http://www.socialnews.it Una crisi insostenibile
Non esiste un rifugiato che miri a restare tale. Spesso, sono vittime di ingiustizia, occupazione, blocco, conflitto. Ma sono anche attori del loro sviluppo, con capacità che molti al mondo dovrebbero invidiargli A 120 bambini è stato recentemente permesso di uscire da Yarmouk, il campo di rifugiati palestinesi a Damasco, per sostenere gli esami. Questi quattordicenni sono emersi da una realtà apocalittica che chiamano casa, scioccati e frastornati, vittime di uno dei conflitti più spietati del nostro secolo. Due settimane dopo gli stessi ragazzi sono tornati a Yarmouk, dalle loro famiglie, in un luogo dove le distribuzioni alimentari delle Nazioni Unite riescono a soddisfare solo un quarto dei bisogni degli oltre 18.000 civili intrappolati in un ambiente di una durezza incredibile, dove l’assenza di cure mediche decreta la morte per cause altrimenti facilmente curabili. È stato un momento tragico, che ha messo a nudo l’assenza di speranza di questi ragazzi, una metafora dell’insostenibilità della situazione dei rifugiati palestinesi nel ciclone di questo conflitto. In Siria oltre 550.000 rifugiati registrati con l’UNRWA sono sfollati, i 12 campi in cui lavoravamo trasformati in un teatro di guerra. Nella Giornata Mondiale del Rifugiato è imperativo parlare della sofferenza di questa popolazione dimenticata, capire il contesto in cui lotta per sopravvivere pur nella sua intrinseca complessità. Non è solo la Siria, l’insostenibilità della vita di questo popolo è evidente anche in Cisgiordania, dove l’impatto dell’occupazione israeliana e dell’espansione degli insediamenti è multidimensionale e profondo. I rifugiati palestinesi sono vittime di un sistema che impedisce loro libertà di movimento. Molti devono fare i conti con le demolizioni delle loro case e gli espropri dei terreni. I bambini e i civili si confrontano con la crescita nell’uso della violenza. In Cisgiordania il muro sta distruggendo la vita di intere comunità. L’occupazione è sinonimo di un’inversione nel processo di sviluppo, soffocando l’economia con le conseguenze prevedibili. L’accesso al cibo non è garantito per oltre il 33% della popolazione, 1,6 milioni di rifugiati palestinesi secondo l’ultimo censimento di UNRWA. A Gaza l’insostenibilità ha tante unità di misura. Una mi ha colpito particolarmente: il numero di rifugiati palestinesi che si rivolgono all’UNRWA per le distribuzioni alimentari è cresciuto da 80.000 nel 2000 a oltre 800.000 oggi. Quando a Gaza ho incontrato quello che una volta era un imprenditore affermato fare la fila per la farina ho dato un volto al tragico peggioramento di questa situazione. A Gaza sono tantissimi questi volti. La disoccupazione giovanile è al 65%, tra le donne raggiunge l’80%. Questa insostenibilità ha anche un impatto ambientale allarmante: il 90% dell’acqua non è adatta al consumo, l’intera falda acquifera potrebbe diventare inutilizzabile entro il 2016, con danni irreversibili entro il 2020 se non verranno prese misure drastiche e immediate. Ci sono pochi segnali che qualcosa in questa direzione verrà fatto. Le proiezioni del numero dei rifugiati che l’UNRWA dovrà assistere nei prossimi anni sottolinea ancora una volta l’insostenibilità di questa situazione: nel 2012, 5,27 milioni di persone erano registrate con l’UNRWA. Questo numero è destinato a crescere fino a 5,75 milioni nel 2016, e a 6,46 milioni nel 2010. Il numero dei più poveri diventerà 1,7 milioni nel 2021. Ogni giorno che passa, diventa sempre più urgente ascoltare le voci di chi ha perso tutto, le loro paure, i loro timori. Passano i decenni, e si aggiungono altre crisi nel Medio Oriente e nel mondo, mettendo a rischio anche la narrativa di questa crisi bollata come “una vecchia storia”. Io obietto che ignorare la sofferenza dei rifugiati palestinesi è un rischio che non ci possiamo permettere. Da Yarmouk al sovraffollamento dei campi rifugiati in Libano, dove 50.000 nuovi arrivi dalla Siria hanno piegato un ecosistema già fragile, dai rifugiati intrappolati dietro un muro in Cisgiordania alla spirale negativa dalla quale non si vede un’uscita a Gaza, l’insostenibilità riguarda tutti gli aspetti della vita. Devo ancora incontrare un rifugiato che voglia essere un rifugiato, o che speri di rimanere tale. I rifugiati palestinesi non sono diversi. L’appello per una soluzione giusta e durevole alle loro sofferenze deve essere ascoltato. Fino a che questa condizione non verrà realizzata l’UNRWA gioca un ruolo in questa trasformazione. In tempo di pace, una pace relativa, il nostro lavoro di sviluppo nel settore educativo, sanitario e dei servizi sociali promuove la stabilità, la dignità, e il rispetto dei diritti. In tempo di guerra, la nostra assistenza emergenziale costruisce le resilienza e mitiga la negazione dei diritti, sebbene tanto sia ancora da fare. Adesso, dopo oltre 60 anni, il contributo di UNRWA parla da solo: abbiamo raggiunto i tassi di alfabetizzazione più alti di tutto il Medio Oriente, una riduzione estrema nella mortalità neonatale e materna. Il nostro impegno è quello di ogni operatore umanitario, che rischia in prima persona per portare aiuti di emergenza e assistenza in Siria, Libano, Gaza. Il nostro lavoro continuerà fino a che non sarà trovata una giusta soluzione. Ho capito fin dal primo giorno che il mandato di UNRWA non è in vendita. Credo con passione che il nostro contributo sia legato indissolubilmente a quello delle migliaia di rifugiati che costituiscono la maggioranza del nostro staff. Come tutti i rifugiati, i palestinesi sono prima di tutto individui che si vogliono realizzare con orgoglio. Sono vittime di ingiustizia, occupazione, blocco, conflitto. Ma sono anche attori del loro sviluppo, con capacità che molti al mondo dovrebbero invidiargli. I palestinesi vanno giustamente fieri del tasso di alfabetizzazione dei loro figli e dei risultati brillanti delle nuove generazioni di professionisti. Lo sforzo di UNRWA si concentrerà sempre più sulla ricerca di donatori e donazioni per preservare e sostenere i risultati già ottenuti, promuovendo a tutti i livelli i diritti umani e la dignità. Non dimentichiamo che questa crisi ha il volto dei bambini sotto shock a Yarmouk, dell’ex imprenditore in fila per il cibo a Gaza, o di uno qualsiasi dei 5 milioni di rifugiati registrati con noi. Nessun aiuto potrà mai compensare la perdita dei diritti e della dignità.
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