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Originale: Tomhayden.com

http://znetitaly.altervista.org
27 agosto 2014


Il movimento pacifista è di nuovo una minoranza

di Tom Hayden

Traduzione di Maria Chiara Starace

Improvvisamente il movimento pacifista è di nuovo nella condizione di una minoranza profetica. Questo significa esprimere nel modo migliore il fatto che il 54% del pubblico americano appoggia gli attacchi aerei contro l’ISIS, secondo i sondaggi fatti prima della decapitazione di James Foley, avvenuta la scorsa settimana. Fin dal 2006, quando una maggioranza ha deciso per la prima volta che la guerra in Iraq era uno “sbaglio”, il sentimento di pace è stato un fattore potente nelle elezioni del Congresso 2006 e nelle due elezioni del presidente Barack Obama.
Non è più così, almeno per un futuro imprecisato. Meno di un mese fa, 300 membri del Congresso hanno approvato una risoluzione che chiede che le elezioni militari in Iraq vengano discusse e autorizzate. Poi sia il Congresso che presidente sono andati in vacanza e, come in base a un piano, il pentagono ha aumentato il suo personale sul terreno ad almeno 1200 persone e ha iniziato a colpire le posizioni dell’ISIS con attacchi aerei.
Quando il Congresso tornerà a riunirsi dopo la Festa dei lavoratori, il 1° settembre, potrà o non potrà occuparsi dell’autorizzazione a seconda di che cosa deciderà il portavoce John Boehner. Se sarà così, il dibattito potrebbe essere salutare, ma i suoi esiti saranno più a favore della guerra di quanto alcuni abbiano sperato. Le questioni fondamentali, sollevate molto probabilmente come emendamenti, riguarderanno che tipo di restrizioni il Congresso imporrà allo scopo, durata e costi della missione che sta aumentando.
Le previsioni sono rischiose, e questo è il motivo per cui l’azione militare è definita “cinetica”, ma è difficile prevedere un esito progressista o anche uno razionale. Come ha osservato ripetutamente il Dottor Gerald Horne, le politiche statunitensi sono “incoerenti”, a volte perfino insondabili, dato che la più rilevante è l’appoggio continuo dell’agenda dell’Iran in Iraq e in Siria, mentre allo stesso tempo si definisce l’Iran un nemico pericoloso e si giocherella con il cambiamento di regime a Teheran.
Mettendo da parte la retorica variabile di Washington, lo scenario che si va dispiegando per il futuro, comprende una campagna di bombardamenti, e consulenti sul terreno contro l’ISIS sia in Iraq che in Siria. I bombardamenti sosterranno le forze curde attorno a dighe strategiche e a giacimenti petroliferi, ma potrebbero non riuscire a scoraggiare l’esercito dell’Iraq dominato dagli Sciiti nelle province settentrionali dell’Iraq. In ogni caso, gli Stati Uniti stanno diventando “l’aviazione militare sciita” (e anche curda) malgrado due settimane fa abbiano rifiutato quel ruolo.
Per bombardare le posizioni dell’ISIS in Siria, gli Stati Uniti dovranno intraprendere un’azione unilaterale dalla parte della dittatura di Assad, o almeno obiettivamente. Gli Stati Uniti interverranno anche tra le fazioni sunnite impegnate sul terreno. L’ISIS ha “aiutato” Assad uccidendo altri militanti sunniti appartenenti al Fronte Nusra e all’ Esercito Siriano Libero. Se attaccheranno le posizioni dell’ISIS in Siria, gli Stati Uniti potrebbero sentirsi costretti a fornire assistenza militare alle altre fazioni siriane lì, cosa che Obama ha tentato di evitare.
Il danno inflitto dal cielo può causare vittime civili, rendere furiose le popolazioni locali, declassare gli armamenti militari, e complicare le manovre delle forze nemiche. Però una guerra aerea senza delle valide forze di terra non può essere vittoriosa, specialmente una guerra aerea che serve agli interessi di Assad. Ecco perché la promessa di Obama di non fare bombardamenti in Siria e di non inviare “truppe americane di terra”, potrebbero essere le richieste a cui il Congresso porrà un limite.
L’esercito iracheno di impronta sciita non troverà alcun appoggio in posti come Anbar, Diyala, Nineveh, e in tutta la regione sunnita. I Sunniti di lì avranno bisogno di una zona autonoma come il Kurdistan, come spazio alternativo tra l’ISIS e la maggioranza sciita. In concreto, le richieste sunnite saranno:
° nessun bombardamento aereo o di artiglieria in zone sunnite indipendentemente dal fatto che l’ISIS sia presente;
° ritiro delle milizie sciite dalle aree sunnite;
° rilascio dei detenuti sunniti che non sono stati mai accusati di crimini;
° lasciar cadere le accuse di crimini contro i funzionari sunniti eletti;
°cancellazione della legge anti-baatista che priva dei diritti civili migliaia di Sunniti.
Il regime di Baghdad controllato dagli Sciiti, si opporrà a qualsiasi concessione di questo tipo ai Sunniti che una volta dominavano, specialmente fino a quando gli Sciiti potranno contare sulla potenza aerea americana e sui “consiglieri.” Se questo è lo scenario che si prospetta, è difficile immaginare che i Sunniti in Iraq si rivoltino contro l’ISIS, come hanno fatto contro Al Qaida con l’appoggio americano dal 2006 al 2010.
Il Congresso è ossessionato dal caso della Libia dove una campagna aerea concordata con le tribù locali ha provocato l’uccisione di Gheddafi e il crollo del suo regime, ma anche il crollo dell’ordine sociale di quella nazione. Dalla Libia la rivolta del deserto si è estesa al Nord Africa dove arde ancora al di là del controllo o della comprensione dei piromani ideologici della NATO.
Ecco perché sarà sostenuta da John McCain ( e forse da Hillary Clinton) la tesi a favore dell’invio di truppe americane di terra, tra timori di barbare decapitazioni e di conseguenze politiche. Chi altri manderanno a combattere l’ISIS sul terreno? Forze speciali dalla Giordania, dalla Turchia e dall’Arabia Saudita? Le scelte sono poche.
Se saranno inviate altre truppe, la prossima posizione di ripiego sarà quella di chiedere una tempistica per il loro ritiro e il rumore delle passate controversie si sentirà di nuovo mentre l’America scivolerà in un periodo di caos.
La nostra necessità più urgente non è forse risolvere i problemi della nostra razza, classe e quelli religiosi che divampano in patria? Ferguson, in Missouri è un modello che possiamo mostrare al mondo con orgoglio?
In tempi come questi, si desidera un Martin Luther King Jr. o un Robert Kennedy o un George McGovern, cioè qualcuno la cui voce non può essere spenta dai media convenzionali. Ci si augura che l’esistenza di un movimento pacifista della portata di 350.org. (organizzazione internazionale ambientalista, n.d.t). Potrebbe arrivare, ma per ora il dibattito pubblico deve spostarsi su un terreno più favorevole. Tramite mezzi che vanno dai blog, ai cartelloni e fino ai discorsi conservati nell’Archivio del Congresso, devono cominciare le domande:
1. Perché l’America è così sola a negare che non dovremmo mai negoziare con i terroristi? I gruppi jihadisti non hanno forse liberato 50 ostaggi negli scorsi 5 anni, per avere un riscatto, per lo più da nazioni europee? Non è forse vero che l’ISIS voleva 100 milioni di euro per rilasciare vivo James Foley? E se non possiamo trattare con i terroristi, questo non esclude del tutto qualsiasi accordo politico?
2. Di chi è stata l’idea di rovesciare Saddam Hussein e di mettere al suo posto un regime di ayatollah sciiti? E perché allora abbiamo finanziato, armato, addestrato e dato pieno appoggio ad al-Maliki e ai partiti sciiti mentre imponevano torture, repressione, privazione dei diritti civili e pulizia etnica ai Sunniti?
3. Se appoggiamo già una zona autonoma curda che ha la sua forza combattente all’interno dei confini dell’Iraq, perché i Sunniti iracheni oppressi non dovrebbero avere una loro propria zona autonoma nell’Iraq settentrionale e occidentale? Non è questa l’alternativa all’ISIS in quella zona?
4. Se la guerra religiosa e politica durata 30 anni in Irlanda del Nord si è potuta trasformare in una pacifica convivenza pacifica, con comunità cinte da mura e veti esercitati da entrambe le parti, perché siamo stati a guardare mentre i Sunniti venivano cacciati con la forza da Baghdad?
5. Perché gli Stati Uniti non possono considerare le concessioni all’Iran a alla Russia e anche a Hezbollah in cambio della fine del loro appoggio ad Assad e alla minoranza Sciita/Alawita a Damasco? Invece di una guerra per delega, queste potenze non potrebbero insistere per un accordo di condivisione del potere che affronti la rabbia dei Sunniti da decenni sotto la dittatura di Assad?
Nessuna di queste “alternative perdute” sarà perseguita in nessun momento del prossimo futuro, ma dovrebbero essere ricordate negli anni a venire. Per ora siamo entrati in una nuova epoca buia e la speranza di progresso in patria è come un sogno che si allontana.



http://tomhayden.com
monday, august 25, 2014

Peace movement a minority again

Suddenly the American peace movement is back to the status of a prophetic minority. That's putting the best cast on the fact that 54 percent of the American public supports air strikes against ISIS, according to polls done before last week's beheading of James Foley. Since 2006, when a majority first decided in a Gallup Poll that the Iraq War was a "mistake", peace sentiment has been a powerful factor in the 2006 congressional elections and the two elections of President Barack Obama.

That's no longer the case, at least for the indefinite future. Less than one month ago, 300 members of Congress passed a resolution demanding that any Iraq military election be debated and authorized. Then both Congress and the president went on vacation and, as if by plan, the Pentagon expanded its personnel on the ground to at least 1,200 and began pummeling ISIS positions with air strikes.

When Congress returns after Labor Day, it may or may not take up the authorization, depending on Speaker John Boehner. If it does so, the debate may be healthy, but the outcomes more hawkish than some have hoped. The key questions, posed most likely as amendments, will be what kind of restrictions Congress will impose on the scope, duration and costs of the escalating mission.

Predictions are hazardous, which is why military action is called "kinetic", but it's hard to foresee a progressive outcome, or even a rational one. As Dr. Gerald Horne has noted again and again, US policies are "incoherent", even unfathomable at times, the most notable being continuous support for Iran's agenda in Iraq and Syria while still defining Iran as a dangerous nemesis and toying with regime change in Teheran.

Leaving aside Washington's changing rhetoric, the unfolding scenario ahead includes a US bombing campaign and advisers on the ground against ISIS in both Iraq and Syria. The bombing campaign will shore up the Kurdish forces around strategic dams and oil fields, but may not deter the crumbling of Iraq's Shiite-dominated army in the northern provinces of Iraq. In any case, the US is becoming the "Shiite air force" (and Kurdish as well) despite refusing that role two weeks ago.

To bomb ISIS positions in Syria, the US will be taking unilateral action on the side of the Assad dictatorship, or at least objectively so. The US also will be intervening in the midst of Sunni factions on the ground. ISIS has been "helping" Assad by killing other Sunni militants from the Nusra Front and the Free Syrian Army. If it attacks ISIS positions in Syria, the US may feel compelled to give military assistance to the other Syrian factions there, which Obama has tried to avoid.

Damage inflicted from the air can create civilian casualties, enrage local populations, degrade military weaponry, and complicate the maneuvers of enemy forces. But an air war without able ground forces cannot be won, especially an air war that serves the interests of Assad. That's why Obama's promise of no US bombing in Syria and sending  "no American ground troops" might be the questions where Congress draws the line.

The sectarian-Shiite Iraq army will find no support in places like Anbar, Diyala, Nineveh and the whole Sunni region. The Sunnis there will need an autonomous zone like Kurdistan, as an alternative space between ISIS and the Shiite majority. Concretely, the minimum Sunni demands will be:

no bombing or shelling of Sunni areas regardless of whether ISIS is present;

withdrawal of Shiite militias from Sunni areas;

release of Sunni detainees who have never been charged with crimes;

dropping of criminal charges against Sunni elected officials;

cancellation of the anti-Baathist law which disenfranchises thousands of Sunnis.

The Shiite-controlled regime in Baghdad will oppose any such concession to the once-dominant Sunnis, especially as long as the Shiites can count on American air power and "advisers." If that scenario unfolds, it's hard to see the Sunnis in Iraq turning against ISIS, as they did against Al Qaeda with American support from 2006-2010.  

Congress is haunted by the case of Libya where an air campaign coordinated with local tribes led to the killing of Gaddafi and collapse of his regime, but the collapse of Libya's social order as well. From Libya the desert revolt spread to North Africa where it still is burning beyond the control or understanding of the ideological arsonists of NATO.  

That's why the case will be made by the John McCain’s (and perhaps Hillary Clinton) for sending American ground troops, amidst fears of barbarian beheadings and political consequences. Who else will they send to battle ISIS on the ground? Special forces from Jordan, Turkey or Saudi Arabia? The choices are few. 

If more US troops are sent, the next fallback position will be demanding timelines for their withdrawal, and the din of past controversies will be heard again while America goes down the rabbit hole.

Isn't our most urgent need the solving of our race, class and religious issues burning at home? Is Ferguson, Missouri, a model we can proudly show the world?

In times like these, one wishes there was a Martin Luther King Jr. or a Robert Kennedy or George McGovern, someone whose voice the mainstream media cannot turn off. One wishes there was a peace movement on the scale of 350.org. That might come, but for now the public debate must be shifted to more favorable ground. Through blogs to placards to speeches in the Congressional Record, the questions must begin:

1. Why is America so alone in denying that we should ever negotiate with terrorists? Haven't jihadist groups freed 50 hostages for ransom in the past five years, mainly by European countries? Isn't it true that ISIS wanted one hundred million euros to release James Foley alive? And if we can't negotiate with terrorists, doesn't that rule out any political settlement at all?

2. Whose idea was it to overthrow Saddam Hussein and replace him with a regime of Shiite ayatollahs? And why then did we fund, arm, train and fully support al-Maliki and the Shiite parties as they inflicted torture, repression, disenfranchisement and ethnic cleansing on the Sunnis?

3. If we already support a Kurdish autonomous zone, complete with its own fighting force, within the borders of Iraq, why shouldn't Iraq's oppressed Sunnis have an autonomous zone of their own in northern and western Iraq? Isn't that the alternative to ISIS there? 

4. If the thirty-year religious and political war in Northern Ireland could be converted into peaceful coexistence with walled communities and vetoes held by both parties, why did we watch while the Sunnis were forcibly driven out of Baghdad?

5. Why can't the US explore concessions to Iran and Russia and even Hezbollah in exchange for their pulling the plug on Assad and his Shiite/Alawite minority in Damascus? Instead of a proxy war couldn't these major powers insist on a power-sharing arrangement addressing Sunni anger from decades under the Assad dictatorship?

None of these "lost alternatives" will be taken up any time soon, but they should be remembered in the years ahead. For now, we have entered the new dark ages, and the hope of progress at home is like a receding dream.

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