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11 maggio 2014

La celebrazione della pulizia confessionale
di Lorenzo Trombetta

Una bambina con un peluche rosso in mano di fronte alle rovine della “sua casa” a Homs distrutta, e due preti ortodossi in una chiesa danneggiata “dai terroristi” sono le immagini di maggior effetto fornite dai media ufficiali di Damasco per sottolineare “la gioia di centinaia” di abitanti di quel che rimane della terza città siriana nel giorno del loro “ritorno a casa”.

Un tempo primo polo industriale nel centro del Paese, Homs è stata sin dal 2011 la roccaforte della protesta popolare anti-regime, repressa nel sangue e in seguito trasformatasi in rivolta armata, alimentata dall’ingresso nel Paese di jihadisti sunniti stranieri e sedata in parte in questa regione dall’intervento decisivo dai jihadisti sciiti libanesi filo-iraniani.

L’assedio durato più di due anni portato dalle forze lealiste al centro storico della città e durante il quale sono morte – anche per fame e sete – oltre duemila persone, si è di fatto concluso solo ieri, dopo che gli ultimi irriducibili miliziani si sono ritirati fuori la città in base a un accordo che ha previsto, tra l’altro, la liberazione di 45 tra civili e militari siriani e un iraniano.

L’agenzia Sana e la tv di Stato hanno dato ampio spazio alla notizia del “ritorno a casa”, mostrando cortei di “abitanti di Homs”, tra cui intere famiglie che con macchine fotografiche alla mano e giocattoli sotto braccio “ispezionano le loro case distrutte” nel solo quartiere di Hamidiya. “Homs si scrolla la polvere del terrorismo e torna sicura nel grembo della patria”, titola l’agenzia Sana.

“La volontà della vita è più forte”, ripete il conduttore del telegiornale di Stato. Si esalta “la gioia per la vittoria” in una città per decenni abitata da una borghesia sunnita e cristiana, ma la cui presenza è stata – forse per sempre – cancellata dalla guerra e dalla pulizia confessionale a danno dei sunniti operata in modo sistematico in una regione chiave: cerniera tra Damasco e la zona costiera dominata dai clan alawiti – branca dello sciismo – a cui appartengono i clan al potere.

I resoconti ufficiali odierni sembrano indirizzati all’opinione pubblica occidentale, interessata alla sorte dei cristiani. E sono impregnati di confessionalismo, nonostante il regime si presenti da decenni come “laico”. I reportage della tv di Stato e della Sana esaltano “il ritorno dei cristiani”, mostrano la chiesa danneggiata di Santa Signora della Croce”, intervistano la cristiana Juliette Rahhal, il rappresentante del vescovato siriaco-ortodosso di Homs Padre Butros Qassis e il prete Zahri Khazul.

Si dà la parola al sunnismo ufficiale interpellando lo shaykh Issam al Masri e la sunnita Ghada al Akhrass (della stessa famiglia della first lady Asma), ma si ignora del tutto la distruzione della Moschea Khaled ben Walid, icona di Homs e pesantemente danneggiata dai bombardamenti del regime e dall’artiglieria di Hezbollah.

I media ufficiali non confermano né smentiscono le notizie del ritrovamento di fosse comuni a Homs, anche se nelle settimane e nei mesi scorsi più volte gli attivisti della città avevano denunciato simili scoperte. Il governatore Talal Barazi ammette che il quartiere periferico di al Waar, dove molti miliziani si sono rifugiati assieme a profughi della città, non è ancora bonificato.

Le sue parole sono raccolte mentre visita il convento dei gesuiti, proprio dove è sepolto il corpo di Franz Van Der Lugt, l’anziano prete olandese ucciso lì nelle settimane scorse in circostanze mai chiarite.

Il gesuita era rimasto sotto assedio assieme ai musulmani e cristiani di Homs e aveva denunciato l’indifferenza della comunità internazionale. Se non fosse stato messo a tacere per sempre, il suo racconto su Homs avrebbe arricchito la versione ufficiale fornita da Damasco. ANSA

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