http://www.tempi.it Li hanno aiutati a nascere e ora non sanno più come fermarli: il paradosso dell’Arabia Saudita alle prese con lo Stato islamico Temendo l’avanzata dello Stato islamico in Iraq, gli sceicchi hanno approvato la costruzione di una barriera hi-tech lunga oltre 800 chilometri L’Arabia Saudita ha paura che la disastrosa situazione che ha contribuito a creare in Iraq e Siria gli si ritorca contro. Temendo l’avanzata dello Stato islamico in Iraq, che condivide più di 800 chilometri di confine con la monarchia saudita, il re Abdullah ha approvato la costruzione del “Custode delle due sacre moschee”: una barriera “hi-tech” di filo spinato per evitare infiltrazioni jihadiste nel regno. LA BARRIERA. I numeri sono imponenti: la barriera sarà composta da due muri di sabbia su cui verranno installate delle recinzioni di filo spinato con 78 torri di sorveglianza e comunicazione, 1,4 milioni di cavi di fibre ottiche, 50 telecamere e 50 stazioni radar, 3.397 soldati dispiegati, 60 ufficiali supervisori, otto posti di comando e controllo, tre unità di pronto intervento e 32 postazioni per interrogatori immediati. La barriera ruoterà intorno a quattro basi, ciascuna delle quali disporrà di ospedale, prigione, sede dell’intelligence, poligoni di tiro, moschee e luoghi di svago. FATWA RELIGIOSA. La decisione presa dalla monarchia non arriva certo come un fulmine a ciel sereno. Innanzitutto il progetto ha ottenuto un’implicita approvazione religiosa dal Gran Muftì Sheikh Abdul Aziz bin Abdullah, che con una fatwa ha definito lo Stato islamico «aggressivo e oppressivo. Se combattono i musulmani, allora i musulmani debbono combatterli per liberare il popolo e la religione dal loro (atteggiamento) maligno e dannoso». Che i musulmani combatteranno lo Stato islamico è stato annunciato domenica anche dalla Lega araba: proprio sotto la pressione dell’Arabia Saudita, è stata approvata infatti una risoluzione che non esclude l’uso della forza per fermare lo Stato islamico. CONTRASTO AL CALIFFATO. Riyad sa che il califfato sognato dai terroristi comprende anche l’Arabia Saudita e da mesi ha cominciato a cautelarsi. A luglio ha rinforzato la sicurezza sul territorio inviando 30 mila soldati al confine con l’Iraq. I raid della polizia contro chi si prepara ad andare a combattere all’estero in Siria e Iraq, come quello che martedì scorso ha portato all’arresto di 88 persone, si sono moltiplicati. Soprattutto in ottemperanza alla legge promulgata lo scorso 3 febbraio che prevede una punizione che va dai 3 ai 20 anni di prigione per quei cittadini sauditi che vanno a combattere all’estero. Non solo, il decreto prevede anche che chi fornisce sostegno morale o materiale a gruppi terroristi o estremisti può essere incarcerato per un periodo di tempo che varia dai 5 ai 30 anni. IL PARADOSSO. Questo atteggiamento dell’Arabia Saudita non è ingiustificato, visto che oltre 1.200 cittadini del regno combattono in Siria e Iraq, ma è quanto meno paradossale. Riyad infatti è stato uno dei principali sostenitori della guerra in Siria, riempiendo di armi e petrodollari alcuni tra i più potenti gruppi armati sul terreno, come il Fronte islamico. Nella milizia salafita sono confluite diverse armate, come l’Esercito dell’islam, che era nato staccandosi polemicamente dalla Coalizione nazionale siriana appoggiata dall’Occidente. Sempre l’Arabia Saudita, come ammesso dal segretario di Stato americano John Kerry, si era proposta anche di «pagare tutti i costi dell’attacco» che l’America stava per sferrare contro Assad nel settembre 2013. ELIMINARE GLI SCIITI. Gli obiettivi che con questo atteggiamento l’Arabia Saudita, paese sunnita, voleva perseguire non sono certo un mistero: nella Primavera araba, specie in Siria, gli sceicchi hanno intravisto la possibilità di spezzare l’asse sciita composto da Siria e Iran, diminuendo l’influenza degli ayatollah nella regione. Con la rovina dell’Iraq, poi, sarebbe caduto uno degli ultimi paesi governato dagli sciiti. Secondo molti analisti, è per questo che la monarchia avrebbe finanziato anche alcuni elementi di Al Qaeda. L’AVVERTIMENTO. Lo scenario desiderato dai sauditi, però, non si è verificato. Al contrario è avvenuto quanto previsto già nel 2013 da Yezid Sayegh, analista della Carnegie Foundation: «La leadership saudita dovrebbe stare attenta a quello che crea in Siria. Un giorno potrebbero marciare anche sulla Mecca. I sauditi, così come il Qatar, hanno molti soldi ma poche risorse umane e di intelligence, oltre che scarse capacità organizzative. Loro pagano senza fare troppa attenzione a chi finanziano ma prima o poi qualcuno verrà pagato più di altri».
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