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Maggio 19, 2014

«Il futuro dei cristiani in Medio Oriente coincide con il vostro. Se saremo costretti ad andarcene, poi toccherà a voi»
di Rodolfo Casadei

La più importante e ampia delegazione di responsabili cristiani siriani che si sia recata all’estero da quando è scoppiato il conflitto nel 2011 ha tenuto una conferenza stampa a Ginevra. Tempi c’era

Ginevra. «Il futuro dei cristiani in Medio Oriente coincide col futuro dei cristiani in Occidente. Se saremo costretti ad andarcene dalla Siria e dagli altri paesi, anche il destino del cristianesimo in Europa sarà segnato: nel giro di trent’anni finirà». Ghassan Chahin, rappresentante della Chiesa melkita presso il Comitato per gli aiuti agli sfollati del ministero degli Affari sociali, scandisce bene le parole in inglese e guarda in faccia la ventina di giornalisti sparsi nella sala del Club suisse de la Presse di Ginevra per vedere che effetto ha prodotto. Gli altri membri della delegazione – la più importante e ampia delegazione di responsabili cristiani siriani che si sia recata all’estero da quando è scoppiato il conflitto nel 2011 – annuiscono convinti.

Non è un caso che il titolo dell’incontro pubblico che terranno in serata e della dichiarazione che hanno distribuito alla stampa e che il giorno seguente consegneranno alle Nazioni Unite attraverso i responsabili dell’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani sia: “Cristiani in Siria: la sfida di parlare con una voce sola”. E non soltanto parlano a una sola voce, ma ad alto volume e senza timori reverenziali, suddividendosi saggiamente i compiti fra laici e pastori.

Monsignor Dionysius Jean Kawak, arcivescovo di Damasco della Chiesa ortodossa siriaca, monsignor Nicola Baalbaki, vescovo di Bloudan e vicario patriarcale a Damasco della Chiesa greco-ortodossa, monsignor Nicolas Antiba, arcivescovo di Bosra e Hauran della Chiesa melkita (greco-cattolici), monsignor Giuseppe Nazzaro, già vicario apostolico ad Aleppo e custode di Terra Santa per la Chiesa cattolica latina, Samer Laham, direttore del Dipartimento delle relazioni ecumeniche e dello sviluppo del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia a Damasco, Johny Messo, presidente del Consiglio mondiale degli Aramei, ortodosso siriaco, più il sopra citato Ghassan Chahin, ai quali sul posto si è aggiunto il vescovo armeno apostolico Goossan Aljanian, hanno portato il loro messaggio.

Quattro i contenuti qualificanti. La richiesta di un cambiamento politico: «I cristiani e i valori cristiani possono riunire tutte le persone di buona volontà di tutte le parti  della società siriana per lavorare insieme sulla ricostruzione ed il futuro del paese, garantendo una vita dignitosa basata su princìpi di giustizia sociale ed economica, sulla libertà di religione, sulla democrazia e sul rispetto dei diritti civili e politici». L’importanza della permanenza di una presenza cristiana nel paese: «La presenza cristiana in Siria è radicata fin dalla nascita del cristianesimo. Tale presenza deve essere mantenuta e preservata da cristiani e musulmani, che storicamente hanno condiviso lo stesso destino e la vita quotidiana. Ciò garantirà la convivenza pacifica e armoniosa per le generazioni future».

Un appello alla comunità internazionale: «Chiediamo a tutti gli attori internazionali di sostenere i cittadini siriani di buona volontà per ricostruire la Siria in base a princìpi di rispetto per tutti i cittadini, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa e dalle loro convinzioni personali, e a non interferire nelle sue questioni interne». Un appello agli organi di informazione: «Chiediamo ai media di rappresentare in base ai princìpi dell’etica giornalistica la vera realtà del conflitto siriano, e a non riflettere gli interessi di Stati e di singoli attori».

Cacciati come in Iraq
Quanto sia difficile mantenere la presenza cristiana in Siria, condizione perché non si verifichi il crollo del cristianesimo in Europa, lo ha spiegato monsignor Kawak: «Un terzo dei cristiani (che prima della guerra erano circa 1 milione e 800 mila, ndr) ha già abbandonato il paese. Le chiese distrutte o gravemente danneggiate sono almeno 65. Le nostre Chiese fanno tutto quello che possono per aiutare i cristiani a restare, ma di fronte a padri di famiglia che vedono i figli rischiare la vita ogni giorno per le bombe, che vedono il nucleo familiare continuamente esposto al pericolo di rapimenti, non possono condannare chi decide di emigrare».

Dunque un siriano su 9 è profugo all’estero (2 milioni e mezzo su una popolazione di quasi 23 milioni) ma, stando alle parole del vescovo ortodosso siriaco, questa condizione riguarda un cristiano siriano ogni 3: i numeri ricordano da vicino l’andamento della crisi irachena, dove a un certo punto la condizione di profugo o sfollato riguardava un cittadino ogni 6 era, ma ben un cristiano iracheno su 2. Tuttavia la delegazione insiste nel dire che quella in Siria non è una guerra contro i cristiani, anche se per alcuni versi stanno pagando un prezzo più alto di altri gruppi di popolazione.
«No, non è una guerra contro i cristiani, in Siria soffrono tutti», dice Samer Laham. «La maggioranza dei profughi siriani in Libano, Giordania e Turchia è rappresentata da musulmani. Qualche tempo fa a Damasco nella stessa settimana sono state colpite dai colpi di mortaio dei ribelli due scuole, una islamica e una armena cattolica: sono morti tanti bambini nell’uno e nell’altro caso. Ci sono gli estremisti che usano la religione per motivare le loro azioni omicide, ma la maggioranza dei musulmani vuole la cessazione delle ostilità e la ricostruzione del paese come le vogliono i cristiani, e soffrono nel vedere le nostre chiese distrutte. Il nostro è un paese dove cristiani e musulmani si scambiano gli auguri per le rispettive feste religiose e assistono alle rispettive processioni». «Io ho lavorato a lungo come tour operator, negli ultimi quindici anni ho organizzato soprattutto pellegrinaggi sulle orme di san Paolo, portando gli europei nei luoghi più significativi», esemplifica Ghassan Chahin. «Ebbene, la maggioranza delle mie guide era musulmana! E nello stesso tempo a far visitare moschee di rilievo storico ai turisti erano le mie guide cristiane, e tutto questo era assolutamente normale».

Il ruolo del presidente Assad
«Da noi la convivenza e l’unità sono sempre state valorizzate, solo adesso si sottolineano le divisioni contrapponendo musulmani e cristiani, filo-governativi e antigovernativi», dice monsignor Kawak. «Ma i nostri fratelli di fede musulmana vivono le nostre stesse sofferenze, sono perseguitati dagli estremisti di Isis e di Jabhat al Nusra. Tuttavia ogni volta che sento il richiamo alla preghiera del muezzin e poco dopo le campane dei nostri monasteri che chiamano alla Messa, io sono sicuro che la Siria della convivenza tornerà». «Nella mia diocesi noi cristiani siamo l’elemento cuscinetto fra drusi e musulmani sunniti», spiega monsignor Antiba. «Il vescovo accompagna i cristiani che si spostano in cerca di terre da coltivare e fa il mediatore fra le varie comunità per l’accesso all’acqua e ai campi. Spesso devo mediare il riscatto di auto, trattori e persone prese in ostaggio: di questi tempi di più, ma anche in passato. Persone di diversa fede religiosa chiedono il mio intervento».

I giornalisti, e la sera qualcuno dei presenti all’Espace Fusterie, il settecentesco tempio protestante dove s’è svolta la conferenza pubblica, hanno cercato di punzecchiare la delegazione sui temi della presunta collusione dei cristiani siriani con il regime, delle violazioni dei diritti umani compiute dalle forze governative, del ruolo del presidente Assad. Le risposte non sono state per niente incerte.
«I cristiani vogliono quello che vogliono tutti i siriani: riforme per sradicare la corruzione e che ci si sieda intorno a un tavolo per mettere fine a una crisi che non è locale, ma regionale e internazionale», dice monsignor Kawak. «Non si può isolare il ruolo del presidente Assad dal contesto complessivo: se chi ha armato e finanziato la ribellione e favorito il passaggio attraverso le sue frontiere di migliaia di jihadisti non cambia la sua politica, non ci sarà nessuna soluzione per la Siria». «I media stranieri fanno credere che se l’attuale governo si dimettesse tutto andrebbe a posto», spiega Samer Laham. «Niente di più falso: faremmo la fine della Libia. Tanti continuano a ripetere che i cristiani difendono il regime perché esso li protegge. Non è vero, noi diciamo semplicemente la verità. E la verità è che in Siria un cristiano può fare carriera nella funzione pubblica, costruire una chiesa e fare processioni pubbliche, in tanti altri paesi arabi no».

Tensione con le Nazioni Unite
Il più assertivo sull’argomento è monsignor Nazzaro, già custode di Terra Santa, un uomo che ha vissuto in Medio Oriente per quarant’anni: «Se avete davvero a cuore i diritti umani, voi giornalisti dovete chiedere l’istituzione di una commissione internazionale che visiti tutti i paesi che vanno dal Nordafrica fino al Golfo Persico», dice. «Scoprirebbe che, prima della guerra, c’era più rispetto per i diritti umani nella Siria di Bashar el Assad che nella maggior parte dei paesi della regione. In quale paese musulmano si trovano tre ministri cristiani nel governo e i cristiani possono diventare capi di Stato maggiore dell’esercito?». In conferenza stampa e la sera durante l’incontro pubblico monsignor Nazzaro ha dettagliatamente raccontato episodi di violenze compiute dai ribelli contro località a maggioranza cristiana e casi di eccidi da essi compiuti ma attribuiti da media internazionali a forze del regime.

Ma il momento più intenso della missione ginevrina della delegazione di cristiani siriani è stato sicuramente l’incontro coi dirigenti dell’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu e della Commissione internazionale d’inchiesta sulla Siria del Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Incontro non privo di momenti di tensione, coi commissari che affermavano che il governo siriano non permette loro di visitare il paese e i siriani che replicavano che solo dopo tre anni una delegazione di cristiani riusciva a incontrare i responsabili Onu che si occupano della Siria. L’argomento principale discusso è stato il destino dei due vescovi rapiti più di un anno fa dai ribelli: le indagini sul caso procedono al rallentatore. «I commissari hanno manifestato la propria soddisfazione per avere avuto l’opportunità di incontrare una delegazione così folta», spiega Veronique Nebel, promotrice della Preghiera straordinaria di tutte le Chiese per la riconciliazione, l’unità e la pace, che insieme al Centro cattolico di studi di Ginevra e al Consiglio mondiale degli Aramei ha organizzato la missione dei cristiani siriani in Europa. «Alla fine hanno espresso l’auspicio che il rapporto iniziato continui e hanno invitato i siriani a notificare futuri atti di violenza contro le comunità cristiane».

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