Mada Masr
02/08/2014

La Palestina come archivio, ultimo esempio di un'accumulazione storica
di Sherene Seikaly
Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Un uomo e suo figlio siedono su due blocchi di cemento, circondati da cumuli di macerie che una volta erano la loro casa, ai margini di quella che fu la loro strada. La posizione dei loro corpi è speculare. Le braccia sottili penzolano sulle ginocchia nodose, le dita incrociate e gli occhi bassi, sondano le perdite. Meditano il passo successivo. Era il 16 luglio, otto giorni dopo l’inizio dell’attacco israeliano contro la Striscia di Gaza: questa immagine ha espresso la disperazione della Striscia stessa.

Alle nove di sera del 19 luglio i carri armati israeliani, l’artiglieria ed i missili hanno colpito i residenti di uno dei quartieri più poveri e sovraffollati della Striscia, Shuja’iya. I media israeliani, come pure quelli europei ed americani, hanno definito queste persone “scudi umani”. Con l’aggettivo “scudo” 1,8 milioni di persone sono state praticamente estromesse dalla categoria dell’umano.

Il pomeriggio del 24 luglio l’artiglieria israeliana ha centrato una scuola delle Nazioni Uniti, per la quarta volta dall’inizio dell’attacco, uccidendo sedici persone e ferendone 200. Il 27 luglio, i gazawi hanno cominciato a passare al setaccio i cumuli di macerie. Circondati dall’odore della morte, hanno scoperto altri centocinquanta corpi.

Queste sono solo alcune delle scene di Gaza del 2014. Sono dolorose nella loro immediatezza, ma la loro familiarità è anch’essa una fonte di sofferenza. Non appartengono solo a questo momento o questo luogo. Sono esempi di quello che oggi è un confronto secolare con il colonialismo. Fanno parte di un archivio che è la condizione palestinese.

Le immagini di Gaza evocano catastrofi come quelle del 1948, evocano casi di morte indiscriminata per mano di una forza militare superiore che spesso agisce sotto forma di rappresaglia, attuando sempre una punizione collettiva. Le scene da Gaza evocano altri momenti più banali: demolizioni di case, espropri di terreni, omicidi mirati e “zone cuscinetto”. Per i palestinesi si tratta di una ripetizione storica del confronto con il sionismo che ha continuato a conquistare terreni con tutto ciò che ne consegue: la cancellazione dei palestinesi. Gaza oggi appartiene all’archivio del colonialismo.

Le rivolte seguite agli eventi del 2 giugno non appartengono solo all’oggi, ma anche ai ribelli del 1936-1939; ai fedayyin della rivoluzione palestinese negli anni 1960 e 1970; agli scioperanti e manifestanti che lottavano contro la confisca delle terre; ai rivoluzionari della prima intifada; ai lanciatori di pietre il cui tempo nelle carceri israeliane è diventato un rito di passaggio. Gaza oggi appartiene all’altra parte dell’archivio che è la condizione palestinese, l’archivio della decolonizzazione. Al momento in cui scriviamo, la macchina militare israeliana ha ucciso 1.500 palestinesi e ne ha feriti oltre 8.000. Possiamo considerare sugli ultimi 24 giorni come l’ultimo esempio di un’accumulazione storica.

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