Giovedì 27 Novembre, 2014

Lo storico “sciopero alla rovescia” (1956) di Danilo Dolci
di Raffaello Saffioti

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Articolo 4 della Costituzione italiana

“Credo che uno sciopero debba essere sempre, oltre che scienza, un’opera d’arte, un’invenzione. Si organizzano e si fanno scioperi nazionali di milioni di personeche non riescono a incidere, non colpiscono l’attenzione della gente come dei movimenti anche di piccoli gruppi

che però sanno inventare esattamente. E’ una questione di precisione: precisione morale e tecnica”. 1 Danilo Dolci

Diritto al lavoro e diritto di sciopero

Ormai le manifestazioni di protesta per difendere il diritto al lavoro, organizzate non solo dai sindacati, sono quotidiane. Questo autunno sta diventando “caldo”, mentre l’Italia cade “a pezzi” per il suo dissesto idrogeologico e appare uno “sfasciume pendulo sul mare”. Le cifre della disoccupazione, soprattutto giovanile, e di quella del sud d’Italia, sono allarmanti. Siamo in presenza di una emergenza sociale e politica, non solo economica.

Che dire? Che fare? Quali sono le prospettive?

Per alleviare la crisi, stanno funzionando come “ammortizzatori sociali” gli aiuti che danno i genitori ai figli disoccupati, ed anche i nonni ai nipoti, facendo ricorso ai risparmi di una vita. Quando questi risparmi saranno esauriti, cosa potrà succedere? E’ esagerato parlare di allarme sociale?

Se consideriamo l’articolo 1 della nostra Costituzione che recita:“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, c’è da chiedersi: cosa può succedere se alla Repubblica viene a mancare il suo fondamento?

C’è il pericolo che la Repubblica crolli?

Questo pericolo viene avvertito dai nostri governanti?

Le manifestazioni di protesta hanno effetto sulla politica governativa?

Anche il diritto di sciopero è garantito dalla nostra Costituzione, ma gli scioperi si stanno rivelando inefficaci. Cosa dobbiamo aspettare? L’assalto ai forni, di manzoniana memoria?

Ormai gli scioperi sembrano atti di un rituale liturgico. E c’è sempre il pericolo della loro degenerazione.

Cos’è, cosa significa “sciopero”?

Varie forme di sciopero.

Cerco la parola “sciopero” sul Vocabolario (di Nicola Zingarelli, Zanichelli, 1995):

“Astensione collettiva dal lavoro da parte di lavoratori, per raggiungere determinati fini d’ordine sindacale (economico o normativo) oppure sociale e politico”.

Nello stesso Vocabolario leggo varie forme di sciopero:

“s. articolato, s. generale, s. a oltranza, a tempo indeterminato, s. a catena, s. a scacchiera, s. a singhiozzo, s. a sorpresa, s. bianco, s. selvaggio, s. di solidarietà, s. della fame”.

Lo sciopero è considerato e praticato come una delle tecniche della nonviolenza.

“L’etimologia stessa di scioperare da ‘ex-operare’ indica il significato di aver finito di lavorare e anche di abbandonare il lavoro deliberatamente. E’ dunque una forma di non collaborazione, e la più nota e la più usata. S’intende che lo sciopero è una tecnica nonviolenta quando non compie alcuna violenza, neppure nel difficile caso dei non scioperanti o krumiri, e non è animato da odio verso coloro dai quali stacca la collaborazione.

… Una forma interessante di sciopero e spiccatamente nonviolenta, è lo “sciopero a rovescio”. Lo attuò felicemente Danilo Dolci il 2 febbraio 1956, …”. 2

Ma è da riprendere una definizione da un pensiero di Danilo Dolci, riportato in epigrafe:

Credo che uno sciopero debba essere sempre, oltre che scienza, un’opera d’arte”.

UNO SCIOPERO STORICO: LO “SCIOPERO ALLA ROVESCIA” DI DANILO DOLCI (1956)

Lo “sciopero alla rovescia” fu una clamorosa forma di protesta che nel 1956 DANILO DOLCI (1924-1997) attuò a Partinico, in Sicilia, con centinaia di disoccupati per denunciare pubblicamente l’estrema miseria, affermando il diritto al lavoro, anche sancito dall’articolo 4 della Costituzione italiana. Fu arrestato con 4 sindacalisti e subì uno dei suoi tanti processi, conclusosi con la condanna.

E’ passata alla storia col nome di “scioperi a rovescio” l’esperienza di lotta nonviolenta del movimento operaio e contadino nel secondo dopoguerra, a cavallo tra gli anni 40 e 50, considerata come illegale e repressa dalla polizia. Fu uno degli episodi più importanti del conflitto sociale, verificatosi in gran parte nell’Italia meridionale, che rischia di scomparire dalla memoria storica.

Quella esperienza venne considerata una grande invenzione di lotta nonviolenta dei senza lavoro che non potevano scioperare in quanto disoccupati. In quel contesto si inserisce la vicenda del cosiddetto “sciopero alla rovescia” di Danilo Dolci. Ma fu come una reinvenzione degli altri scioperi, per le finalità e le modalità della preparazione e dello svolgimento. Fu il più noto e il più esemplare.

Da una significativa pubblicazione del 1956, raro documento storico:

“La manifestazione nella Trazzera Vecchia è uno dei cento episodi verificatisi nel corso dell’ultimo rigidissimo inverno dell’Isola, dove la fame ha raggiunto proporzioni allarmanti: nel quadro delle lotte per il lavoro ai disoccupati, per l’imponibile di mano d’opera, delle proteste dei lavoratori affamati, è un episodio né più imponente né più drammatico di tanti altri; né si può dire che in questo caso il Governo si sia mostrato più impreveggente che altrove, o la polizia più ottusa.

Ma la presenza di Danilo accanto agli uomini delle Leghe e della Camera del Lavoro ha dato un’impronta insolita alla manifestazione, ha conquistato nuovi alleati, ha fatto convergere su di essa l’attenzione dell’intero Paese.

Giornalisti, fotografi, operatori cinematografici sono lì all’alba del 2 febbraio 1956, assistono all’inizio del lavoro, alla assurda operazione della polizia contro chi sta compiendo un diritto ed un dovere prescritto dalla Costituzione; vedono Danilo, il Segretario della Camera del Lavoro, Salvatore Termini, e gli altri braccianti presi di peso dagli agenti e caricati sulle camionette. Gli articoli, le fotografie, le notizie dell’arresto si diffondono in poche ore in tutta Italia e all’estero.

… Bisogna riconoscere che Danilo per la sua personalità, per le sue amicizie, per la preparazione minuziosa, ha una capacità eccezionale di porre all’attenzione del pubblico dei gravi problemi facendoli emergere in tutta l’evidenza da un singolo caso, uguale a tanti altri che pure non sono riusciti a colpire.

… Si può dire che i lavoratori di Partinico abbiano compiuto un passo decisivo in quel giorno nello sviluppo della coscienza e della maturità politica.

… Ma forse più ancora che nella trazzera il valore dell’opera di Danilo è apparso nel processo. Il Tribunale di Palermo in quella occasione si è trasformato in una Assise nazionale in cui gli imputati divenivano accusatori e tutta la cultura italiana era chiamata a testimoniare sulla legalità, moralità, santità dei principi che avevano spinto sul banco degli accusati i difensori della Costituzione, del progresso, dei più alti diritti umani.

Anche per quella parte dell’opinione pubblica che resta assente e sorda dinnanzi a centinaia di processi, a migliaia di arresti alle repressioni alle violenze agli attentati contro la libertà, la cortina del silenzio e dell’indifferenza è stata spezzata.

Il processo per i fatti di Partinico è divenuto così uno dei processi più celebri del dopoguerra e da esso sono emerse le piaghe, la miseria, la fame del Mezzogiorno, la necessità delle riforme, l’esigenza di difendere e di attuare la Costituzione italiana”. 3

Vasta è la bibliografia di e su Dolci, alla quale fare ricorso per la documentazione di quella vicenda storica. Fondamentale è il libro Processo all’articolo 4, “quasi tutto scritto all’Ucciardone, il carcere di Palermo, nei due mesi che vi rimasi dopo l’arresto”. 4

“Processo all’articolo 4, quando esce da Einaudi nel 1956, reca in copertina il nome Danilo Dolci in seconda fila, fra quelli di avvocati, scrittori e intellettuali, insomma gli autori plurali del libro.

E’ una scelta grafica che ha evidenti ragioni tattiche, per evitare di compromettere ulteriormente la posizione processuale che si ritorcerebbe contro lo scrittore, proprio a causa di quel libro se portasse la sola firma di Dolci” (Beneduce).

Ma il nome Danilo Dolci, come autore, è in copertina del libro ristampato nel 2011, con la Postfazione di Pasquale Beneduce (Sellerio editore, Palermo).

Dal risvolto della prima di copertina di questo volume:

“Il 2 febbraio 1956 Danilo Dolci veniva arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria. Al commissario di polizia che era intervenuto per interrompere quello «sciopero alla rovescia», come venne chiamato, Dolci rispose che «il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere: che sarebbe stato, era ovvio, un assassinio non garantire alle persone il lavoro, secondo lo spirito della Costituzione». L’accusa era di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale e a Dolci e ai suoi venne negata la libertà provvisoria. L’opinione pubblica allora si mobilitò contro la polizia e il governo Tambroni, deputati e senatori intervennero con interrogazioni parlamentari, le voci più influenti del paese si schierarono a fianco di Dolci. Ciò che avvenne intorno allo sciopero alla rovescia di Trazzera vecchia, nelle piazze, nelle camere di polizia, sui giornali, nei tribunali, fu lo scontro sui modi opposti di considerare la legalità in Italia: la Costituzione, come regola vivente dei cittadini, contro la pratica dell’autoritarismo gerarchico, eredità fascista. Da qui il titolo del libro, che significava che le autorità trascinavano alla sbarra, non tanto il gruppo dei manifestanti, quanto la Costituzione stessa”.

Vale la pena notare che in quello storico processo deposero, tra gli altri, come testimoni per la difesa: Norberto Bobbio, Lucio Lombardo Radice, Carlo Levi, Elio Vittorini. La difesa, a titolo gratuito, fu di Piero Calamandrei, uno dei più grandi nostri Padri costituenti.

Il libro non contiene solo gli atti del processo, ma anche una serie di documenti che lo precedono: -Appelli di Dolci inviati alle maggiori autorità italiane e alla stampa;

-Testo di una trasmissione alla Radiotelevisione;

e, dopo la sentenza, una Lettera di Dolci alla stampa.

In Appendice a questo mio scritto vengono riportati passi scelti.

Da segnalare il libro curato da Giacinto Spagnoletti, già citato. La sua prima edizione è del 1977 (Mondadori, Milano). E’ una lunga intervista a Dolci e contiene un capitolo dedicato allo “sciopero alla rovescia”.

Dolci dice dell’attività e del digiuno che condussero allo “sciopero alla rovescia”. Poi racconta come si svolse lo sciopero, il suo arresto e come passò i due mesi in cui rimase in carcere. Quindi dice delle reazioni e delle minacce che seguirono il processo stesso.

PERCHE’ RICORDARE OGGI LO “SCIOPERO ALLA ROVESCIA”?

DANILO DOLCI, IERI E OGGI

“Chi insegna, a scuola o all’università, assiste di anno in anno alla scomparsa dalla memoria collettiva di nomi e volti che ci erano una volta familiari. Danilo Dolci è una di queste figure, lentamente ma inesorabilmente, ha completato la traiettoria dell’inabissamento nel mare dell’oblio. Anche i suoi compagni e collaboratori avanzano negli anni e ci vanno lasciando”. 5

Bisogna dire che non mancano iniziative per ricordare Dolci, come, per esempio, la ristampa delle sue opere. Ma non si dimostrano sufficienti per far percepire al grande pubblico l’attualità del suo pensiero e della sua opera. Perché?

Dolci fu sempre in anticipo sui suoi tempi.

Non dobbiamo dimenticare le vicende della sua vita. Non possiamo dimenticare i processi, il carcere, e tutte le altre avversità.

“La dimensione profetica di Danilo Dolci si coglie bene nel contesto storico odierno, in cui emergono potenziati gli effetti congiunti e perversi dello spreco, della violenza, della falsificazione sistematica. Attento al processo di evoluzione della vita nel cosmo e a quello della storia, di cui denunciava i misfatti, egli mirava a suscitare le capacità latenti di ciascuno, superando ogni barriera di classe, genere, età, etnia, cultura. Sperimentava che la comunicazione interpersonale, sostenuta dalla riflessione genuina sull’uomo e sul cosmo, alimenta la passione per il bene comune e aiuta a percepire la complessità e le risorse inesplorate del reale, in vista del futuro. Su questo si fondava la sua «scienza della speranza». 6

Ci fu una evoluzione coerente nel pensiero e nell’opera di Dolci, ma non è questa la sede per esaminarla. Col passare degli anni, dopo la morte avvenuta il 30 dicembre del 1997, il suo messaggio rivela una carica profetica, al di là del mito.

L’ “ultimo” Dolci.

Ho già ricordato Dolci a novant’anni dalla nascita sul giornale on line “il dialogo”, con la mia testimonianza personale, dalla Calabria. 7

Ho notato che l’opera Comunicare, legge della vita (La Nuova Italia, 1997) può essere considerata emblematica e riassuntiva della sua vita e del suo pensiero.

In essa leggiamo:

“Una malattia ci intossica e impedisce: la vita del mondo è affetta dal virus del dominio, pericolosamente soffre di rapporti sbagliati.

Non un nuovo Golia occorre denunciare, né estranei nemici ma, nei più diversi ambiti, ripensare e rifondare il modo e la qualità dei nostri rapporti, di ogni genere di rapporto.

Talmente abituati siamo a questa malattia, che ci è arduo concepire la salute. Sappiamo quale mondo vogliamo?

L’antico virus va tramando strategie inedite. Una frode sottile ma vasta degenera il mondo, acuta, sistematica, mentre il rapporto esclusivamente unidirezionale nel tempo tende a passivizzare l’altro, gli altri, e a divenire violento. Ove le bombe non bastano, l’inoculazione, la trasmissione propagandistica vengono più e più camuffate da comunicazione.

Malgrado puntuali denunce, finora inadeguate, questa strategia (condotta da persone, gruppi, Stati) subdolamente tende a strumentalizzare la gente, rendendola indifesa e acquiescente. Il bambino, il giovane, il passante nella strada difficilmente può difendersi dalla ingegneria del consenso finché non sa che esiste, e come ordisce, sostenuta da apparati e investimenti smisurati.

I maggiormente pericolosi predatori e parassiti umani perlopiù ragnano legalmente e nell’oscuro. Sovente l’usurpatore e i suoi strumenti vengono esaltati e incentivati dagli stessi oppressi. Insano è frodare, ma anche lasciarsi parassitare, divenendo complici. L’adeguarsi all’ordine del dominio implica la responsabilità del dominatore che quella di chi si lascia dominare.

Tanto più a fondo questo contagio penetra quanto più riesce ad assoldare anche notevole parte degli istituti universitari, accademici e scolastici, oltre ai quadri politico-industriali direttamente implicati e, ovviamente, gli stessi loro mezzi di informazione. Spacciandosi, talora con inconscio cinismo, per scientifico progresso.

Molti strumenti del dominio sfuggono al controllo democratico, sfuggono alla coscienza popolare.

La massima parte dell’informazione mondiale entro poco tempo rischia di essere concentrata, filtrata e adulterata da pochi gruppi dominanti. Il falsare erode, corrompe, disintegra la vita.

Arduo è liberarsi dell’inganno che diviene norma. Chi non medita, non pensa liberamente, non distingue tra l’ipnotizzante trasmettere e il comunicare”. 8

E’ una diagnosi acuta della malattia del nostro tempo. In essa e nella breve e inusuale ‘prolusione’ che Dolci ha letto a Bologna il 13 maggio del 1996, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione, c’è il grido di allarme di un profeta.

Chi è il profeta?

Varie sono le risposte.

Senza fare la storia dei profeti e della profezia, possiamo dire che il profeta è colui che annuncia e denuncia.

Nella Bibbia erano definiti profeti coloro che denunciavano le ingiustizie e i mali del mondo, indicando la via per il loro superamento.

“Il profeta non vede il futuro, vede il presente. Vede nel presente quello che gli altri non vogliono ascoltare. Soprattutto ciò che riguarda la difesa della vita e la netta condanna di qualsiasi guerra e ingiustizia.

… Un profeta non si ferma alle parole, alle affermazioni di principio, ai proclami. Convalida tutto con i fatti, rimettendoci spesso la libertà se non la vita.

… Profezia è scontro con il potere” (Pasquale Iannamorelli). 9

Se queste risposte sono valide, possiamo dire che valgono a definire il carattere del pensiero e dell’opera di Dolci.

Profezia e utopia di Danilo Dolci.

Per la concezione del rapporto tra il tempo presente e quello futuro, nel contesto della sua visione del mondo e della vita come “creatura di creature”, si può dire che in Dolci ci sia la tensione verso il futuro come nel “maestro-profeta” di Aldo Capitini e don Lorenzo Milani.

Lapidarie nella loro espressività le parole di don Milani:

“… il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i «segni dei tempi», indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. 10

“In una concezione profetica della storia il futuro è continuamente da inventare e da promuovere: il futuro non è né la sintesi dialettica del passato, né un momento successivo di un processo ascendente (o discendente); ma è il radicalmente nuovo, tanto conoscitivamente imprevedibile quanto praticamente nelle sole nostre mani.

… Il profeta, in quanto volto alla realtà da liberare, è proteso verso il futuro”. 11

Vengono in mente titoli di libri di Dolci: Verso un mondo nuovo (Einaudi, 1964), Inventare il futuro (Laterza, 1968).

Profezia e utopia, spigolando in alcuni libri di Dolci.

Sul tema dei cambiamenti necessari, per “inventare il futuro”, “per promuovere una nuova storia”, riprendiamo brani dal libro curato da Spagnoletti e da alcuni libri di Dolci.

“E infine, a chi obietta che finora nella storia non sono stati possibili cambiamenti strutturali con metodi nonviolenti, che non sono esistite rivoluzioni nonviolente, occorre rispondere con nuove sperimentazioni per cui sia evidente che quanto ancora non è esistito in modo compiuto, può esistere. Occorre promuovere una nuova storia”. 12

“… è decisivo sapere maturare l’utopia dell’omega. Solo così i limiti, i limiti di sempre, possono venire superati attraverso tentativi continui: nell’intuizione dell’omega. Il nuovo futuro, l’orizzonte utopico deve essere plasmato da ciascuno, perché la vita umana acquisti un senso, tenendo conto della storia, delle necessità, ed elaborando nuove scelte: imparando a immaginare e a realizzare nuovi sogni.

Torno a ribattere il mio chiodo: vince il sogno se riesce a liberare la sua materia. L’autoanalisi personale, l’autoanalisi di gruppo, l’autoanalisi popolare sono indispensabili strumenti metodi, per pervenire alla coscienza dei problemi, all’individuazione degli obiettivi: e per maturare i presupposti al cambiamento cioè le forze necessarie al cambiamento stesso.

… Gli uomini non hanno ancora imparato a sognare insieme, a elaborare la propria visione: hanno appena iniziato a studiare dei metodi in questa direzione. Nella misura in cui si forma, o si formerà, questa elaborazione utopica, questo progetto, esso potrà agire come elemento di desiderio necessario per lo sviluppo comune, via via si è maturi per esso. Non può esserci sviluppo se mancano questi due elementi: in primo luogo il senso della necessità, la visione scientifica della realtà, la scelta e la selezione nella storia; in secondo luogo il senso comunitario della vita, l’aspirazione a progettarla insieme. La capacità di elaborazione utopica non solo deve essere affinata a livello individuale, ma a livello di gruppo e di gruppi di gruppi: questo va quasi totalmente inventato dall’umanità, maturando qualità intuitive, artistiche, elaborando tutti quei metodi di pianificazione democratica che occorre via via studiare.

… Il problema – qui è il punto essenziale – non consiste soltanto nell’imparare a sognare insieme tra gli uomini, ma in un certo senso insieme addirittura agli uccelli, ai fiordalisi.

… Soltanto a una condizione il mondo può sopravvivere e sviluppandosi: il progetto della città terrestre divenga l’impegno non solo di poeti, urbanisti, economisti e scienziati di ogni settore. Divenga un capolavoro collettivo col contributo di ciascuno, di ciascuno di noi”. 13

“L’immaginare creativo opera oltre sé. Profeta, esprime nuova realtà: smette d’inchinarsi riverente a chi distrugge distruggendosi, smette d’inchinarsi riverente alla miope smania del principe, cerca nel governare corresponsabili prospettive”. 14

“… Utopia può essere evasione nella illudente fantasticheria, la pretesa di imporre chiusi schemi, ma utopia può esprimere la forza dell’ipotesi che occorre provare, l’intuizione che raffigura il nuovo da progettare nel verificare.

… Sapere concretare l’utopia chiede, col denunciare, un annunciare capace di lottare e costruire frontiere che valorizzino ognuno: l’educazione è rivoluzionaria se si matura valorizzatrice, dunque maieutica”. 15

“L’utopia può divenire pericolosa quando pretende imporre presunte perfezioni, se l’orologio squadra le persone invece di segnare l’ora a incontri musicali, vivi al ritmo dell’anima e del sangue.

… Cercare di organizzarsi, strutturarsi, per mirare ad una società in cui responsabilmente si impari a comunicare creativi, è solo «critica di ciò che è», è solo un sogno che trasfigura la realtà, è solo un’ «ipotesi di lavoro», un’utopia politica, un’utopia biologica, o una sociale scienza-arte della speranza, una condizione essenziale – verificabile anche scientificamente, concretamente – per la salute dei singoli e del mondo?

… E’ utile il profeta, la scoperta del dire meditante che ricerca e interpreta presagi? E’ come domandarsi se il vedere – nelle ampie prospettive dei diversi spazi e tempi – giova.

… Dell’oscura Calabria Gioacchino e Francesco sono soltanto due dei profeti, seppure eccezionali di splendore.

Se il veggente esprime il desiderio di strutture pacifiche del mondo, nel secolo in cui Gandhi solidifica gli strumenti di lotta e innovazione pacifica, dalla Calabria ancora rigermogliano esperienze concrete a illuminarci.

… Se i futurologi – sempre esistiti nei più diversi modi – studiano tendenze, chi attento al vicino e al più lontano con gli occhi dell’ascesi comunitaria osserva pur studiando alternative necessarie, è un costruttore etico, un poeta dell’etica profonda. Tra quelle di Agostino e Bonaventura, non è ancora esaurita l’ermeneutica del calabrese abate Gioacchino: l’annunzio che inventa costruendo il comunicare”. 16

NO COMMENT. TANTE DOMANDE PER CONCLUDERE

Quanti oggi non riconoscono il realismo dell’utopia non rischiano di addormentarsi, di spegnersi?

Ma, ha scritto Dolci, “se l’uomo non immagina, si spegne”.

“Se l’occhio non si esercita, non vede”.

Non c’è bisogno oggi, per affermare il diritto al lavoro e il diritto di sciopero, di ripensare l’esperienza dello “sciopero alla rovescia” di circa sessant’anni fa, per inventare con immaginazione creatrice nuove forme di lotta nonviolenta?

Oggi milioni di persone fanno scioperi nazionali che, però, si rivelano inefficaci.

In questi sessant’anni l’Italia e il mondo sono cambiati, molta acqua è passata sotto i ponti della storia. Ma il problema della disoccupazione rimane di drammatica attualità.

Lo “sciopero alla rovescia” avvenne per riparare una strada comunale dissestata.

Quella storia deve essere conosciuta soprattutto dalle nuove generazioni.

Oggi non solo una strada comunale è dissestata, ma tutto il territorio nazionale. Ormai è cronica la denuncia del dissesto idrogeologico e sono ricorrenti le frane nel mese di novembre. Ma è l’incuria degli uomini a fare violenza al territorio, facendolo franare.

Lo “sciopero alla rovescia” di Dolci, del 1956, ci interroga.

Fame, miseria, disoccupazione, possono essere comprese da chi non le vive?

Chi organizza, oggi, i milioni di senza lavoro per un nuovo “sciopero alla rovescia”?

Quelli senza lavoro, che vivono la loro vita con le mani in mano, avvertono l’esigenza di mobilitarsi per un nuovo “sciopero alla rovescia”?

La storia dello “sciopero alla rovescia” è oggi una provocazione per la coscienza di ciascuno, di tutti, ma è anche una provocazione per le istituzioni.

Dolci è vivo e continua a interrogarci.

La sua è una “maieutica reciproca”.

Chi vuole rispondere?

Palmi, 19 novembre 2014 Raffaello Saffioti Centro Gandhi

raffaello.saffioti@gmail.com

P.S.

Il libro di DANILO DOLCI Processo all’articolo 4 (Sellerio editore, Palermo – 2011) dovrebbe essere testo di educazione civica nelle scuole italiane.


APPENDICE

Danilo Dolci

Processo all’articolo 4

(Sellerio editore, Palermo – 2011)

Passi scelti

I

Partinico, 27 novembre 1955

A tutti.

Invito ogni persona che ha una responsabilità, che sente di avere una responsabilità pubblica, a digiunare almeno per un giorno per rinfrescare alla sua memoria, se mai l’abbia saputo, cosa significa stare digiuno – come troppo spesso stanno milioni di nostri fratelli, bambini e vecchi compresi, nel mondo, in Italia.

… occorre dare lavoro subito ai disoccupati.

… Da domani digiunerò per una settimana.

Vostro

DANILO

(pp. 33-34)

II

Partinico, 28 novembre 1955

A Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica,

Antonio Segni, Presidente del Consiglio,

Giuseppe Alessi, Presidente della Regione Siciliana

Signori Presidenti,

l’azione che intraprendiamo in questi giorni, consapevoli della difficoltà di realizzare «il regno dei cieli e la sua giustizia», vuol essere un contributo sereno, quel poco che possiamo, allo sforzo di tutti gli uomini di buona volontà.

Certi che ci capirete, oltre le parole, con affetto

DANILO DOLCI

(p. 37)

III

Torino, 13 gennaio 1956

(Dal testo della trasmissione tenuta alla Radiotelevisione di Torino, a cura di «Orizzonti»)

… Cosa si spera a Partinico?

Lavoro a tutti, scuola ai bambini, ai ragazzi, a tutti; che si capovolga, anche in quella zona, l’atteggiamento nei confronti della popolazione, specialmente dei deboli, degli invalidi: un diverso rapporto tra tutti.

… Ma urge la costruzione della diga con la quale tutti potranno trovare lavoro.

Intanto che tutti i bene organizzati fanno scioperi per avere di più, e sanno farlo nelle forme civili, i «banditi» chi li difende, chi li organizza? Anche i partiti, spesso, nemmeno ci si mettono perché con «la gente bassa», col «sottoproletariato», «si perde tempo», perché «non sono a livello politico>. E i «banditi» rimangono gli ultimi: non avviene per loro quello che avviene in una famiglia non dico brava, ma non criminale, dove il malato è il più curato, il più amato.

Non dico che chi sciopera, oggi, fa male: anzi. Ma perché, chi sa, non sciopera prima di tutto perché abbiano quelli che non hanno?

… Da quando, lasciando aperta la porta, vedo bambini, bambini, bambini guardarmi in bocca, intenti, inghiottendo saliva, quando mangio, comincio a credere che, per essere più coerente, dovrei ogni volta, puntualmente, saziare tutti loro invece di mangiare io. Altro che un digiuno di una settimana in un anno! Il mangiare per poter stare in piedi a lavorare, per meglio difenderli dalla denutrizione fisica e morale, comincia a parermi ogni giorno di più un inesatto compromesso.

E alle donne che al paese mi hanno detto: - Se ci trovi un lavoro, smettiamo di fare le puttane -, quando torno, che ci dico?

… C’era una strada di campagna, delle più necessarie, quasi impraticabile. La pioggia, il tempo, ne avevano scoperte le sconnesse ossa, fra fangosi affossamenti. Piuttosto che rimanere per mesi e mesi con le mani in mano, non è meglio mettersi ad aggiustarla? Centinaia di braccianti ci stanno: cominciano a intuire che le vere rivoluzioni si fanno generosamente, con la testa a posto, sacrificandosi esattamente per tutti – non sparando. E una mattina presto, sotto una pioggia minuta che riduce a un centinaio i volontari, si va con badili e picconi alla trazzera. Arrivati a un posto particolarmente impraticabile, tutti al lavoro, diretti diligentemente dai «mastri».

Un’ora non passa, che arrivano agenti di pubblica sicurezza e carabinieri: ventotto. Nella piazza del paese intanto arrivano da Palermo due autocarri colmi d’una cinquantina di poliziotti di rinforzo. Il commissario ordina di cessare immediatamente i lavori, alla trazzera: - E’ un reato. Vi posso buttare tutti in galera-. Insiste bestemmiando, minaccia di farci «caricare».

E’ quasi con vergogna che vi dico che, persuasi o no (mentre gli operai, impediti a quella pura collaborazione alla vita, gridavano: - Basta coi mitra, vogliamo lavoro!), quella mattina, rimandando l’iniziativa, siamo ritornati al paese.

Ce ne siamo andati; sapevo di potervi parlare. Ora, quando torno, se non avremo altro lavoro, intanto che si aspetta di costruire la diga, torneremo ad aggiustare la trazzera. Sono qui ad avvisare tutti che non ci sarà carica della polizia che ci potrà impedire di lavorare.

… Oggi, continuare così, diventerebbe un assassinio di massa – premeditato.

DANILO DOLCI

(pp. 38-42)

IV

Trappeto-Partinico-Balestrate, 25 gennaio 1956

Abbiamo ripetutamente documentato alle autorità direttamente responsabili e all’opinione pubblica, per anni e anni, la pesca fuorilegge della zona, gravissimo danno a tutti noi pescatori e all’economia nazionale.

Ci è profondamente doloroso, offensivo, constatare che lo Stato non sa far rispettare le sue leggi più elementari, più ingiustificate: i mezzi di informazione e di pressione normali in uno Stato civile, qui sono stati assolutamente inefficaci. Decisi a far rispettare le leggi, promoviamo un movimento che non si fermerà fino a quando il buon senso e l’onestà non avranno trionfato. Inizieremo lunedì 30 gennaio, digiunando per ventiquattro ore.

(seguono circa trecento firme)

(p. 42)

V

Partinico, 25 gennaio 1956

Milioni di uomini nelle nostre zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi all’anno con le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia e contro la società.

Solo qui in Partinico, su venticinquemila abitanti, siamo in più di settemila con le mani in mano per sei mesi all’anno; e settemila bambini e giovanetti non sono in grado di apprendere quanto assolutamente dovrebbero. Non vogliamo essere lazzaroni, non vogliamo arrangiarci da banditi: vogliamo collaborare esattamente alla vita, vogliamo il bene di tutti: e nessuno ci dica che questo è un reato.

E’ nostro dovere di padri, di cittadini, collaborare generosamente perché cambi il volto della terra, bandendo gli assassinii di ogni genere.

Chiediamo alle autorità di collaborare con noi, indicando quali opere dobbiamo fare, e come. Altrimenti, assistiti da tecnici, cominceremo da alcune delle più urgenti. Perché sia più limpido a tutti il nostro muoverci, digiuneremo lunedì 30 gennaio; giovedì 2 febbraio cominceremo il lavoro. Frangeremo il pane con le mani.

Vogliamo essere padri e madri anche noi, e cittadini.

(seguono circa settecento firme)

(p. 43)

VI

Trappeto-Partinico-Balestrate, 30 gennaio 1956

Al Presidente della Repubblica, del Consiglio, della Regione Siciliana, della Camera, del Senato.

Non per disperazione oggi digiuniamo, ma nella speranza di contribuire perché l’Italia diventi un paese civile. Sappiamo che lavorando generosamente siamo la vita. Chi ci impedisce è assassino: non paghiamo le tasse perché il nostro paese, dal mare alla terra, sia una mala galera in mano ai prepotenti.

Firmato: mille cittadini che credono nell’articolo 4 della Costituzione.

(p. 45)

VII

Partinico, 31 gennaio 1956

Amici di Partinico,

i «banditi» di Partinico vogliono diventare cittadini italiani, vogliono una società veramente civile.

Lunedì, digiunando, meditando insieme, ci siamo preparati limpidamente alla festa di giovedì: lavorare. Nessuno ci potrà impedire di lavorare, insieme, disciplinati. Sarebbe bollato d’infamia per i secoli chi osasse impedirci. Ma noi siamo certi che non ci sarà nessuno tanto crudele, tanto assassino. Facciamo appello alla coscienza di tutti i popoli, d’Italia e del mondo.

E’ dato all’uomo per le eterne leggi, respirare e lavorare; anche la più alta legge del nostro Stato non può non riconoscerlo: lo specifica l’art. 4 della Costituzione.

Non tradiremo le nostre famiglie, non tradiremo le nostre leggi: il lavoro è organizzazione del caos, è verità che incarnandosi in vita migliora il mondo.

Questo paese può diventare, per le sue naturali ricchezze, oggi sciupate, un angolo dei più belli della terra, dove tutti si potrà vivere veramente da uomini. Nessuno rimanga con le mani in mano; o occupato in modo indegno: il lavoro è lavoro se utile a uno come a tutti.

Uomini e donne, giovani e non più giovani che ancora potete aiutare, gente di ogni partito e di ogni idea: rimbocchiamoci le maniche, usciamo da questa puzza materiale e spirituale. Se non cerchiamo noi di toglierci da questa mortificante puzza, - noi che, immersi, la soffriamo, - chi mai possiamo aspettare che ce ne venga a togliere? «Se manca uno, mancano tutti».

Perdoniamo chi ci ha fatto del male: ma cerchiamo, per noi e per tutti, i rapporti, anche strutturali, più perfetti. Siamo uomini di pace. Sono sicuro che non ci sarà nessuno che ci impedirà in questa sacra opera.

DANILO

(p. 46)

VIII

(Dall’arringa dell’Avv. PIERO CALAMANDREI)

… Questo non è un processo «comunissimo»: è un processo eccezionale, superlativamente straordinario, assurdo. Questo non è neanche un processo: è un apologo.

… Per renderci conto con distaccata comprensione storica della eccezionalità e assurdità di questo processo, bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà, di qui a cinquanta o a cento anni, agli occhi di uno studioso di storia giudiziaria al quale possa per avventura venire in mente di ricercare nella polvere degli archivi gli incartamenti di questo processo, per riportare in luce storicamente, liberandolo dalle formule giuridiche, il significato umano e sociale di questa vicenda.

… Al centro di questa vicenda giudiziaria c’è, come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico.

E’, tradotto in cruda prosa di cronaca giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle «leggi non scritte» che preannunciano l’avvenire.

… Chi dei due interlocutori ha ragione?

… La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunciatrici del futuro: «pari dignità sociale»; «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana»; «Repubblica fondata sul lavoro»; «diritto al lavoro»; «condizioni che rendano effettivo questo diritto»; assicurata ad ogni lavoratore e alla sua famiglia «una esistenza libera e dignitosa» …

… Signori Giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così.

Ricordate le parole immortali di Socrate nel carcere di Atene? Parla delle leggi come di persone vive, come di persone di conoscenza: «Le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano». Perché le leggi della città possano parlare alle nostre coscienze, bisogna che siano, come quelle di Socrate, le «nostre leggi».

… Il carattere singolare ed esemplare di Danilo Dolci è proprio qui: di questo uomo di cultura, che per manifestare la sua solidarietà ai poveri non si è accontentato della parola parlata o scritta, dei comizi, degli ordini del giorno e dei messaggi; ma ha voluto vivere la loro vita, soffrire la loro fame, dividere il loro giaciglio, scendere nella loro forzata abiezione per aiutarli a ritrovare e a reclamare la loro dignità e la loro redenzione.

Questa è la singolarità di Danilo: qualcuno potrebbe dire l’eroismo; qualcun altro potrebbe anche essere tentato di dire la santità.

… L’eroismo di Danilo è questo: dove più la miseria soffocava la dignità umana, egli ha voluto mescolarsi con loro e confortarli non coi messaggi ma colla sua presenza; diventare uno di loro, dividere con loro il suo pane e il suo mantello, e chiedere in cambio ai suoi compagni una delle loro pale e un po’ di fame.

Questo intellettuale triestino, che se avesse voluto avrebbe potuto costruirsi in breve, coi guadagni del suo lavoro di artista, una vita brillante e comoda in qualche grande città e una casa ricca di quadri e di libri, è andato a esiliarsi a Partinico, nel povero paese rimasto impresso nei suoi ricordi di bambino, e si è fatto pescatore affamato e spalatore della trazzera per far intendere a questi diseredati, colla eloquenza dei fatti, che la cultura è accanto a loro, che la sorte della nostra cultura è la loro sorte, che siamo, scrittori e pescatori e sterratori, tutti cittadini dello stesso popolo, tutti uomini della stessa carne.

Egli ha fatto quello che nessuno di noi aveva saputo fare. Per questo sono venuti qui da tutta Italia gli uomini di cultura a ringraziarlo: a ringraziarlo di questo esempio, di questo riscatto operato da lui, agnus qui tollit peccata di una cultura fino a ieri immemore dei suoi doveri.

… Questa non è la causa di Danilo; e neanche di Partinico; e neanche della Sicilia. E’ la causa del nostro Paese: del nostro Paese da redimere e da bonificare.

(pp. 297, 305-306, 308-309, 314, 315-316, 318)

IX

Alla stampa. Palermo, 30 marzo 1956

… E’ necessaria ancora la spinta eroica della Resistenza, delle più alte Resistenze al male prepotente, illimpidendola ed approfondendola nei metodi e nei fini. Un nuovo grande sforzo etico politico occorre: se qualcosa è cambiato negli ultimi anni, è troppo poco e si dà tempo e modo a pericolosi mali di radicarsi irrobustendosi, come appare sempre più chiaramente a chi vuol vedere.

Non si garantisce il lavoro a tutti …

… Basta con le ipocrisie sistematiche; rifiutiamoci di obbedire quando ci comandano dei delitti: oggi la nostra Costituzione è l’unica legge della quale non ci dobbiamo vergognare. Chi è stato ammanettato, incatenato perché aveva cercato di difenderla, si è sentito, anche se pesante di colpe, come incordato con Cristo in una diversa Pasqua, con Gandhi, con i puri morti della Resistenza di sempre.

… Possiamo noi assistere così, zitti in disparte con le mani in mano, al sistematico assassinio, in qualsiasi modo avvenga, di centinaia di migliaia, di milioni di bambini, vecchi, malati, madri, padri, al nostro suicidio; possiamo noi assistervi passivi, solo perché queste male violenze vengono perpetrate soprattutto dai più «forti», solo perché da quella parte ci sono i mitra, ci sono i soldi? Non deve essere ciascuno di noi, anche se non ha con sé né una banca né un esercito né un temperino, anche se senza divisa (tanto più e più se in divisa, e vive di quella), disciplinato tutore delle più alte leggi?

Si moltiplichino e approfondiscano gli studi organici di valorizzazione, degli uomini e della terra, dal basso, esattamente in modo che la realizzazione dell’intelligente e pieno impiego avvenga per sana economia.

Non lasciar respirare, esprimersi, lavorare, ordinatamente vivere gli altri, secondo l’alta dignità dovuta a ciascun uomo, è malattia. […] oggi non possiamo più sistematicamente tradire, fuori da ogni fanatico dogmatismo, i contributi essenziali del cristianesimo, del liberalismo, del gandhismo, del socialismo, affatto antitetici nel loro nucleo vitale.

Non vorremo per anima alcun odio, ma risoluto e intelligente amore, e profondamente coordinato, per tutti.

Più scendiamo a vivere sotto, individui e organizzazioni, tra le vittime più mortificate, più paralizzate: e più e meglio la gente prosegue libera, coi suoi piedi; le sane riforme di strutture avvengono quando il popolo si muove con limpida forza a conquistarle. La nuova coscienza darà la forza di risolvere i problemi. Non basta l’idea del lievito a far lievitare il pane: occorre proprio il lievito, e nella pasta.

E i domani amati verranno, anche se oggi quasi non par vero.

DANILO DOLCI

(pp. 344, 346, 347, 348-349)

***

NOTE

1 GIACINTO SPAGNOLETTI (a cura di), Conversazioni con Danilo Dolci, Mesogea, Messina 2013, p. 83.

2 ALDO CAPITINI, Le tecniche della Nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967, pp. 107-108.

3 FRANCO GRASSO, A Montelepre hanno piantato una croce. Danilo Dolci missionario civile nella zona della mafia e del banditismo, Edizioni Avanti !, Milano - Roma, 1956, pp. 76-78.

4 GIACINTO SPAGNOLETTI (a cura di), Conversazioni con Danilo Dolci, cit., p. 81.

5 AUGUSTO CAVADI, L’utopia di Danilo Dolci (dal sito: augustocavadi.eu; “Repubblica – Palermo” 13.1.2013; www.ildialogo.org).

6 ROSA GRILLO - GIOVANNI VECCHIO - SEBASTIANO PENNISI (a cura di), Danilo Dolci. Attualità profetica, Mesogea, Messina 2009, dalla quarta di copertina.

7 http://www.ildialogo.org/pace/NotizieC_1404043420.htm

8 DANILO DOLCI (a cura di), Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1997, pp. 17-18.

9 In AA.VV., Profezia e pace, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2006, pp. 7, 9.

10 DON LORENZO MILANI, Lettera ai giudici, in L’obbedienza non è più una virtù, Millelire Stampa Alternativa, Viterbo 1994, p. 29.

11 NORBERTO BOBBIO, Introduzione, in ALDO CAPITINI, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. 24, 31.

12 GIACINTO SPAGNOLETTI (a cura di), Conversazioni con Danilo Dolci, cit., p. 122. Il passo è riportato anche nella quarta di copertina.

13 Ivi, pp. 153, 158-159, 160.

14 DANILO DOLCI, Palpitare di nessi, Armando,Roma, 1985, p. 139.

15 DANILO DOLCI, La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1996, pp. 125, 283.

16 DANILO DOLCI (a cura di), Sorgente e progetto. Per una ricerca autoanalitica dall’intima Calabria all’industria del Nord, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1991, pp. 5, 76, 79, 219.

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