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16 ottobre 2014

Cosa succede in Libia: anche l’Egitto in guerra contro gli amici del Califfo
di Davide Vannucci

Il governo libico, il generale “ribelle” Hiftar e il governo egiziano attaccano insieme le posizioni dei jihadisti di Ansar al Sharia in Cirenaica. Una battaglia che ormai va ben oltre i confini della Libia

Il conflitto libico, definibile, con un po’ di approssimazione, come uno scontro tra islamisti e anti-islamisti, è ancora più pericoloso, e non tanto perché l’ex colonia italiana è un magma caotico, con due governi, due parlamenti, due reti di alleanze internazionali, due coalizioni militari. Che cosa accadrebbe, infatti, se i jihadisti, magari affiliati all’Isis, prendessero possesso del paese che ha le maggiori riserve di petrolio di tutta l’Africa?

Ansar al Sharia e la brigata 17 febbraio sono le due principali milizie islamiste che spadroneggiano a Bengasi, contro le quali, da maggio, si è scagliato invano Khalifa Haftar, il generale dissidente, prima sconfessato e poi riconosciuto dal governo “legittimo” (quello esiliato a Tobruk, vicino all’Egitto). La sua Operazione dignità, volta a sradicare la jihad, non ha sortito gli effetti sperati. Una settimana fa il premier al-Thinni è volato al Cairo e ha strappato ad al Sisi la promessa di un impegno più forte, in termini di armi e di addestramento dell’esercito libico. Martedì il ministro degli esteri ha incontrato a Parigi John Kerry. Ieri mattina, l’escalation militare.

Le forze pro-Tobruk hanno attaccato all’alba il quartier generale della brigata 17 febbraio e, secondo il portavoce dell’Operazione dignità, si sono impossessati dell’area. Dopo qualche ore, fonti del governo del Cairo hanno dichiarato all’Associated Press che anche l’aviazione egiziana ha preso parte ai bombardamenti contro gli islamisti: era già successo il mese scorso, ma è la prima volta che l’Egitto ammette il proprio coinvolgimento in Libia.

Da parte libica l’assalto è stato condotto, col supporto dell’aeronautica, dal battaglione tank 204, una milizia rimasta sinora neutrale. In Libia il potere militare è parcellizzato in una serie di brigate ed è fondamentale ottenere l’appoggio del maggior numero di gruppi. Gli americani non sembrano intenzionati ad intervenire direttamente contro i jihadisti. A giugno, con un blitz, hanno catturato Abu Khattala, per il quale il Gran Giurì potrebbe chiedere la pena di morte. Poi, quando le brigate filoislamiche hanno conquistato il potere a Tripoli, hanno lasciato il paese. La Francia si limita a studiare piani militari. Il peso, al momento, è tutto sulle spalle di Haftar, che, con l’attacco di ieri, ha segnato un punto a favore. Ansar al Sharia ha dovuto lasciare alcuni avamposti a Bengasi e sono stati presi di mira anche uomini d’affari vicini alla jihad.

La battaglia va ben al di là della Libia. Alcuni gruppi fondamentalisti – vedi l’emirato di Derna – hanno già aderito all’Isis e lo stesso al Baghdadi ha capito quanto sia importante il conflitto con Haftar, a tal punto da spingere una parte consistente dei suoi militanti a spostarsi in Africa settentrionale, con l’obiettivo di sostituire l’icona di Gheddafi con quella del califfo.

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