Fonte: ww.francocardini.net
Forse un terrorista, forse un rivoluzionario ... da che parte sta il male assoluto? Siamo dinanzi a una svolta? Certo, quanto sta accadendo nel Vicino e nel Medio Oriente mette davvero a dura prova la nostra capacità di giudizio. Come viatico, vi raccomando caldamente e sinceramente il numero di settembre del mensile “Monde diplomatique”. Non che tutto, intendiamoci, sia in quelle pagine convincente: per esempio non lo è Peter Harling, quando dichiara che le conquiste militari degli jihadisti dello Stato Islamico “approfittano della scomposizione degli stati del Vicino Oriente” (il che è sacrosanto) “e vanno in senso contrario rispetto alla strategia degli Stati Uniti” (hanno una strategia, attualmente, gli USA di Obama?) in quanto “ignorando sempre più l’occupante americano, scatenano una guerra confessionale tra sunniti e sciiti”, laddove appunto Osama, per estirpare il malanno jihadista, conterebbe “anzitutto sugli attori regionali”. Un’analisi abbastanza contorta, che però prescinde a quel che sembra da un problema: chi è che davvero vuole la “guerra confessionale”? Solo e/o soprattutto al-Baghdadi? Arabia saudita ed emirati vicini, a parte il giamburrasca qatariota che fa parte per se stesso, non ne saprebbero nulla? Ma nello stesso numero di quel periodico una bella analisi di Serge Halimi fa il punto sulla “nuova guerra fredda”, mentre all’interno Ismail Alexandrani ce la canta una buona volta ed era l’ora! bella chiara, affermando apertamente e limpidamente che dappertutto, dove gli stati si ritirano, succede loro il caos (e se confrontiamo questa verità indubitabile con l’attività destabilizzatrice diretta o indiretta che le potenze occidentali hanno svolto nel mondo durante l’ultimo ventennio, dalla crisi balcanica alla prima guerra del Golfo in poi, tutto diventa ohimè più comprensibile: ma allora, parafrasando un noto detto francese, per saper che cosa c’è sotto bisogna chercher la lobby…). Infine, Antoine Scwhartz fa il punto sulla contraddizione tra progressi socioeconomici delle élites che gestiscono l’Unione Europea e la sua stagnazione di fatto, accompagnata dalla desolante ma non certo involontaria assenza di una visione diplomatica comunitaria. Insomma: tutto il caos nel quale viviamo. Di questo caos, ogni giorno immagazziniamo magari senza capire nuove prove. Tutto quel che accade ha un senso, certo: il punto è capire quale. La nuova tregua tra Israele e i palestinesi di Gaza sembra più solida e meno aleatoria delle altre; ha da una parte fatto cadere verticalmente il consenso che i cittadini israeliani assegnavano al loro premier Nethanyahu, ma d’altro canto ha fatto emergere che ormai i vertici israeliani danno l’impressione di non confidare più troppo, o esclusivamente, sulla loro amicizia nei confronti degli Stati Uniti d’America e cominciano a guardare anche altrove, verso la stessa Russia di Putin. L’a modo suo ineffabile monsieur Hollande riceve il 27 agosto all’Eliseo gli ambasciatori accreditati in Francia e annunziandosi ben deciso a combattere lo Stato Islamico di al-Baghdadi senza quartiere si abbandona a una performance di neolingua orwelliana che lascia senza parole, con frasi come queste: “Assad non è più un partenaire della lotta contro il terrorismo, è l’alleato obiettivo dei jihadisti” (vedere per credere: cfr. “Le Monde”, 28.8.2014, p. 2). Proprio così: l’uomo politico europeo che più decisamente di qualunque altro ha appoggiato con il massimo cinismo le forze jihadiste in Libia e in Siria contro Gheddafi e Assad, ora cambia con disinvoltura campo e accusa gli altri d’incoerenza. D’altro canto Obama viene messo sotto accusa da Hillary Clinton per la sua indecisione: se egli avesse appoggiato con decisione a suo tempo i siriani ribelli ad Assad, argomenta la signora, adesso non si troverebbe a dover intervenire contro i jihadisti in Iraq come prima o poi in un modo o nell’altro dovrà fare… Sissignori, perché un uccellino ha sussurrato a mrs. Clinton che le forze siriane ribelli ad Assad avrebbero avuto misteriosamente, carismaticamente, la forza, le intenzioni e il coraggio di esprimere dal proprio stesso seno gli anticorpi che avrebbero neutralizzato quei jihadisti ch’erano magna pars della loro stessa compagine. Ed è stato appunto anche perché intimidito dalle possibili conseguenze di una sua decisione diversa che Obama ha rifiutato ad Assad un appoggio contro i jihadisti dello Stato Islamico: ma sul fatto che Assad il quale ha alle sue spalle l’appoggio della Russia e dell’Iran non sia affatto un isolato, e che lo stesso Israele lo preferisca agli jihadisti, i quali, sul problema del Golan, sarebbero di fatto (se riuscissero ad affermare le loro teste di ponte) molto meno accomodanti di lui, ovviamente, Osama tace e la signora Clinton anche. E noi poveri uomini della strada e casalinghe di Voghera ci domandiamo: a che gioco si gioca? Chi crede davvero di poter continuar tanto a prenderci in giro? Perché gli appelli degli iraniani, che da mesi insistevano sui pericolosi movimenti di gruppi jihadisti ad ovest della loro frontiera, non sono mai stati presi sul serio? O è considerata, al contrario, molto opportuna sotto il profilo geopolitico la minaccia dello Stato islamico sunnita alla linea di frontiera dell’Iran sciita? Ne sanno nulla, di tutto ciò, i petrosceicchi della penisola arabica? A giudicare dell’eccellente armamento dei miliziani di al-Baghdadi (che reclutano orrore!, commentano i nostri media anche i bambini), si direbbe di no. Del resto, a proposito di bambini, è noto che se qualcuno di essi muore sotto le bombe, a Gaza, ciò dipende solo dal fatto che quelli di Hamas li utilizzano come scudi umani per proteggere i loro missili e i loro tunnel… Insomma, siamo appunto in pieno caos. Che la storia non abbia alcun senso intrinseco, del resto, siamo d’accordo: non, almeno, sul piano immanente. Che ne abbia uno su quello trascendente ne sono persuaso, ma non sono né in grado di provarlo né, tantomeno, di capire e spiegare quale esso sia. Certo, però, la storia ha delle regole di comportamento più o meno empiricamente coglibili. Quella del costante rapporto tra successo e giudizio storico diffuso ne è una. Ad esempio, un terrorista e/o un criminale che hanno successo diventano dei rivoluzionari; e viceversa un rivoluzionario che fallisce diventa un terrorista. Puo essere imbarazzante se non terribile pensarci, ma se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale come sarebbe giudicato oggi il regime nazionalsocialista? Che cosa si saprebbe di Auschwitz? E come si giudicherebbero figure quali Franklin Delano Roosevelt o Winston Churchill? Riuscite a immaginarvi un mondo nel quale poco o nulla si sapesse della Shoah…e in cambio tutto e di più, magari, sui Gulag e sullo sterminio degli indiani d’America? Detto in altri termini, possiamo senza dubbio ritenere che sia andata meglio così com’è affettivamente andata. Ma l’essere certi che tutto sia obiettivamente andato per il meglio è qualcosa di cui possiamo esser certi solo in via ipotetica: e che sarebbe comunque impossibile comprovare obiettivamente e scientificamente. Una delle principali tragedie della storia è che, quando si verificano scontri e conflitti, non c’è mai uno che ha Ragione e uno che ha Torto; e che tra i protagonisti della storia non c’è infame che non abbia “le sue” ragioni” né nobilissima figura che non abbia “i suoi torti”. Ho scelto di proposito un esempio scomodo e magari scandalizzante, di quelli che mettono a disagio, per invitare alla cautela e all’equilibrio. Siamo tutti scossi e interdetti dinanzi alla non si sa quanto resistibile ascesa di al-Baghdadi e del suo Islamic State. Ma come si può esser certi da che parte sia il “Male assoluto”? Ed esiste poi esso nel mondo della storia che per sua natura è il regno del relativo, dal momento che l’assoluto è una categoria appartenente alla teologia, alla filosofia, alla matematica, ma non alla storia ch’è per sua natura il regno non già del “relativismo”, bensì della relatività? E allora, insomma, chi sarà mai questo Bilal Bosnic, musulmano di Bosnia (musulmano per tradizione familiare o neoconvertito a sua volta?) che piove in Italia e si presenta come reclutatore di giovani da avviare alla carriera di guerriglieri islamici? “La Repubblica” lo ha intervistato giovedì 28 agosto scorso pubblicando a p. 12 la sua allucinante intervista: e, dalle battute che egli ha scambiato con i giornalisti Giuliano Foschini e Fabio Tonacci, esce un quadro tanto interessante e se si vuole fascinoso quanto allarmante e, sotto molti aspetti, problematico. Intanto, sembra di capire che il nostro parli bene italiano, dal momento che sostiene di star facendo un giro per le comunità musulmane del nostro paese predicando nelle moschee. Sì, ma in che lingua? Non certo in arabo, lingua sacra della religione coranica ma conosciuta poco dai non-arabi, che semmai si limitano a ricordare a memoria il testo di passi del Libro Santo e/o delle preghiere. E allora? In basic english? O nella nostra lingua? Il fatto che ripetutamente egli usi la parola araba jihad al femminile, mentre si tratta di un termine maschile, fa pensare che non padroneggi troppo tale idioma (a meno che l’errore non sia dovuto ai due giornalisti). Ma egli spiega appunto quella parola sostenendo si tratti di “guerra santa”: mentre qualunque buon musulmano sa perfettamente che il jihad è comunque uno sforzo del fedele compiuto in un senso gradito a Dio, ma non dev’essere necessariamente militare: anche un impegno sociale, o umanitario, può essere jihad. E allora? Siamo davanti a un musulmano grossolanamente erudito o a un propagandista che volontariamente semplifica, magari nell’intento di cambiare di tanto in tanto le carte in tavola? Il sospetto diviene più intenso quando Bosnic, con evidente piglio stavolta rassicurante e conciliatorio - precisa che lo stato islamico del quale egli è sostenitore non vuole affatto cacciare i cristiani, ma si limita a chieder loro un contributo fiscale se intendono mantenere la loro fede in terra d’Islam. Qui, le informazioni che egli ci passa sono vere a metà: e una mezza bugia può talvolta esser peggiore di una bella, rotonda menzogna. In effetti, è vero che il diritto sharaitico permette ai “popoli del Libro” - che sono essenzialmente ebrei e cristiani: ma tali vengono considerati di solito, dove ci sono, anche gli zoroastriani e addirittura i buddhisti e gli yezidi i quali non sono propriamente “pagani”, “idolatri”, di mantenere la loro fede se accettano di esercitare solo un culto privato, di rinunziare al proselitismo e di pagare certe tasse (la jizija e il kharaji). Nella tradizione musulmana si tratta di tasse piuttosto lievi: al punto che molti cristiani, i quali sotto l’Islam sarebbero stati tentati di convertirsi per far carriera, ne erano dissuasi dal fatto che, divenuti musulmani, avrebbero dovuto pagare la cosiddetta “elemosina legale”, la zakat, che magari era più pesante. Ora, per quel che sappiamo noi, nello stato islamico del califfo al-Baghdadi i cristiani non solo vengono sottoposti a intimidazioni e minacce, ma vengono anche obbligati a pagare una tassa esorbitante: praticamente, vengono spogliati dei loro beni o quasi. Ora, tutto ciò è la negazione del diritto sharaitico, non il suo compimento: perché una tassazione eccessiva equivale a una forma di costrizione, e sul fatto che nessun ebreo o cristiano possa essere obbligato a convertirsi all’Islam il Profeta e la sua legge sono chiarissimi. Su altri punti dell’intervista rilasciata, al contrario, Bosnic abbandona la linea rassicurante e si presenta addirittura più aggressivo di quanto non sia consentito a un buon musulmano. Che cosa vuol dire che lo stato islamico vuol conquistare il mondo intero, Vaticano compreso? Il cristianesimo stesso, che pur passa per essere molto più pacifico dell’Islam, auspica un domani nel quale tutta l’umanità sarà “un solo gregge sotto un solo pastore”. Ma quest’aspirazione all’unione nel segno della vera fede, comunque, è comune a tutte le religioni abramitiche: ed è, in tutte, un’aspirazione escatologica: nella storia quindi, ma alla fine di essa. Ora, appunto per questo, confondere la tattica e la strategia di un movimento politico-religioso, sia pure caratterizzato da un forte elemento proselitistico e militare, con le aspirazioni escatologiche, è un escamotage propagandistico un tantino di bassa lega. Tutti i buoni musulmani, non diversamente dai buoni cristiani e dai buoni ebrei, sanno bene che l’avvento del regno di Dio sulla terra potrà avvenire anche attraverso guerre e sofferenze, ma sarà un momento di pace, di concordia e di giustizia. Che i musulmani lo immagino come totale islamizzazione e i cristiani come totale cristianizzazione, è ovvio e normale: ma soggettivo. Quel che i primi auspicano e si aspettano è il trionfo della Volontà divina, che per loro è espressa nel Libro Sacro; esattamente lo stesso che è atteso e voluto dai cristiani, solo che per loro il trionfo sarà la parola dell’Uomo-Dio. La Parola, appunto, che per i musulmani è un Libro e per i cristiani un Uomo. Peraltro, esprimendosi in modi proselitistici e propagandistici, che non esitano a trascendere nella minaccia, Bosnic non si comporta in modo diverso dai tanti che, da noi, spargono continue menzogne e calunnie contro l’Islam. Il fatto è, tuttavia, che egli ha fatto propria una visione della sua fede che non solo è radicale, ma è anche contrariamente alle apparenze molto moderna. Egli non è altro, e sa benissimo di esserlo, che un propagandista al servizio delle fitna, la guerra civile tra sunniti e sciiti che è sempre stata endemica nell’Islam, ma che soltanto negli ultimi decenni si è scatenata con violenza, avendo come protagonisti gli emirati sunniti della penisola arabica da una parte e l’Iran sciita dall’altra. Questa è la vera guerra che interessa Bosnic. E lui a un certo punto lo dice con chiarezza. Che poi la fitna islamica coinvolga trasformandoli in vittime e in perseguitati anche cristiani e yezidi, e in prospettiva anche ebrei, magari è vero, ma è un altro discorso; e che essa poi sia sul punto di tracimare anche in Occidente, magari sotto forma di terrorismo, è probabile, ma è un’altra faccenda. Tuttavia non ci si può esimere dal dargli ragione quando ricorda che è stato il mondo “occidentale” ad aggredire, asservire, spogliare quello musulmano, non viceversa; e la storia dei movimenti musulmani modernisti e radicali dell’ultimo secolo, dalla fine della guerra mondiale ad oggi, è stata la storia della reazione violenta a un assoggettamento tanto più odioso in quanto ammantato di valori quali la libertà e la democrazia. Guantanamo, a parte la differenza d’intensità, di estensione e di aspetti tecnici dei due fenomeni, non è diversa da Auschwitz. Ma c’è un dato allarmante che di solito si passa sotto silenzio. Auschwitz è tragicamente coerente con il regime politico che essa rappresenta e con i valori che esso rappresentava; parallelamente, Guantanamo ne rappresenta viceversa la negazione; e il contrasto, la contraddizione, sono troppo sconvolgenti, troppo tragicamente paradossali. Se una tirannide crea Auschwitz se ne può provare orrore, non meraviglia; quanto è una democrazia a concepire Guantanamo, si resta paralizzati dinanzi all’insondabilità di quella che è davvero una perfidia e una perversione, nel senso pieno e totale di questi due sostantivi assunti alla lettera. Sentendo parlare Bosnic, d’altronde, va tenuto presente anzitutto e con fermezza un dato. Non siamo qui affatto di fronte all’eterno e immutabile Islam. Siamo di fronte a una declinazione molto minoritaria e “modernista” di esso, che non corrisponde tanto a una “politicizzazione della religione” quanto una “religionizzazione della politica”. Un islam che non deve e non può ingannare nessuno: soprattutto i veri musulmani. Dico non “deve”, ma forse dovrei purtroppo dire “non dovrebbe”. Perché invece, chissà…. Eppure si deve reagire a queste calunnie pensando a quel che in realtà è l’Islam, la fede di quasi un miliardo e mezzo di persone: la fede di un quarto circa del genere umano oggi vivente e che nella sua grande maggioranza condivide la miseria di quel 90% circa dell’umanità che il sistema della sperequazione istituzionalizzata e globalizzata gestita dalle lobbies finanziarie, economiche e tecnologiche internazionali irresponsabili (ancora una volta nel senso etimologico del termine) dinanzi alla società civile condanna a vivacchiare su circa il 10% delle risorse. E’ quest’immane ingiustizia che finisce col mettere a repentaglio la nostra stessa sicurezza. Paralizzando un detto celebre, è il Sonno della Giustizia che genera Mostri.
|