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Nasce la Carta di Lampedusa.
Per chi è Italiano e per chi non lo è Sono 7 i corpi armati in servizio su un’isola di 20 km quadrati. Tutti i militari erano stati messi in allerta: stanno per arrivare i Black Block. Parecchi ragazzi in divisa ce l’hanno confessato davanti a un bicchiere. Invece, in questo fine settimana d’inizio febbraio, periodo insolito per raggiungere un luogo che vive di turismo estivo, siamo arrivati noi. Più di 200 ragazze, ragazzi, donne, uomini di associazioni e reti da tutta Italia, Europa, Nord Africa. Per scrivere insieme, “dal basso”, la Carta di Lampedusa. Perché proprio qui? Perché è il luogo simbolo di ciò che significa chiudere i confini. Lo sa bene Giusi Nicolini che, appena ci ha incontrato, ha detto: “Se si chiude in una fortezza, l’Europa perde tempo, non le serve per difendersi, ma serve soltanto a far sopravvivere un’economia in profonda crisi”. Una Carta, quella di Lampedusa, pensata proprio per tutelare i protagonisti del drammatico fenomeno sociale che va sotto il nome di migrazione di massa. “E no, rivendica il portavoce dell’Associazione dei Piccoli Imprenditori di Lampedusa deve tutelare anche chi a Lampedusa ci vive e lavora da sempre, i lampedusani. Siamo anche noi protagonisti”. E giù addosso ai politici che accusa di fare soltanto “passerelle elettorali, pretendono di insegnarci come fare accoglienza, promettono mari e monti e poi se ne vanno, abbandonandoci in un mare di problemi”. Lampedusani cittadini di serie B, cittadini dai diritti dimezzati. La mancanza di ospedali, di scuole, i prezzi esagerati della benzina (2.29 euro al litro) e dell’energia elettrica. ”Quali sono i diritti negati agli isolani? Un bambino che nasce a Lampedusa costa dai 5 agli 8mila euro. Ti chiederai il perchè… Beh, la femmina va a partorire a Palermo, si porta la suocera, il marito, in albergo, al ristorante, per 10 o 20 giorni, e la somma arriva là. L’emergenza? A tutt’oggi l’unico aiuto che abbiamo avuto è stata la sospensione delle imposte per il 2011 e il 2012, ma poi siamo stati obbligati tutti a contribuire alle mancate tasse in un unica soluzione”. Per andare a Palermo, la tratta è concessa sempre alla stessa società, e costa sempre 64 euro. Il traghetto non parte con mare forza 3. E chi se ne intende sa che corrisponde a un’ondina di 1 metro. “Il nostro rapporto con i migranti tutto il mondo lo conosce. Noi li abbiamo sempre accolti senza l’aiuto di nessuno, con ogni mezzo possibile. Ma ora siamo un po’ nauseati da questo sistema, perché sono 25 anni che subiamo questi soprusi dai governi, e chi ci va di mezzo siamo sempre noi. Quello che ci fa arrabbiare è questo. I nostri diritti sono sempre negati e invece quelli dei migranti li mettiamo sempre davanti a tutto”. I diritti della Carta sono tali perché sono universali: per chi è Italiano e per chi non lo è. C’è scritto che il meccanismo dal sapore feudatario per il quale i diritti variano in base al luogo di nascita va sostituito con la libertà di movimento. C’è scritto che la libertà di restare si riferisce alla possibilità di ogni persona di poter vivere in un paese senza guerre, alimentate molto spesso da politiche economiche legate a interessi esterni. Nella carta c’è scritto che chi migra, come chi non lo fa, deve avere il diritto di poter scegliere come realizzare il proprio progetto di vita, di lavoro, deve avere accesso a istruzione, salute, casa. La Carta afferma la libertà di tutte e tutti di resistere a politiche tese a creare divisione, discriminazione, sfruttamento e precarietà degli esseri umani, e che generano diseguaglianza e disparità. La Carta di Lampedusa, elaborata prima online, è stata poi approvata nella sua versione finale in un assemblea di 3 giorni. Scardina i concetti di integrazione, di emergenza, di permesso, di clandestino. Mettendo a nudo come i movimenti migratori non siano un fatto anormale, ma siano storicamente da sempre esistiti. L’idea di interazione e di relazione viene preferita a quella che vuole lo straniero obbligato a conformarsi con il paese in cui si trova. Viene denunciato il vincolo tra il lunghissimo iter per il permesso di soggiorno o per l’asilo politico e la fortuna di avere un lavoro fisso. La figura del clandestino in Italia punibile con la detenzione per reati amministrativi deve essere sostituita con quella bellissima del viandante che da sempre ha mischiato le culture, veicolato le conoscenze, favorito l’eterogeneità degli uomini cittadini del mondo. La discussione su queste diverse accezioni di principi è stata lunga e complicata, perché ognuno ha la propria sfumatura da far valere, ma con una buona pausa caffè della macchinetta (1 euro) si è passati alla seconda parte. Dopo i principi generali, la discussione ha preso in esame i meccanismi di inclusione differenziata che imperiscono i diritti inviolabili. La legge Dublino III, la Bossi-Fini e la Turco Napolitano, il sistema Eurosur, l’agenzia europea Frontex e le basi NATO.. Un militante del collettivo lampedusano Askavusa, in siciliano “scalza”, riporta l’attenzione sui costi della militarizzazione delle frontiere e delle politiche di accoglienza e di detenzione. Soldi con i quali si potrebbe investire in scuole, ospedali, progetti di interazione veramente utili. Sono già numerose infatti le inchieste aperte sugli enti di gestione dei Cie e dei Cara italiani, così come è sotto gli occhi di tutti l’influenza del mercato delle armi sulle politiche dei singoli stati. Confida inoltre la forte difficoltà nel condividere un pensiero anticapitalistico con la popolazione lampedusana. “Noi qui a Lampedusa abbiamo sempre accolto tutti: abbiamo regalato coperte, cibo e tanto affetto. Ma è una situazione insostenibile ormai. E poi che non ci vengano a dire che l’Europa non può accogliere i migranti, perché noi lo facciamo da sempre”. A parlare non è la sindaco Giusi Nicolini, non è un politico o un rappresentate di qualche associazione locale, che per altro non fanno che ripeterlo davanti alle televisioni di tutto il mondo. Lo sfogo senza rancore è di un lampedusano, un cittadino qualsiasi: “Il problema immigrazione dice è figlio delle politiche neoliberiste, di un capitalismo che non ammette di avere i giorni contati, della chiusura verso il futuro dei confini Europei”. Lampedusa è una, ma nel Mediterraneo e nel mondo, per mare e per terra, non si contano. “Noi militari non dovremmo esistere. E’ ovvio che se non ci fossero le frontiere non ci sarebbe bisogno dell’operazione Mare Nostrum. Costa tanto, vengono utilizzati natanti della Marina Militare non adeguati. Io sono contrario è un giovane arruolato in uno dei corpi armati presenti sull’isola e so che è colpa di chi ci governa. Noi governati siamo tutti sulla stessa barca. Ma che ti devo dire. Lo so che così non cambierà mai nulla, ma io non posso fare altro: se mi trovo in mare con esseri umani che stanno annegando io li salvo, faccio il mio lavoro, obbedisco e finisce lì”. Di fronte al porto nuovo c’è un’affascinante e desolante distesa di navi in disuso. Il cimitero delle navi. E’ sera, facciamo una foto. “Alt, fermi, non si possono fare foto”: ha sì e no diciott’anni ben portati, una divisa, scende da una camionetta. Perché? “Non lo so, so soltanto che hanno provato a bruciarlo, e non so neanche quando. Mi dispiace, davvero. Io quello che mi dicono di fare faccio. Non so manco cosa sia questo posto che controllo per notti intere”. Qualsiasi ragazzo in divisa di qualsiasi forza armata di servizio a Lampedusa sa perfettamente il numero di giorni e di minuti che ha già passato sull’isola, e di quanti ne mancano ancora per andare via. E’ sempre difficile descrivere l’atmosfera di un posto, ma c’è sempre qualcuno che ci prova. Questa è un’isola così piccola, ma enormemente eterogenea. E’ sempre difficile riferire in poche righe della complessità di un’assemblea costituente. Ma c’è sempre qualcuno che ci prova. E’ sempre difficile raccontare la varietà di posizioni degli abitanti di un luogo che raccoglie gli effetti di guerre, politiche di austerity, preconcetti culturali, sentimenti razzisti. Ma c’è sempre qualcuno che ci prova. Di fronte alla complessità dobbiamo studiare. Con umiltà. Tutto è utile ne sono convinti coloro che la Carta di Lampedusa l’hanno fatta vivere per riportare continuamente l’attenzione su un tema di cui si parla soltanto dopo le tragedie. Per rilanciare con forza la lotta per diritti innegabili, a partire da piccole battaglie ed esperienze, come quella dei Cie autogestiti o quella dei migranti di Amburgo, impegnati in un dialogo con le istituzioni federali per far valere un articolo della Costituzione. Chi sottoscrive la Carta lo fa con “l’impegno di affermare, praticare e difendere i principi in essa contenuti, nei modi, nei linguaggi e con le azioni che ogni firmatario/a riterrà opportuno utilizzare e mettere in atto”. Soltanto riconoscendo l’identità tra coloro che emigrano per motivi politici e coloro che emigrano per motivi economici, e la trasversalità dei diritti che spettano loro, si potrà procedere sul cammino della libertà.
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