Recensione di Francesco Virga: Danilo Dolci, Processo all’articolo 4, La memoria, 416 pagine, 15 euro, Sellerio editore Palermo. https://casarrubea.wordpress.com
Danilo Dolci: sciopero alla rovescia L’editore Sellerio, proseguendo la sua encomiabile opera di recupero di testi ormai introvabili, ha ristampato uno dei libri più belli ed attuali di Danilo Dolci: Processo all’articolo 4. La prima edizione del libro vide la luce nel lontano agosto del 1956, pochi mesi dopo l’arresto ed il processo subiti da Danilo, ed altri, per avere organizzato tra Partinico e Trappeto uno sciopero alla rovescia. Su questo memorabile libro scrive ora Roberto Saviano: «Danilo Dolci nel 1956 a Partinico stava ristrutturando una strada dissestata come forma di protesta. Una sorta di sciopero attivo, una rivolta rovesciata. Se a Sud si doveva marcire nella disoccupazione, Dolci proponeva di attivarsi, iniziare a fare, rendere accessibile ciò che non lo era. Iniziare a farlo ristrutturando strade, quelle che avrebbe dovuto mettere a posto il comune. Lo faceva lui assieme ai suoi disoccupati. La polizia arrivò sul luogo e arrestò tutti. Si racconta che un poliziotto gli si avvicinò dicendogli: “Signor Dolci, ma perché non torna a casa a scrivere i suoi libri invece di farsi arrestare?”. Come dire, torni alla sua più innocua attività e tutti vivremo più tranquilli. Dopo aver perquisito molti disoccupati-lavoratori, i poliziotti videro che tanti avevano nelle tasche e a casa gli scritti di Dolci. Lo stesso poliziotto, dopo averlo arrestato, lo avvicinò ancora in manette dicendogli: “Signor Dolci le troveremo un lavoro duro, così finalmente smetterà di scrivere questi libri che ci creano solo guai!”. Quel poliziotto aveva in una manciata di ore cambiato idea perché aveva esperito il peso specifico della parola». Più esattamente, qualche anno fa avevamo notato: il 2 febbraio del 1956 Danilo Dolci insieme al segretario della Camera del Lavoro di Partinico, Totò Termini, ed altri cinque “attivisti comunisti” così come vengono qualificati nel Verbale del locale Commissariato di P.S. sono arrestati, con l’accusa di “abusiva occupazione di suolo pubblico”, per avere condotto un gruppo di contadini disoccupati a lavorare su una vecchia strada interpoderale, detta “trazzera vecchia”, divenuta impraticabile per via dell’incuria degli uomini e delle Istituzioni. Una dettagliata cronaca dei fatti accaduti quel giorno è stata fatta dal giovane Goffredo Fofi che ne fu testimone diretto e che ha opportunamente riproposto di recente in un suo bellissimo libro di memorie; mentre l’intera documentazione relativa al memorabile sciopero, all’arresto dei protagonisti e al successivo processo venne tempestivamente pubblicata da Einaudi , nell’agosto 1956, col titolo “Processo all’articolo 4”. Il titolo scelto era un polemico riferimento ad uno degli articoli fondamentali della Costituzione, più volte invocato da Danilo e dal suo principale difensore, che afferma: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Quando vide la luce la prima edizione del libro si temeva il sequestro delle copie. «Se lo avessi pubblicato solo con il mio nome racconta Dolci saremmo rimasti schiacciati tanto io che l’editore. A questo punto intervenne Piero Calamandrei. Gli chiesi consiglio. “Dobbiamo irrobustire questo fronte”. In pochi giorni al nome di Calamandrei vennero ad aggiungersi il nome di Bobbio, quello di Vittorini, di Carlo Levi e di altri». Il libro grazie soprattutto alle testimonianze di Carlo Levi ed Elio Vittorini e all’arringa finale di Piero Calamandrei contribuì in modo decisivo a creare il “caso Dolci”: vecchi e nuovi amici scrissero lettere ai giornali, manifesti di protesta, appelli; gruppi di intellettuali costituirono comitati di solidarietà; al Parlamento vennero presentate diverse interrogazioni. Il senso dell’ originale forma di sciopero venne molto efficacemente colto da Aldo Capitini: “ In sostanza che cosa aveva fatto Dolci? Si era buttato a studiare le ragioni del banditismo, della violenza, della miseria, della disgregazione fisica, dell’ignoranza e aveva trovato che la mancanza di lavoro, nei disoccupati e nei sottoccupati, era la ragione dominante di quei mali. Ed allora aveva preparato per mesi, con la sua meticolosità di architetto, lo sciopero a rovescio (…). Le parole più gravi che Danilo disse, rimproverategli come diffamazione, NON ASSICURARE UN LAVORO A QUESTA GENTE E’ UN ASSASSINIO, erano verissime, perché espresse da chi era risalito alle cause”. Per Dolci l’esperienza del carcere è stata di fondamentale importanza per capire la realtà siciliana e per guadagnarsi la fiducia dei tanti poveri cristi, dei “banditi” cui aveva già dedicato un libro un anno prima. E, non a caso, “PROCESSO ALL’ART.4” si apre e si chiude con le parole di due giovani incontrati all’Ucciardone. Non si dimentichi che dopo venti giorni di carcere al Nostro venne negata la libertà provvisoria perché la sua condotta era “un indizio manifesto di una spiccata capacità a delinquere”. E Danilo stesso, circa vent’anni dopo, nel ricordare quei giorni dirà: “ Lo stesso giorno dell’arrivo mi fu mandato dagli altri carcerati pane, tante olive e tanto formaggio che potevano bastare per tre mesi. Una solidarietà così immediata nasceva dal fatto che lì sapevano che avevo fatto da padre ai loro figli. E mi offrivano quello che avevano. Non ho mai lavorato tanto come durante quel periodo: le mie giornate erano pienissime, perché volevo documentarmi su tutto quanto accadeva nel carcere, soprattutto sulle torture che molti carcerati avevano subito”. (Spagnoletti G., Conversazioni con Danilo Dolci, Mondatori 1977, p.66) Dell’arringa finale di Piero Calamandrei mi sembra opportuno ricordare un passo: “Nelle democrazie europee (…) il popolo rispetta le leggi perchè ne è partecipe e fiero: ogni cittadino le osserva perché sa che tutti le osservano: non c’è una doppia interpretazione della legge, una per i ricchi e una per i poveri! Ma questa è, appunto, la maledizione secolare che grava sull’Italia: il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che siano le SUE leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. (…). Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia una idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami”. ( AA.VV. , Processo all’art. 4, Einaudi 1956, p. 307). Per concludere non si può non rilevare che, se le forze politiche di Sinistra, invece di dividersi, fossero rimaste più legate ai bisogni reali del popolo e più attente alla persistente corrispondenza delle parole di Calamandrei alla realtà odierna, ci saremmo risparmiati alcuni abbagli ed i giovani indignati d’oggi non si limiterebbero a rompere le forchette.
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