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28/10/2014

Una passeggiata scatenò la seconda Intifada. Ora ci riprova il sindaco ultranazionalista
di Umberto De Giovannangeli
Giornalista, esperto di Medio Oriente e Islam

Tutto ebbe inizio da una "passeggiata". L'inizio della seconda Intifada. L'Intifada dei kamikaze. La passeggiata che fece esplodere la polveriera palestinese fu quella compiuta dall'allora leader del Likud e candidato premier (carica poi conquistata) Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme Est, terzo luogo sacro dell'Islam dopo Mecca e Medina. La rabbia palestinese covava da tempo, ma quell'"invasione" segnò un punto di non ritorno.

A distanza di 14 anni, la storia rischia di ripetersi. Ancora una volta con una "passeggiata". Ancora una volta sulla Spianata delle Moschee. A compierla, stavolta, è il sindaco israeliano della Città (contesa), l'ultranazionalista Nir Barkat. "Barkat è il primo sindaco a entrare a al-Aqsa, unendosi a gruppi di fanatici ebrei e parlamentari estremisti della Knesset", dichiara il direttore della Moschea di al-Aqsa, Shaykh Omar al-Kiwsani. Da giorni vanno avanti le proteste palestinesi, nel settore arabo (Est) della città e in Cisgiordania e a Gaza, contro le ultime iniziative israeliane a Gerusalemme. Nei giorni scorsi, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), si è rivolto agli Stati Uniti e al Consiglio Onu sui Diritti Umani perché indaghino sui "crimini israeliani" a Gerusalemme Est, imputando al governo di Netanyahu "insediamento di coloni nei quartieri arabi", "violazione dello status della Spianata delle Moschee" e "violenze di ogni genere contro i residenti arabi".

La risposta del premier israeliano non si è fatta attendere. Netanyahu annuncia la costruzione di mille nuove case in Cisgiordania, di cui gran parte proprio nei quartieri Est di Gerusalemme, considerata da Israele la propria capitale. Non basta. Passano poche ore dall'annuncio, ed ecco il ministro dell'Edilizia, rendere pubblica la sua volontà di volersi trasferire proprio nel quartiere arabo di Silwan in segno di solidarietà con le poche famiglie ebraiche che vi risiedono, con l'intento di ricostruire l'insediamento ebraico di Shiloah. Nella polemica sono finiti anche gli alleati americani, colpevoli, agli occhi dei governanti israeliani, di aver criticato l'ingresso nel quartiere palestinese di Silwan di decine di famiglie di coloni israeliani (Con le ultime occupazioni, i coloni sono passati dal 3,5 al 18% del totale degli abitanti di Silwan ). "Così come un arabo può comprare una casa di un ebreo, un ebreo può comprare una proprietà araba", aveva tuonato Netanyahu.

La tensione è altissima e c'è chi teme che la passeggiata del sindaco Barkat possa accendere la miccia che inneschi la Terza Intifada. "Il problema di Gerusalemme consiste nel fatto che è oggetto di una competizione aspra, crudele e nazionalistica tra gli ebrei d'Israele e gli arabi palestinesi. Per entrambe le parti vincere la competizione significa acquistare una sovranità incontrastata sulla città", rimarca Avishai Margalit, tra i più acuti analisti politici israeliani, professore di Filosofia all'Università ebraica di Gerusalemme. "Ciò che rende il problema di Gerusalemme tanto complesso - annota ancora Margalit - è il fatto che l'attuale competizione nazionalistica per la città si svolge sullo sfondo di un'antica e sanguinosa competizione religiosa tra ebraismo, cristianesimo e Islam. Per comprendere la profondità del conflitto nazionalistico bisogna afferrare il carattere di quello religioso...". Per questo Gerusalemme è il simbolo di un conflitto che non ha eguali al mondo. Perché come nessun altro conflitto al mondo racchiude in esso interessi, sentimenti, geopolitica e simbologia, in una dimensione atemporale. Sono dunque gli scrittori coloro che meglio sono riusciti a cogliere e a raccontare la natura del problema.

Un problema esplosivo. E tra gli scrittori ce ne è uno che più di chiunque altro ha scavato in quel groviglio di sentimenti, ambizioni, paure, speranze, odio che da sempre caratterizza l'"affaire-Jerusalem". Quello scrittore, scomparso alcuni anni fa, è Amos Elon. Gerusalemme - rimarca Elon nel suo libro "Gerusalemme. I conflitti della memoria" (BUR) - conserva uno straordinario fascino sulla fantasia e genera, per tre fedi ostili che si esprimono con parole perfettamente interscambiabili, la paura e la speranza dell'Apocalisse. Qui il territorialismo religioso è un'antica forma di culto. A Gerusalemme, nazionalismo e religione furono sempre intrecciati tra loro; qui l'idea di una terra promessa, e di un popolo eletto fu brevettata per la prima volta, a nome degli ebrei, quasi tremila anni fa. Da allora - prosegue Elon - il concetto di nazionalismo come religione ha trovato emuli anche altrove... Oggi, a Gerusalemme, religione e politica territoriale sono una cosa sola. Per i palestinesi come per gli israeliani, religione e nazionalismo si sovrappongono e combaciano. Da entrambi le parti si fondono. E ciò che nasce è, potenzialmente "esplosivo". "I sentimenti che (Gerusalemme) suscita - avverte ancora lo scrittore - hanno origine nella geografia e nella storia, e trascendono la politica o la religione". È così. Tutto su Gerusalemme rimanda a una visione assolutistica che non conosce né concede l'esistenza di aree "grigie", di incontri a metà strada tra le rispettive ragioni.

Una visione assolutistica che non investe solo la sfera della politica, non chiama in causa solo le leadership politiche - israeliana, palestinese, americana - che nel corso del tempo hanno affrontato il "nodo-Gerusalemme" senza mai scioglierlo. La visione assolutistica coinvolge anche gli storici e la loro rilettura degli eventi che hanno segnato, per restare agli ultimi venti anni - la storia dei tentativi - falliti - di dare soluzione al conflitto israelo-palestinese. Da Bill Clinton a Barack Obama, passando per Bush padre e figlio, e, indietro nel tempo, a Jimmy Carter: Democratico o Repubblicano, qualunque inquilino della Casa Bianca si sia cimentato negli ultimo trenta-quarantanni, con la questione Gerusalemme, ha dovuto fare i conti, subendola, con quella bramosia di possesso assoluto che influenza negativamente i protagonisti dell'"affaire-Jerusalem". Una cosa, comunque, appare certa. Un accordo di pace sostenibile non può tagliar fuori Gerusalemme. Al-Quds contro Yerushalayim. La simbologia alimenta le ambizioni di potenza dei protagonisti dell'eterno conflitto mediorientale. E anche una "passeggiata" può rivelarsi tragica. A Gerusalemme. Città divisa. Città contesa. Città senza pace.

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