http://nena-news.it/
01 giu 2014

GEZI, tra lacrimogeni e manganellate
di Serena Tarabini

La repressione della polizia ha accompagnato le manifestazioni per l’anniversario dell’esplosione in Turchia di energie antagoniste connessa coi  fermenti che dall’Europa al mondo arabo alle Americhe tornavano a puntare il dito sul fallimento della globalizzazione capitalistica.

Istanbul,1 giugno 2014, Nena News

Un anno fa le rivolte  di Gezi Park intervenirono improvvisamente in una fase, la cavalcata neoliberale e filoislamica di un leader fino a quel momento indiscusso, che sembrava essersi cristallizzata, mostrarono il volto ribelle e coraggioso di un popolo con una storia caratterizzata da eventi oscuri e drammatici, dato il via a una richiesta democratica moderna di nuove forme di partecipazione e spazi di democrazia, mostrato la maturità e sensibilità di realizzare nei giorni straordinari dell’occupazione  del Parco, una nuova società solidale e multiforme. Un’esplosione di energie fino a quel momento frustrate connessa anche con i fermenti che  dall’Europa al mondo Arabo alle Americhe, tra Tunisia e Spagna, Stati Uniti e Brasile, tornavano a puntare il dito sul fallimento della globalizzazione capitalistica.

Gezi Park per questi e tanti altri motivi ha segnato uno momento storico per la Turchia, e i suoi cittadini avevano tutto il diritto di celebrare il giorno in cui , 1 anno fa, tutto ebbe inizio: ma non è stato possibile.

Per il Governo questa ricorrenza non si doveva celebrare e così è stato. Proibito ogni concentramento. Ad Istanbul,  Gezi Park chiuso dal giorno precedente, Piazza  Taksim sgomberata e presidiata dalla mattina,  metro e traghetti fermi dal pomeriggio,  dislocate 25 mila unità di Polizia e  decine di mezzi speciali.

Le parole arroganti e minacciose di un premier che si definisce democratico  hanno anticipato e accompagnato una giornata  mortificante per il concetto stesso di democrazia :  “ Le forze di Polizia hanno istruzioni chiare, faranno tutto ciò che è necessario dalla A alla Z”…“Chiunque vorrà manifestare verrà arrestato”.

Tutti sapevano che sarebbe stata una giornata in cui si sarebbe svolto il consueto rituale di repressione  ed in tanti hanno preventivamente deciso di non offrire il fianco per l’ennesima volta a maganellate, gasamenti, pestaggi, arresti. Ma in qualche migliaia ci hanno voluto provare lo stesso ed  sono scese in piazza in tante città; ed è stata guerra, con  Istanbul ed Ankara  epicentri delle scene più violente.

Ad Istanbul  la Piattaforma di Solidarietà con Taksim aveva invitato a manifestare pacificamente alle 19 nella Piazza simbolo di Taksim  come nelle altre città  muniti di fiori e, simbolicamente, di libri per ricordare gli otto manifestanti uccisi , e le persone accorse, accolte da uno schieramento impressionante  di forze di polizia in tenuta antisommossa e in borghese, sono state  bruscamente sgomberate. La chiusura della Piazza e l’intenzione di mantenere Corso Istiklal libero da concentramenti, ha dato il via agli attacchi. In questa occasione si è assistito a  un minore utilizzo di gas lacrimogeni e maggiore dei cannoni idranti,  meno tenute antisommossa ma molti manganelli in mano alle migliaia di poliziotti che  nelle strade dove le persone  si disperdevano dopo le cariche, hanno messo in atto una caccia sistematica che, nella enorme sproporzione fra numero di manifestanti e numero di poliziotti ,ha portato all’arresto centinaia di persone.

Un cambio di tattica volto probabilmente  a contenere i danni a cose e persone, ma durante il quale sono emerse le  solite  brutali e pericolossissime abitudini quali sparare il lacrimogeni ad altezza d’uomo, manganellare i manifestati  già a terra, fare copioso uso di pallottole di gomma. Lo testimoniano le foto e le testimonianze di giornalisti stessi che sono stati colpiti, come il fotografo italiano Pietro Castellano che ad Ankara è stato colpito all’addome da una candelotto lacrimogeno, o il  direttore del quotidiano Evrensel, Erdal Imrek,  a cui un agente ha spruzzato gas urticante direttamente in faccia. Si è potuto resistere solo per alcune ore, dopodichè chi non è rimasto ferito o arrestato, ha desistito. Impossibile fare qualsiasi cosa.

L’attitudine di Erdogan è ormai chiara e lineare: pugno di ferro e  arroganza : una scelta che da una parte polarizza pericolosamente il Paese, ma dall’altra per lui  paga, risultato delle elezioni amministrative docet. Per questo avanti con la guerra ai social media, l’insofferenza alle decisioni della corte costituzionale, gli insulti agli oppositori, il disprezzo del dolore.

Nell’assenza di un opposizione convincente e di uno spazio politico che corrisponda allo spazio mentale che Gezi Park aveva aperto, sembra essere ripresa la sua cavalcata dentro lo scenario politico e storico del Paese, che forse verrà sancita il 15 giugno, giorno in cui verrà resa nota la sua candidatura alle elezioni presidenziali di Agosto. Giorno in cui, guarda caso,

top