As-Safir
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19 ottobre 2014

L’unità potrebbe aiutare a salvare il mondo arabo dal declino contemporaneo
di Sadeq Nabolsi
Traduzione e sintesi di Omar Bonetti

La questione dell’unità del mondo arabo continua ancora a catalizzare l’attenzione degli scrittori, dei poeti, degli artisti e dei più grandi intellettuali arabi contemporanei. Essi non hanno smesso di immaginare, con innocente sollecitudine e grande slancio, il mondo arabo come una terra rigogliosa di umanità, di libertà, d’identità e di culture. Dallo Sham a Baghdad, da Najd allo Yemen, all’Egitto e fino a Tetouan, come recita la canzone pan-araba “Bilad ul-‘Orb Awtani” (I paesi arabi sono la mia nazione).

È passato un secolo, ma questa questione si contorce ancora come un turbine di vento, che sfiora la fantasia senza mai realizzarsi. Mancano solo la conoscenza, la consapevolezza e il sacrificio. I sistemi statali non ne hanno tenuto conto e le persone non sono riuscite a superare le divergenze, nascondendosi dietro lo specchio dell’etnicità e del settarismo. Le leadership arabe, analogamente, si sono limitate a porre un suggello etereo, divenuto ben presto un vuoto pervasivo.

Il verbo, che non serve per far piangere la coscienza e non può essere spiegato a chi festeggia la distruzione in nome della religione o dell’imperialismo, diviene il mezzo per descrivere il fallimento di un progetto. Il “mondo arabo”, che è rimasto finora un concetto, in sostanza, incomprensibile per la maggior parte degli arabi, è diventato importante solo per una questione di nome, e non di fatto. Sbaglia chi fa uso di un criterio meramente geografico, strategico o nazionalistico per definire il mondo arabo. Il fattore più importante, infatti, è il dialogo politico, culturale e religioso che richiede provvedimenti tenaci, volti alla reciproca comprensione e alla prossimità, e che consenta agli arabi (e non) di convivere in pace.

Il paradosso che gli arabi stanno vivendo oggigiorno risale ai tempi della prima colonizzazione (gli accordi Sykes-Picot, 1916), quando l’appello all’unità conviveva con la nascita dei movimenti di liberazione nazionale che hanno alimentato le speranze e le aspirazioni umane, civili e morali. I repentini cambiamenti della contemporaneità e i pericoli cui il “nostro mondo arabo” potrebbe andare incontro sono ben maggiori rispetto a quanto si possa prevedere. Gli arabi, però, hanno già sperimentato la dittatura, la colonizzazione, il radicalismo, la monarchia, l’oligarchia, la fratellanza musulmana; e oggi? È arrivato il turno dell’apostasia.

I movimenti che invocano l’unità sono un infelice fiasco, come modello di continuità. Per risolvere questa situazione bisogna, prima di tutto, capire come gli arabi possano “estinguere il fuoco”. Nonostante questa sia una missione ardua, i fili di questa illusione possono ancora essere trasformati in un paradiso, mentre l’Ade attende gli altri.

Sadeq Nabolsi insegna storia del conflitto arabo-israeliano presso la facoltà di Relazioni Internazionali dell’Università Internazionale Libanese, è inoltre professore di religione presso la Hawzat Imam Sadeq.

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