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10 settembre 2014

Yemen ancora in tumulto
di Marco Giulio Barone

La ribellione del gruppo sciita degli houthi entra in una nuova fase calda, aggiungendosi alle numerose sfide che il Paese deve affrontare.

1. IL BILANCIO DI IERI –

La capitale San’a è nuovamente stata teatro di sommosse contro il Governo per opera del movimento Ansaruallah, che supporta la ribellione nel Nord del Paese e chiede riforme strutturali, lotta alla corruzione e accelerazione del processo di federalizzazione dello Yemen. Ulteriore malcontento era stato suscitato dalla decisione del Governo di ridurre del 30% i sussidi per l’acquisto di carburante. Inascoltata l’offerta del presidente Hadi di destituire l’esecutivo e di ridiscutere l’entità dei tagli ai sussidi. Il bilancio è stato molto duro, lasciando almeno 7 morti sul terreno e decine di feriti. I dimostranti avevano occupato alcuni edifici istituzionali e hanno tentato un assalto al palazzo del Governo. Le proteste erano iniziate in maniera pacifica e sono poi degenerate. Tra le possibili spiegazioni dell’escalation, l’operazione militare in corso contro i ribelli houthi nei pressi della loro roccaforte a Sa’da, a nord-est di San’a, che ha provocato in questi giorni 13 morti. Dal 2004, una parte del Nord del Paese, a maggioranza sciita, chiede l’indipendenza (o comunque un’ampia autonomia) dal Governo centrale.

2. I CONFLITTI TRIBALI –

Lo Yemen, come molti Paesi mediorientali, risente molto della natura tribale del proprio tessuto sociale. Oltre alla contrapposizione fra musulmani sciti e sunniti, esacerbata dalle dinamiche regionali e dalle ingerenze esterne – il supporto iraniano all’etnia sciita degli zaiditi houthi e il sostegno saudita ai sunniti – il Paese percepisce ancora le fratture delle antiche rivalità tra clan. Lo Yemen annovera infatti circa una ventina di gruppi etno-religiosi principali, ciascuno dei quali ha proprie esigenze e rimostranze nei confronti del Governo centrale. Infine, nonostante la riunificazione (1990), le rivalità tra Nord e Sud non sono mai terminate, e più di una volta si è arrivati al confronto armato fra il Governo e le varie fazioni. In seguito alla destituzione del presidente Saleh (in carica dal 1990) conseguente alle rivolte del 2011 legate alla Primavera araba, il Paese è passato nelle mani del suo secondo, Abdrabbuh Mansour Hadi, il quale ha cercato di formare un Governo di coalizione nazionale e portare il Paese verso un modello federale che consenta maggiori autonomie locali. Le riforme si rivelano complesse e a parere di molte fazioni troppo lente.

3. IL TERRORISMO DI AL-QAIDA –

Nonostante la generale fase calante di al-Qaida e l’ascesa di altri modelli di jihadismo internazionale (in questi giorni l’attenzione è puntata sullo Stato islamico tra Iraq e Siria), AQAP (Al-Qaeda in the Arabian Peninsula) ha trovato in Yemen un ambiente adatto a proliferare e riorganizzarsi. Le Province di Al-Jawf e Mareb, a est di San’a, sono le principali roccaforti di al-Qaida, la cui influenza si estende anche più a sud a Shabwa e Abyan. Nelle scorse settimane almeno 15 soldati yemeniti sono stati giustiziati da AQAP e lo scontro con il Governo non ha tregua, con continui attentati e attività di guerriglia cui seguono operazioni militari estese e, talvolta, raid statunitensi a supporto. San’a si trova in pratica in uno stato di continuo assedio da parte di una molteplicità di forze, gruppi tribali ribelli, dissidenti politici, e terrorismo internazionale. Difficile quindi il suo percorso istituzionale e, di conseguenza, il miglioramento in termini generali del Paese e delle condizioni di vita della sua popolazione.

Un chicco in più

La Primavera araba ha in parte cambiato marcia allo Yemen, ma non ha diminuito le difficoltà, da parte delle Istituzioni, a gestire un Paese molto frammentato socialmente e politicamente. Sulla scia delle rivolte tunisine, che all’inizio del 2011 portarono alla destituzione di Ben Ali, il fenomeno investì in pieno lo Yemen. Una parte consistente della popolazione chiedeva riforme, maggiore rappresentatività, e un cambio di regime. Le proteste degenerarono in vere e proprie ribellioni e il confronto fra forze governative e rivoltosi lasciò molti morti sul terreno. Alla fine, il presidente Saleh accettò di dimettersi, lasciando il potere all’attuale presidente Hadi, che si è insediato a inizio 2012. La transizione è stata accompagnata dal Gulf Cooperation Coucil (GCC), che ha concordato con Hadi una presidenza di transizione, un Governo di unità nazionale e un forum chiamato National Dialogue, che proponesse soluzioni ai numerosi problemi del Paese. Le attività in tal senso sono andate avanti a rilento e con numerose difficoltà a trovare accordi e intese tra le parti, e lo Yemen ha accumulato ritardo sulla tabella di marcia inizialmente programmata.

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