Al-Quds Al-Arabi Un altro anno di guerra in Siria: chi osa essere ottimista? Il 15 marzo di tre anni fa un bambino di Daraa, gettando una pietra in un lago putrido, ha distrutto l’antico muro di silenzio e ha tracciato sulla sabbia una strada verso una libertà a lungo assente, facendola sembrare possibile. Quel giorno la Siria si è unita alla schiera di Paesi della primavera araba, sperando nella fine di un inverno durato decenni. Ma il regime, che conosce bene una sola lingua e un’unica politica ed è guidato da una sola famiglia con l’unico obiettivo di mantenere il potere per sempre e a qualunque costo, ha voluto tingere di sangue questa immagine nobile. La rivoluzione è diventata ufficialmente una guerra civile, dopo essere divenuta oggetto di contesa fra molti, dentro e fuori i confini siriani, spogliandola così della sua innocenza e sottraendola ai suoi legittimi proprietari, per levare striscioni neri e slogan ideologici vuoti e falsi, privi di qualsiasi legame con la religione o con la patria. L’ONU conferma che 9 milioni di siriani soffrono la fame e circa il 40% della popolazione è senza tetto. Secondo le statistiche i morti si aggirerebbero intorno ai 150 mila, senza contare l’elevato numero di feriti e di vittime di ogni tipo di violazione. Nel terzo anniversario della rivoluzione, il regime siriano seguita nella sua vecchia farsa del “referendum sull’estensione della presidenza di Bashar Al Assad”, mentre continuano le uccisioni gratuite tra fazioni, milizie, eserciti e gruppi armati di qualsiasi appartenenza. E come se questa copia della tragedia greca o dei crimini nazisti avvenisse altrove, alcuni giorni fa i media vicini al regime hanno mostrato delle immagini che, a loro detta, raffiguravano il sostegno festoso dei cittadini a Bashar, dopo una sua visita presumibilmente “elettorale”. Il vero nocciolo della tragedia siriana è che nessuno osa più essere ottimista dopo i ripetuti annunci dell’imminente caduta del regime. L’opposizione ha considerato Assad un criminale di guerra, ma ha accettato di sedersi con lui a Ginevra, perdendo così quel che restava della sua credibilità, mentre la delegazione del regime ne è uscita con un implicito riconoscimento internazionale della sua legittimità, che gli ha permesso di portare avanti questo referendum sulla presidenza. Gli Stati Uniti, invece, figurano in testa alla lista delle vittime politiche, poiché la vicenda siriana ha fatto emergere la perdita della loro tradizionale influenza in Medio Oriente. Hanno scommesso sul fatto che potessero raggiungere “obiettivi condivisi” con la Russia, ma la conferenza di Ginevra ha rivelato la stupidità di questa strategia e l’ingenuità del Presidente americano. Quanto all’ONU, l’inviato Ibrahimi si è limitato a scusarsi con il popolo siriano per il suo fallimento, mentre l’Organizzazione non può far altro che rinnovare l’invito ai negoziati, o gettare sabbia negli occhi di un mondo che ormai non fa più caso al numero delle vittime. Mentre la Russia e i suoi alleati portano avanti una chiara politica e non paiono costretti a rivederla, visto che ha rafforzato il regime e le ha fatto recuperare la sua influenza regionale, sembra che qualsiasi soluzione, politica o militare, in Siria sia rinviata fino a nuovo ordine. Si profila un altro anno in cui la Siria rimarrà stretta tra le fauci della dittatura sanguinaria e del terrorismo con una presenza araba che è più un’assenza.
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