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6 set 2014

«Hamas non sapeva dei tre ragazzi uccisi», dice la polizia israeliana
di Lorenzo Biondi

L'indagine appena conclusa mostra che il presunto mandante, anche se legato ad Hamas, non avrebbe agito su ordine della leadership del movimento, che si è sempre detta all'oscuro del rapimento e dell'assassinio dei tre teenager israeliani

L’uccisione di tre ragazzi israeliani – Naftali Frankel, Gilad Shaer ed Eyal Yifrah, di età compresa tra i 16 e i 19 anni, scomparsi lo scorso 12 giugno vicino Hebron – ora ha degli imputati. E secondo l’indagine condotta dalla polizia israeliana e dallo Shin Bet, il servizio segreto interno, il mandante del triplice omicidio non è la leadership di Hamas, come invece sostenuto dal governo di Israele subito dopo il rapimento e il ritrovamento dei corpi.

Giovedì scorso un tribunale militare israeliano ha imputato come mandante del triplice omicidio Hussam Qawasmeh, un uomo legato ad Hamas ma che – secondo l’accusa – ha organizzato il rapimento di sua iniziativa, e non per aver ricevuto una direttiva dall’organizzazione. Tra le persone che la polizia israeliana ritiene responsabili del crimine, Hussam Qawasmeh è l’unico ad esser stato arrestato. Gli altri presunti colpevoli risultano latitanti.

Gli esecutori materiali del crimine sarebbero due parenti dell’imputato, Marwan Qawasmeh e Amar Abu Aisha. Il denaro necessario per l’operazione – corrispondente a circa 50mila euro, usati per comprare la macchina con targa israeliana utilizzata dagli assassini, una seconda auto per la fuga, due fucili M-16 e due pistole – sarebbe stato fornito a Hussam da suo fratello Mahmoud, anche lui membro di Hamas. Il motivo del “prestito”? Hussam – interrogato dallo Shin Bet – ha riferito di aver chiesto il denaro per «un’operazione militare», senza chiarire al fratello i dettagli di quella operazione. Secondo il racconto dell’imputato l’obiettivo dell’operazione era rapire uno solo dei ragazzi; il sequestro degli altri due e l’uccisione di tutto il gruppo sarebbero stati «un errore» degli esecutori del crimine.

Lo Shin Bet ha concluso che «non sembra che la direttiva (di rapire i tre ragazzi) sia arrivata dall’alto». Il New York Times commenta che dal rapporto dei servizi israeliani si deduce che «si è trattato di un affare di famiglia, un’iniziativa locale progettata e messa in atto da un clan di Hebron».

La ricostruzione della polizia israeliana sembra confermare, quindi, quello che la leadership di Hamas ha sempre affermato, dai giorni immediatamente successivi al rapimento e all’uccisione dei tre ragazzi: «Siamo venuti a conoscenza dell’identità dei rapitori dall’indagine israeliana», aveva detto a più riprese Khaled Meshaal, leader politico dell’organizzazione.

I nomi dei due presunti esecutori del crimine, Marwan Qawasmeh e Amar Abu Aisha, erano stati diffusi dalla polizia israeliana subito dopo il ritrovamento dei corpi di Naftali, Gilad ed Eyal, il 30 giugno. Da subito – come scritto qui su Europa – alcuni analisti avevano notato che il clan dei Qawasmeh, una delle principali famiglie di Hebron, è legato da un rapporto ambiguo con Hamas: più volte, infatti, quel clan ha tentato di sabotare le tregue stipulate tra Hamas e Israele.

Un’obiezione che non aveva impedito al governo Netanyahu di attribuire la responsabilità dell’accaduto al movimento islamista, dando il via al conflitto armato a Gaza. Una anonima fonte del governo, sentita dal New York Times, ha spiegato: «Queste persone a Hebron sono note per essere attiviste di Hamas, e Hamas è nota per i rapimenti. Non è detto che non si trovi un legame diretto». Legame che, per ora, polizia e Shin Bet sembrano escludere.

Il 25 luglio un portavoce della polizia israeliana aveva detto al giornalista della Bbc Jon Donnison, a telecamere spente, che le indagini in corso indicavano che l’uccisione dei tre ragazzi era opera di «una cellula solitaria», non di Hamas. La guerra, a quel punto, era iniziata da quasi un mese. E sarebbe proseguita per altre quattro settimane dopo quella data. Due giorni fa, a conflitto concluso, le forze di sicurezza israeliane hanno reso pubblici i risultati della loro indagine.

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