Originale : The Indipendent
http://znetitaly.altervista.org
11 febbraio 2014

Poco a che fare con la giustizia
di Robert Fisk
Traduzione di Maria Chiara Starace

L’esecuzione delle donne ha una speciale repulsione per gli occidentali, specialmente – siamo onesti al riguardo – quando le donne sono decapitate, impiccate o uccise con armi da fuoco nel mondo musulmano. La nostra repulsione per l’atto di uccidere una donna combacia quindi accuratamente con la nostra convinzione di base che l’Islam tratta le donne, non solo come cittadine di seconda classe, come schiave, proprietà, premi di “onore” che devono essere massacrate anche se soltanto si bisbiglia che quella “dignità” è infangata, oppure le tratta come vittime sacrificali dei crimini dei loro uomini. Spesso c’è di mezzo il sadismo maschile.

Che cosa pensano gli autoritari boia dell’Arabia Saudita quando tagliano  la testa di una donna in un pubblico mercato? Che dire del boia di stato iraniano che ha sentito Delara Darabi mentre al telefonino chiedeva aiuto a sua madre urlando: “Oh, madre, vedo il cappio del boia davanti a me. Stanno per giustiziarmi. Per favore, salvami.” E che dire di chi, mentre la ragazza veniva  impiccata, diceva sogghignando alla madre parlando allo stesso telefono che nulla poteva ora salvare sua figlia?

Il “crimine” di Delara Darabi  è stato di aver confessato l’uccisione del cugino di suo padre, apparentemente per salvare la vita del suo fidanzato che si diceva avesse commesso il crimine e che quasi certamente sarebbe stato impiccato per questo. La famiglia di Delara, però, aveva già ottenuto un rinvio di due mesi dell’esecuzione. Era un’artista   affermata,  un angelo con le sue compagne di prigione. Quando avevo chiesto della sua esecuzione all’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad  mi aveva risposto, che era contro la pena capitale, ma che la magistratura iraniana era “indipendente” dal governo. “Non voglio uccidere neanche una formica,” mi ha detto.

Ora le autorità irachene, che giustiziano prigionieri politici maschi a dozzine – per “terrorismo”, naturalmente – hanno preso l’abitudine di torturare, violentare e occasionalmente giustiziare alcune delle migliaia di donne detenute illegalmente nelle loro carceri. L’Osservatorio per i Diritti Umani – sia benedetto il loro nome – ha appena rivelato come una prigioniera era entrata a una riunione con un delegato dell’Osservatorio, camminando con le stampelle. Ha detto di avere sopportato nove giorni di bastonate e di scosse elettriche, che l’avevano lasciata perpetuamente invalida. Il suo naso spaccato,  le cicatrici  sulla schiena e le bruciature sul seno erano conseguenza,  ha detto l’organizzazione, della violenza che aveva dichiarato. Poi è venuta – letteralmente – la parte “dell’uccisione” nel loro rapporto ufficiale: “E’ stata giustiziata nel settembre del 2013, sette mesi dopo che l’Osservatorio la aveva intervistata, malgrado le decisioni del tribunale che aveva respinto le accuse contro di lei…”

La maggior parte delle 4.200 donne arrestate dal governo sciita dell’Iraq sono (c’è bisogno di chiederlo?) sunnite. Le autorità sono ben consapevoli  della terribile presa che hanno sulle loro famiglie, che possono o non possono essere state coinvolte in attacchi armati contro il governo o contro i loro sostenitori. L’arresto delle donne è una forma di punizione collettiva per i loro uomini. Viene loro detto di firmare dei fogli in bianco sui quali verranno in seguito aggiunti i loro “crimini”. Nouri al-Maliki, il Primo ministro iracheno, l’anno scorso aveva promesso di liberare le prigioniere che avevano documenti giudiziari per il rilascio. Nulla, però, è cambiato.

Nomino qui soltanto incidentalmente la pratica atroce, vergognosa e cattiva del delitto di “onore”  contro le donne, che si è dimostrato un cancro duraturo, inguaribile nel mondo musulmano. Nel corso degli anni ho accumulato un archivio di massacri di donne – quasi sempre fatti da uomini – che non lascia alcun dubbio che i governi,   la burocrazia, la società e le famiglie accettano, spesso con ruggiti di condanna ipocrita, questi crimini contro l’umanità. Le mie personali inchieste in Giordania – ne parlo come correttivo necessario – fanno pensar che se si fa un calcolo percentuale della popolazione, le donne cristiane in quel paese sono vittime del delitto d’onore forse più spesso che le donne musulmane.

Ma le giovani donne che sono state decapitate, affogate, e pugnalate a morte a migliaia in tutta la regione medio-orientale per avere sposato gli uomini sbagliati, o per averli amati, o per essere state violentate da loro, o per essere state vittime di false accuse di adulterio, dovrebbero essere elencate, almeno nell’aldilà su qualche pergamena che ricordi il loro martirio. Le donne prigioniere in Iraq, vorrei aggiungere, sono state accusate di aver perduto il loro “onore” dopo essere state torturate in carcere. 10 anni fa, ad Abu Ghraib, le prigioniere irachene chiedevano che avrebbero dovuto essere uccise dopo il loro rilascio perché erano state violentate dagli americani. Al-Qa’ida chiede costantemente il rilascio delle donne prigioniere. Gli iracheni che avevano catturato l’ostaggio britannico poi ucciso, Ken Bigley, avevano chiesto il rilascio delle donne prigioniere in cambio della sua vita. Ce lo siamo dimenticato, non è vero?

Negli stati del Golfo anche le donne immigrate- di solito sono filippine –  vengono uccise con le armi da fuoco e vengono decapitate per l’uccisione di uomini e donne sauditi che, in base alle testimonianze, le hanno maltrattate enormemente e in alcuni casi hanno tentato di violentarle. Quasi tutte hanno subito  processi ingiusti. L’Arabia Saudita ha giustiziato 49 donne tra il 1990  il 2010. Nella città iraniana di Neka, Atefah Rajabi Sahaaleh, il cui certificato di nascita dimostrava che aveva soltanto 16 anni, nel 2004 è stata accusata di aver fatto sesso con il suo fidanzato, un uomo sposato. Ha raccontato a un membro della sua famiglia di essere stata ripetutamente violentata dall’uomo di 51 anni. Si dice che il giudice fosse furioso per la sua eloquente autodifesa e si dice che abbia messo lui personalmente il cappio intorno al collo della ragazza prima di osservare gli spasimi della sua morte mentre veniva buttata in aria da una gru idraulica montata su un camion.

C’è una discussione inquietante, naturalmente. Se siamo indignati per questo spregevole trattamento delle donne, significa che siamo meno indignati quando gli uomini vengono torturati e giustiziati? Perché, nel momento in cui esprimiamo il nostro particolare disgusto per la vergognosa situazione di difficoltà delle donne che  affrontano i torturatori  e i boia, stiamo facendo capire, non è vero? che l’omicidio  giudiziale degli uomini è meno crudele? Non è vero. Se le donne sono più vulnerabili, come certamente accade in Medio Oriente, allora il loro bisogno di protezione è ancora più grande. Ma questo riguarda l’unica cosa che noi occidentali non portiamo mai in Medio Oriente quando promettiamo libertà e “democrazia” per tutti: la giustizia e la pietà.

Una storia tipo “gli spettatori sono avvertiti.” Esaminando le carte di mio padre, l’altro giorno, per un’intervista alla radio sul ruolo minore che aveva avuto come soldato nella Prima Guerra mondiale nella regione del bacino del fiume Somme, nel 1918, ho trovato un dépliant sull’insediamento di Preston Hall, vicino a Maidstone . Bill Fisk di solito raccoglieva dei soldi per questo insieme di   villette  nel Kent, per ex militari che soffrivano di gravi malattie polmonari, di tubercolosi, e delle conseguenze  della inalazione di iprite  (chiamato anche gas mostarda) nelle trincee del fronte occidentale. Fino a gran parte degli anni ’50  i questi vecchi soldati hanno vissuto tossendo, dormendo e morendo d’estate sui balconi legno fuori dalle loro case.

Mi ricordo un giorno in cui sono andato con mio padre in visita a Preston Hall dove i dottori volevano spiegargli gli effetti postumi del gas. Sul tavolo al centro della stanza c’era una serie di quelli che sembravano sacchetti di plastica marrone sgonfi. “Non siete schizzinosi?” ha chiesto uno dei dottori. Mio padre ha improvvisamente alzato la mano e ha detto: “Non vogliamo vedere quella roba”, e mi ha fatto uscire in fretta dalla stanza. Non aveva bisogno che gli venissero mostrati i polmoni delle vittime più recenti del Fronte occidentale. Oggi avrebbe esattamente 122 anni –felice, oserei dire, di perdersi le celebrazioni del centenario.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/little-to-do-with-justice-by-robert-fisk

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