Maan A Gerusalemme la più grande ondata di arresti dai tempi della seconda Intifada Le comunità palestinesi a Gerusalemme subiscono la più grande ondata di arresti dai tempi della Seconda Intifada, con un aumento notevole del grado di violenza da parte della polizia israeliana e operazioni di punizione collettiva che si abbattono su interi quartieri, secondo le organizzazioni locali. Le detenzioni di massa sono iniziate a seguito delle imponenti manifestazioni nel quartiere di Shufat, nella Gerusalemme Est, dopo l’omicidio di Muhammad Abu Khdeir, appena adolescente, il 2 luglio scorso. Da allora, a Gerusalemme Est sono stati arrestati oltre 770 palestinesi, secondo le stime dell’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer. Gli arresti a Gerusalemme vengono eseguiti parallelamente a una vasta campagna di detenzione in Cisgiordania, che ha comportato l’arresto di 800-1.000 palestinesi dopo il rapimento dei tre giovani israeliani il 12 giugno scorso. Sebbene molti siano stati liberati, la violenza della polizia, le condizioni per il rilascio imposte ai detenuti e tutto il sistema di restrizioni in vigore nei territori palestinesi hanno peggiorato le condizioni di vita individuali e di intere comunità. Circa 70 palestinesi arrestati sono ancora sotto custodia, e molti sono stati trasferiti nelle celle di detenzione di Lod, perché il carcere cittadino del Russian Compound era ormai stracolmo. “È un’operazione di punizione collettiva contro gli abitanti di Gerusalemme”, dichiara a Ma’an Mahmoud Qaraeen, del centro di informazioni Wadi Hilweh di Silwan. “Gli scontri e le manifestazioni seguite all’uccisione di Muhammad Abu Khdeir hanno fatto infuriare la polizia, che ha quindi imposto punizioni collettive su tutto il territorio della Gerusalemme Est”. La polizia israeliana ha proceduto a isolare i quartieri di Issawiya e Silwan durante queste campagne di detenzione, impedendo ai residenti di entrare o uscire. L’accesso è stato vietato persino agli operatori delle società dell’elettricità e dell’acqua, precisa Qareen. Nel 90% dei casi, gli arresti sono stati eseguiti durante la notte e il Centro di informazioni Wadi Hilweh sostiene che in massima parte, gli agenti di polizia israeliani non sapevano neanche chi avrebbero arrestato. “Gli agenti non bussano”, dichiara Qareen, “sfondano le porte e entrano”. “Fanno irruzione in una casa e chiedono ai genitori dove siano i figli. Se quelli rispondono che stanno dormendo, chiedono i nominativi e scelgono quale arrestare”. Tre settimane fa, le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’abitazione della famiglia Abbasi; non sapendo decidersi su quale figlio arrestare, li hanno condotti tutti e tre al comando di polizia, racconta Qareen. Al momento del rilascio, i detenuti devono pagare multe salate e secondo Addameer molti di loro, in larga parte giovani uomini, devono restare per mesi agli arresti domiciliari o subiscono il divieto di accedere a determinate zone di Gerusalemme Est, che talvolta coincidono con i luoghi in cui risiedono. Qareen è convinto che la campagna sia finalizzata a tenere “tranquilla” la comunità palestinese. “La loro intenzione è farci vivere come se fossimo in un hotel, a mangiare e dormire senza fare nient’altro. Lo svolgimento di una qualsiasi attività ci trasforma in criminali”. L’Associazione per i Diritti civili a Gerusalemme ha documentato numerosi episodi di violenza da parte della polizia durante la campagna di arresti, e ha chiesto una variazione nei protocolli della polizia, che prevedono l’uso di passamontagna da parte degli agenti che conducono le operazioni. Durante un arresto eseguito l’11 luglio, agenti di polizia a volto coperto e senza distintivi hanno fatto irruzione in casa di un ventiduenne di Issawiya alle 3 del mattino, devastando l’abitazione. Il 16 luglio invece, circa 20 poliziotti armati e a volto coperto hanno scavalcato una recinzione e sono entrati in una casa di Shufat senza identificarsi. Gli agenti israeliani hanno ammanettato un ventunenne e gli hanno bendato gli occhi. L’ACRI ha anche riportato il caso di una ragazza palestinese che ha aperto la porta a un agente a volto coperto a Gerusalemme Est e si è vista puntare un’arma contro senza che ve ne fosse motivo. “I poliziotti, senza volto né nome, sono solo un gruppo di anonimi uomini armati che irrompono nelle case nel mezzo della notte, una pratica tipica dei regimi dittatoriali”, ha dichiarato Yesef Karram, legale dell’ACRI. C’è stato anche un uso spropositato e senza precedenti del liquido maleodorante “Skunk” nelle settimane successive all’uccisione di Abu Khdeir; in genere questa arma viene usata di rado a Gerusalemme Est, e comunemente in Cisgiordania. Ronit Sela, Coordinatore per l’ACRI a Gerusalemme Est, ha dichiarato a Ma’an che il liquido “Skunk” è stato usato al secondo piano di edifici commerciali e residenziali di zone ad alta densità di popolazione, come Saladin e Zahra Street anche mentre non erano in corso scontri, lasciando un tanfo insopportabile per giorni. Il gruppo ha anche documentato l’uso di proiettili ricoperti di spugna a Shufat: un residente ha perso un occhio dopo essere stato colpito durante una protesta e tre giornalisti hanno ricevuto colpi alla testa e al volto nonostante si fossero identificati. Forse il caso più grave che ha visto il coinvolgimento di agenti a volto coperto è quello relativo al pestaggio dell’adolescente americano-palestinese Tariq Abu Khdeir, avvenuto il 5 luglio e ripreso da una telecamera. “Lo scopo è quello di intimidire. Avere la polizia in casa spaventa, ma è ancora più spaventoso se si tratta di agenti a volto coperto. Tale pratica, usata contro i civili, è tipica dei regimi che scelgono di terrorizzare la popolazione”, dichiara Sela. Gavan Kelly, coordinatore dell’Ufficio legale internazionale per Addameer, sostiene che oltre all’impiego di agenti a volto coperto, una differenza sostanziale dell’ultima campagna di arresti è l’assenza di mandati di cattura ufficiali. “Crediamo che continueranno, sono tuttora in corso. Non sappiamo per quanto, ci sono solo momenti di stasi tra un’ondata di arresti e l’altra. Stilano liste e interrogano sospettati, è un processo continuo”. Secondo Kelly, gli arresti di massa sono un modo per punire l’escalation di manifestazioni e proteste dopo l’omicidio di Abu Khdeir, e sono collegati anche agli eventi che stanno avendo luogo in Cisgiordania e all’offensiva militare su Gaza. Gli arresti di massa sono finalizzati a avere un “notevole impatto psicologico non soltanto sui singoli individui, ma sulla società nel suo complesso”, continua Kelly. “Israele è convinto che riuscirà a schiacciare la resistenza, invece otterrà l’effetto contrario. Spronerà ulteriormente i Palestinesi a continuare con le proteste”.
|
|