english version below

http://www.theatlantic.com
Sep 1 2014

L’insostenibile vuoto di una Op-Ed del New York Times
di Peter Beinart

John McCain e Lindsey Graham vogliono che Obama affronti l’ISIS ora. Mai non specificano come.

Ho le mie preoccupazioni per la politica estera del presidente Obama. Ma nulla le facilita come ascoltare i suoi critici repubblicani. C'è una qualità come di cipolla, negli argomenti dei politici del GOP (Good Old Party - buon vecchio partito) schierati contro le politiche di Obama in Medio Oriente. Si staccano gli strati, mentre risuonano di vacua retorica, e ti lasciano con quasi niente di intellettualmente nutriente.

Prendete l’op-ed dei senatori John McCain e Lindsey Graham di Sabato sul The New York Times. Si inizia con una menzogna: che Obama ha dichiarato: "Non abbiamo ancora una strategia" per affrontare l’ISIS. In effetti, Obama stava parlando esclusivamente dell’ISIS in Siria. "Avete bisogno dell’approvazione del Congresso per andare in Siria?" Ha chiesto un giornalista Giovedi scorso. "Non abbiamo ancora una strategia ... Dobbiamo fare in modo di avere dei piani chiari, che stiamo sviluppando. A quel punto, mi consulterò con il Congresso" ha risposto Obama.

Quando si parla di Iraq, al contrario, l'amministrazione Obama ha qualche strategia: Sta per lanciare attacchi aerei per proteggere i gruppi religiosi in pericolo, rafforzando i Peshmerga curdi, anche se questo può incitare i leader curdi a cercare l'indipendenza, e con la prospettiva di ulteriori attacchi aerei per incoraggiare l'Iraq a formare un governo che comprenda sunniti nella speranza questo li convinca ad abbandonare l’ISIS. Più tardi, nel loro editoriale, McCain e Graham chiedono ad Obama di "rafforzare i partner che già resistono l’ISIS: i pesh Merga curdi e le tribù sunnite" e spingono per "un governo inclusivo di Baghdad che condivida il potere e la ricchezza con i sunniti iracheni." in altre parole, essi invitano Obama a perseguire la stessa strategia in Iraq, che sta già perseguendo, al contempo torcendo le sue parole per sostenere che ha ammesso di non avere una strategia.

Quello che Obama voleva veramente dire in risposta al giornalista era che lui non vuole intervenire militarmente in Siria, dove, a differenza dell'Iraq, il governo è ostile e i nostri alleati sono più deboli, senza un piano degno e ben pensato che raccolga il sostegno della pubblica opinione. McCain e Graham approvano la cautela: "Il presidente vuole chiaramente muoversi liberatamente e consultarsi con gli alleati e il Congresso, mentre considera cosa fare con l’ISIS. Nessuno contesta questo obiettivo." Allora, due frasi dopo, essi contestano tale obiettivo, criticando Obama per non manifestare un maggiore senso di urgenza.

E' un meraviglioso esempio della vacuità del gran raccordo della politica estera del parlare. McCain e Graham vogliono che Obama agisca sia "liberamente" che "urgentemente" perché sono entrambe parole felici. Al contrario di letargo e temerariamente, che sono i sinonimi più maliziosi per la stessa cosa. Ma quando si traducono queste astrazioni edificanti in parole povere, si vede come siano realmente contraddittorie le esigenze McCain e Graham. È possibile chiedere che Obama non bombardi la Siria fino a quando non abbia assicurato un piano che ottenga il sostegno internazionale e congressuale, oppure si può pretendere che bombardi il più presto possibile. Non si può pretendere entrambe le cose.

Una ragione per cui Obama non sta ancora bombardando la Siria, è che non è chiaro quale sia l'obiettivo. Per McCain e Graham è chiaro. ISIS, lo scrivono, "non può essere contenuto." Perché no? Non hanno gli Stati Uniti contenuto ISIS, il fratello maggiore estraniato di al-Qaeda per più di un decennio? Ma i due senatori non si fermano a spiegare. "Deve essere affrontato", dichiarano. Che cosa significa? Se gli Stati Uniti stanno già bombardando ISIS in Iraq, non lo stiamo già affrontando?

McCain e Graham poi chiariscono: L'obiettivo è quello di "sconfiggere ISIS." Eccellente come possiamo farlo?

1) "E' necessario un governo inclusivo di Baghdad che condivida il potere e la ricchezza con i sunniti iracheni." OK, Obama ha appena rovesciato un primo ministro in funzione di tale obiettivo. Ma ci sono quei decenni di dittatura, la brutalità e la macellazione settaria da superare.

2) "Mobilitare i partner dell'America in uno sforzo multilaterale coordinato." OK, ma quei partner, che comprendono regimi pro-Fratellanza Musulmana come la Turchia e il Qatar e quelli anti-Fratellanza Musulmana come l'Egitto e l'Arabia Saudita, stanno manovrando ferocemente l’un contro l’altro per influenzare tutto il Medio Oriente. Per non parlare del fatto che non ci ascoltano più di tanto.

3) Mettere fine al conflitto in Siria.

Soffermiamoci sul numero tre per un momento. L'anno scorso, quando Marc Lynch della George Washington University ha intervistato studiosi di guerre civili, ha rilevato che "la maggior parte dei contribuenti sono ... profondamente pessimisti circa la prospettiva della fine della guerra civile in Siria in qualunque momento a breve", perché "la Siria ha tra le peggiori configurazioni possibili di qualsiasi civile guerra: un'opposizione molto frammentata, molti potenziali disturbatori, e attori stranieri che intervengono per mantenere il conflitto, ma non per porre fine in modo decisivo alla guerra. "McCain e Graham non spiegano come superare tutto questo. Essi semplicemente notare, per inciso, che sconfiggere l’ISIS causerà la fine della guerra civile siriana. E' come scrivere un editoriale che chieda agli Stati Uniti la sconfitta del cambiamento climatico, ricordando che, tra l'altro, uno dei presupposti è l'eliminazione dei combustibili fossili.

Qualsiasi proposta seria per l'espansione del coinvolgimento militare americano in Iraq, in Siria deve fare una delle due cose.

1) Spiegare, in dettaglio come, bombardare l’ISIS possa rafforzare l'opposizione siriana moderata piuttosto che altri gruppi jihadisti sunniti (per esempio, al-Nusra, affiliato di al-Qaeda) e/o di Bashar al-Assad.

2) Oppure spiegare perché vale la pena bombardare ISIS, anche se rafforzeremmo altri gruppi jihadisti sunniti e/o di Bashar al-Assad.

McCain e Graham non ci provano neanche. Invece, finiscono la loro op-ed suggerendo che Obama prende coraggio da ex presidenti che hanno cambiato la direzione della politica estera. Essi citano la decisione di Jimmy Carter di abbandonare la distensione con l'Unione Sovietica invadendo l'Afghanistan dopo Mosca, la decisione di Bill Clinton di intervenire nei Balcani, e la decisione di George W. Bush per l'attuazione dello slancio in Iraq. Che cos’hanno in comune questi casi? Sono i migliori esempi che McCain e Graham possano trovare di quando un presidente ha scelto l’escalation militare e ha funzionato.

Notate gli esempi storici i senatori non hanno scelto: la decisione di Harry Truman di silurare Douglas MacArthur, piuttosto che espandere la guerra di Corea in Cina, nemmeno la decisione di Dwight Eisenhower di non intervenire per salvare i francesi a Dien Bien Phu, o la decisione di John F. Kennedy di non lanciare un attacco militare preventivo contro i missili sovietici a Cuba, la decisione di Ronald Reagan di ritirare le truppe statunitensi da Beirut dopo essere rimasti stupefatti da Hezbollah, o anche la decisione di George HW Bush di non marciare su Baghdad, alla fine della guerra del Golfo.

A volte la storia rivendica presidenti che scelgono la guerra. Almeno quanto spesso, rivendica i presidenti che non lo fanno. Questo è parte del motivo che rende difficile la decisione di Obama sulla Siria. Naturalmente, se si ignorano i tempi in cui la guerra ha portato disastri e si ignorano le domande più difficili sulla guerra in Siria, la decisione di Obama non sembra poi così difficile.


http://www.theatlantic.com
Sep 1 2014

The Unbearable Emptiness of a New York Times Op-Ed
By Peter Beinart

John McCain and Lindsey Graham want Obama to confront ISIS now. They don't specify how.

I have my concerns about President Obama’s foreign policy. But nothing eases them like listening to his Republican critics. There’s an onion-like quality to the arguments GOP politicians often deploy against Obama’s policies in the Middle East. Peel away the layers of grave-sounding but vacuous rhetoric, and you’re left with almost nothing intellectually nourishing at all.

Take Senators John McCain and Lindsey Graham’s op-ed on Saturday in The New York Times. It starts with a lie: that Obama said “we don’t have a strategy yet” to deal with ISIS. In fact, Obama was speaking solely about ISIS in Syria. (“Do you need Congress’s approval to go into Syria?” asked a reporter last Thursday. “We don’t have a strategy yet. … We need to make sure that we’ve got clear plans, that we’re developing them. At that point, I will consult with Congress,” Obama replied.)

When it comes to Iraq, by contrast, the Obama administration does have something of a strategy: It is launching air strikes to protect imperiled religious groups, bolstering the Kurdish Peshmerga even though that may embolden Kurdish leaders to seek independence, and using the prospect of further air strikes to encourage Iraq to form a government that includes Sunnis in the hope this will convince them to abandon ISIS. Later in their op-ed, McCain and Graham call for Obama to “strengthen partners who are already resisting ISIS: the Kurdish pesh merga, Sunni tribes” and push for “an inclusive government in Baghdad that shares power and wealth with Iraqi Sunnis.” In other words, they call on Obama to pursue the same strategy in Iraq that he’s already pursuing, while simultaneously twisting his words to claim that he’s admitted to having no strategy at all.

What Obama was really saying in response to the reporter was that he doesn’t want to intervene militarily in Syria—where, as opposed to Iraq, the government is hostile and our allies are weaker—without a well-thought-out plan deserving of public support. McCain and Graham endorse that caution: “The president clearly wants to move deliberately and consult with allies and Congress as he considers what to do about ISIS. No one disputes that goal.” Then, two sentences later, they dispute that goal, slamming Obama for not displaying a “far greater sense of urgency.”

It’s a wonderful illustration of the emptiness of much Beltway foreign-policy-speak. McCain and Graham want Obama to act both “deliberately” and “urgently” because they’re both happy words. (As opposed to “lethargically” and “rashly,” which are nastier synonyms for the same thing.) But when you translate these uplifting abstractions into plain English, you see how contradictory McCain and Graham’s demands actually are. You can either demand that Obama not bomb Syria until he’s ensured he has a plan likely to win international and congressional support, or you can demand that he bomb as soon as possible. You can’t demand both.

One reason Obama isn’t bombing in Syria yet is that he’s not clear on what the goal would be. McCain and Graham are. “ISIS,” they write, “cannot be contained.” Why not? Hasn’t the U.S. been containing al-Qaeda—ISIS’s estranged older brother—for more than a decade now? But the two senators don’t pause to explain. “It must be confronted,” they declare. What does that mean? If the U.S. is bombing ISIS in Iraq, aren’t we confronting the group already?

McCain and Graham later clarify: The goal is to “defeat ISIS.” Excellent—how do we do that? 1) “It requires an inclusive government in Baghdad that shares power and wealth with Iraqi Sunnis.” OK, Obama just toppled a prime minister in service of that goal. But there are those decades of dictatorship, brutality, and sectarian slaughter to overcome. 2) “Mobilize America’s partners in a coordinated, multilateral effort.” OK, but those “partners”—which include pro-Muslim Brotherhood regimes like Turkey and Qatar and anti-Muslim Brotherhood ones like Egypt and Saudi Arabia—are jockeying fiercely with one another for influence across the Middle East. Not to mention the fact that they don’t listen to us all that much anymore. 3) Bring “an end to the conflict in Syria.”

Let’s pause on number three for a moment. Last year, when George Washington University’s Marc Lynch surveyed scholars of civil wars, he found that “most contributors are … deeply pessimistic about the prospect for ending Syria’s civil war any time soon” because “Syria has among the worst possible configurations [of any civil war]: a highly fragmented opposition, many potential spoilers, and foreign actors intervening enough to keep the conflict raging but not enough to decisively end the war.” McCain and Graham don’t explain how to overcome all this. They simply note, in passing, that defeating ISIS will require ending Syria’s civil war. It’s like writing an op-ed that demands the United States “defeat” climate change and mentioning that, by the way, one of the prerequisites is the elimination of fossil fuels.

Any serious proposal for expanding American military involvement in Iraq into Syria must do one of two things. 1) Explain, in some detail, how bombing ISIS will strengthen the moderate Syrian opposition rather than other Sunni jihadist groups (for instance, al-Nusra, al-Qaeda’s affiliate) and/or Bashar al-Assad. Or 2) explain why it’s worth bombing ISIS even if we strengthen other Sunni jihadist groups and/or Bashar al-Assad.

McCain and Graham don’t even try. Instead, they end their op-ed by suggesting that Obama take courage from past presidents who have changed foreign-policy direction. They cite Jimmy Carter’s decision to abandon détente with the Soviet Union after Moscow invaded Afghanistan, Bill Clinton’s decision to intervene in the Balkans, and George W. Bush’s decision to implement the “surge” in Iraq. What do these cases have in common? They’re the best examples McCain and Graham could find of when a president chose military escalation and it worked (sort of).

Notice the historical examples the senators didn’t choose: Harry Truman’s decision to fire Douglas MacArthur rather than expand the Korean War into China, Dwight Eisenhower’s decision not to intervene to save the French at Dien Bien Phu, John F. Kennedy’s decision not to launch a preventive military strike against Soviet missiles in Cuba, Ronald Reagan’s decision to withdraw U.S. troops from Beirut after they were blown up by Hezbollah, George H.W. Bush’s decision not to march to Baghdad at the end of the Gulf War.

Sometimes history vindicates presidents who choose war. At least as often, it vindicates presidents who don’t. That’s part of the reason Obama’s decision in Syria is hard. Of course, if you ignore the times when war has brought disaster—and you ignore the most difficult questions about war in Syria—then Obama’s decision doesn’t seem that hard at all.

top