Originale: Haaretz Dietro la silenziosa reazione della società palestinese Nelle recenti settimane i funzionari governativi hanno richiesto di intensificare la punizione collettiva dei residenti palestinesi di Gerusalemme per scoraggiare potenziali assalitori. Però queste pubbliche minacce ufficiali non sono servite a scoraggiare Uday e Ghassan Abu Jamal. Hanno pianificato le loro azioni omicide sebbene sapessero che le loro famiglie avrebbero sofferto in un modo o nell’altro: assalti violenti alle loro case, arresti, umiliazioni, le loro case sigillate o distrutte. Sicuramente sapevano che se non li avessero uccisi, sarebbero stati arrestati, forse torturati durante l’interrogatorio e condannati all’ergastolo. Ma nulla di questo li ha dissuasi. E’ troppo facile e troppo presto etichettare l’assassinio di martedì nella sinagoga come un altro incidente in una guerra religiosa emergente. Hamas e altre organizzazioni che sfruttano la religione certamente preferirebbero rappresentarla in quel modo; rafforza la loro posizione rispetto alla narrazione dell’OLP, che considera ancora le radici del conflitto come coloniale-nazionale e che richiede una soluzione politica. Ma questa dicotomia non è completa: perfino i funzionari di Hamas e altri devoti musulmani spesso dicono che il problema non sta negli ebrei in quanto comunità religiosa, ma riguarda l’occupazione. Tuttavia, non c’è dubbio che lo zucchetto, il cappello e lo scialle di preghiera sono simboli, sia per i vignettisti che per coloro che vogliono danneggiare fisicamente i rappresentanti dell’occupazione. Come la keffiah e il velo questi sono segni visibili che rendono più facile a qualcuno vendicarsi del “nemico.” Analogamente, una sinagoga durante le preghiere del mattino è un obiettivo comodo non perché è un luogo di preghiera, ma perché è piena di persone che sono indubbiamente membri della nazione occupante. Non si dovrebbero prendere alla leggera neanche i sentimenti risvegliati nei palestinesi di Gerusalemme, e nei palestinesi in generale, dalla scoperta del corpo dell’autista dell’autobus Yusuf al-Ramouni. La polizia si è affrettata a dichiarare che era un suicida, ma i palestinesi non considerano la polizia come un’agenzia il cui scopo è di proteggerli. Al contrario: questa è la forza di polizia che scorta le ruspe che distruggono le loro case, che protegge i coloni, che uccide i dimostranti palestinesi e i criminali minori senza nessun motivo. Così i palestinesi fondamentalmente diffidano delle ragioni della polizia. Il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas ha condannato l’attacco alla sinagoga. La sua condanna è stata onesta e genuina, per ragioni sia morali che pragmatiche. A Gaza assediata e distrutta, i portavoce di diverse organizzazioni palestinesi, hanno elogiato i loro martiri e hanno espresso appoggio e comprensione per le loro azioni. Però tra il pubblico più vasto, la reazione principale è stato il silenzio. Quando i rappresentanti dell’OLP e di Fatah fanno il giro delle capitali europee per incoraggiare a votare a favore del riconoscimento di uno stato palestinese, la maggior parte delle persone ritiene che un attacco del genere potrebbe indebolire la causa palestinese, anche se soltanto per poche settimane. Uccidere dei fedeli ebrei in una sinagoga è un fatto negativo quando i gruppi palestinesi per i diritti umani stanno spingendo Abbas a rivolgersi alla Corte penale Internazionale in modo che gli ufficiali israeliani possano essere accusati di crimini di guerra e di aver violato la legge internazionale. I Palestinesi credono che tutti i mezzi, compresa la lotta armata, siano legittimi per combattere l’occupazione. Però nelle conversazioni private, anche coloro che appoggiano l’uccisione di israeliani, sembrano imbarazzati da un attacco contro i civili in preghiera. Quindi, perché coloro che sono contrari all’uccisione di civili in preghiera ora stanno zitti? Perché condividono la disperazione e la rabbia che hanno spinto gli Abu Jamal ad attaccare gli ebrei in una sinagoga. Come gli Abu Jamal si sentono sotto attacco: la nazione israeliana li attacca di continuo con tutti gli strumenti a sua disposizione. Il quartiere di Har Nof, dove ha avuto luogo l’attacco, è costruito sulle terre dell’ex villaggio palestinese di Deir Yassin. Coloro che stanno zitti ora considerano l’omicidio come una replica a una politica israeliana verso i palestinesi, che è stata una lunga catena di attacchi, espropriazioni ed espulsioni, fin dal 1948. Da: Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://zcomm.org/znet/article/behind-the-silent-reaction-of-teh-palestinian-street
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