seguito alle leggi fasciste sulla stampa, riaprì nel 1944. È stata l’organo ufficiale del Partito comunista italiano, in seguito del Pds e dei Ds. Nel 1998 la società editrice che controllava il quotidiano diventò una società per azioni ma nel 2000 dovette sospendere le pubblicazioni per una crisi delle vendite.

Nell’aprile 2001 il giornale tornò in edicola, edito da Nuova iniziativa editoriale. Nel 2008 venne acquistato dal presidente della regione Sardegna, Renato Soru.

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mercoledì 30 luglio 2014

Chi ha ucciso l'Unità?

Dispiace, per l'informazione, per i colleghi e per la sinistra. Ma la chiusura speriamo temporanea dell'Unità almeno serva a capirne il perché.

La chiusura, speriamo temporanea, dell'Unità oltre ad addolorare induce a porsi, meglio tardi che mai, delle domande. La prima, appare scontato, è se un giornale di partito può sopravvivere al suo partito. 

Perché l'Unità è stata un giornale fin tanto che c'è stato il Pci, il suo partito, il suo editore. Poi con la lunga trasformazione da Pds in Ds e infine in Pd ha progressivamente perso identità. 

Forse tutto è cominciato quando divenne l'allegato ad una cassetta cinematografica. Finito l'allegato ... 

Poi si ricordano i curiosi mutamenti di formato, il quasi -francobollo, con il connesso tentativo di raccontare tutto in trenta righe. E si è confermato che chi cerca quel prodotto non cerca l'Unità. 

Poi si ricorda la scelta "parlamentarista", quella che faceva porre la politica interna, o l'interno della politica, prima di tutto, se non in modo esclusivo. 

Ma la fiducia di poter seguitare a fare un giornale che parla e non urla, che approfondisce e non brandisce, che si confronta con quella sinistra diffusa che non ha più i bollini in regola, come era un tempo quando c'erano il Pci e la tessera con i bollini dell'Unità, ma che cerca di capire chi sia e cosa sia la sinistra oggi, si ha l'impressione che non l'abbia voluta nessuna gestione.

E' una concezione della comunicazione e della politica che si è sbarazzata del giornale nell' epoca in cui partiti diversi da quelli di un tempo non hanno più bisogno di un giornale di partito, piuttosto dei talkshow. Peccato per tutti: per i lettori, per l'informazione, per i partiti.

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