Al-Quds al-Arabi Arabia Saudita e ISIS: amici o nemici? La lotta al terrorismo si scontra con i precetti cultura e sociali
Giorni fa un comunicato ufficiale del mufti dell’Arabia Saudita Abd al-Aziz Al al-Sheikh definiva la mentalità estremista e gli atti terroristici dell’ISIS e di Al-Qaeda come “il nemico numero uno dell’islam”, dicendo che non possono essere considerate un fenomeno interno ad esso. Il comunicato è arrivato negli stessi giorni in cui il consiglio dei ministri saudita ha emesso una dichiarazione in cui si auspicava l’imposizione di sanzioni internazionali all’ISIS e al Fronte al-Nusra (considerato affiliato di Al-Qaeda in Siria). Nella stessa dichiarazione, in cui si ricorda che diversi cittadini dei paesi del Golfo sono nella lista nera dei finanziatori del terrorismo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si fa riferimento a un decreto regio che prevede fino a venti anni di carcere per chiunque prenda parte ad azioni violente fuori dal territorio nazionale o appartenga a movimenti estremisti. Riyadh inoltre ha recentemente donato 100 milioni di dollari al Centro antiterrorismo delle Nazioni Unite, con sede a New York. Gesti che riflettono la profonda preoccupazione dell’Arabia Saudita dell’eventualità che l’ISIS, dopo essere riuscito a sbaragliare le difese di vaste regioni dell’Iraq e della Siria, diventi un califfato a tutti gli effetti, come annunciato dal suo capo Abu Bakr al-Baghdadi, ma con un territorio di estensione pari o maggiore della Gran Bretagna. Ad accrescere la preoccupazione, un recente sondaggio non ufficiale circolato sulle reti sociali saudite ha rivelato che circa il 20% dei sauditi considerano le idee dell’ISIS “conformi alla legge islamica”. Un’indagine simile, ma con soggetto diverso, era stata condotta nel 2009 e il 20% dei sauditi intervistati avevano espresso un’opinione “in certo qual modo favorevole” o “favorevole” nei riguardi di Al-Qaeda. Dati che dimostrano che se Riyadh vuole uscire dall’impasse dovuta al fallimento delle misure di sicurezza e in generale della lotta politica e giuridica contro il terrorismo e l’estremismo religioso, dovrà cercare un approccio di maggior respiro, mirato a distruggere le radici locali della cultura takfirista. Anche se ciò dovesse comportare un confronto con le potenti autorità religiose. È inoltre necessario dare una ripassata alla storia della regione per comprendere a fondo la complessità del problema in un Paese di cui si dice che sia fondato su due pilastri, uno dei quali, e forse il più forte, è proprio l’autorità religiosa. Malgrado la recente campagna mediatica di Riyadh, in patria e fuori, contro le idee promulgate dall’ISIS, nessun opinionista o analista politico saudita ha saputo indagare lucidamente la relazione tra le idee delle organizzazioni takfiriste e i principi a lungo promossi dalle autorità religiose ufficiali come fondamenti dell’islam. Similmente nessuno ha criticato sufficientemente i fondamenti della retorica estremista nella giurisprudenza islamica, che giustificano la simpatia popolare per i terroristi. Un fatto comprensibile, visto che chiunque metta in dubbio il credo rischia fino alla pena di morte, un cavillo giuridico da sempre usato da Riyadh per evitare che qualcuno faccia vacillare il principio della legittimità “islamica” eterna della monarchia saudita. A questo proposito è poco probabile che sia una coincidenza il fatto che il mufti saudita nella sua dichiarazione abbia evitato di ricordare che i suoi concittadini (o meglio con-sudditi) costituiscono una fetta consistente dei miliziani dell’ISIS e del Fronte al-Nusra. Riyadh dunque farebbe meglio a impegnarsi, prima di esortare altri paesi a combattere il terrorismo, partendo proprio dal suo territorio e dalle sue istituzioni ufficiali, sia religiose che sociali, che rappresentano una sorgente culturale e probabilmente economica per idee vicine a quelle dell’ISIS. In caso contrario il pericolo del terrorismo takfirista potrebbe diventare una bomba a orologeria di cui sarà in dubbio solo dove e quando esploderà, colpendo sia l’Arabia Saudita che altri Paesi, e chi sarà la sua prossima vittima.
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