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La Voce della Russia Tramontano i sogni di prosperità del Kurdistan Dal 2003, anno della caduta di Saddam Hussein, ad oggi, la regione curdo-irachena ha visto un costante sviluppo economico e un miglioramento assoluto delle condizioni di vita della popolazione. La fine del regime oppressivo e anti-curdo di Baghdad e l’acquisizione di status di Regione Autonoma han consentito ai Governi unitari che si sono succeduti dal 2005 ad oggi di dedicare la quota parte del budget iracheno destinata al Kurdistan (il diciassette per cento del totale) verso interventi di ricostruzione e di welfare impensabili prima di quella data. Non solo si e’ alzato il tenore di vita medio ma sono state riaperte le Università, ricostruiti villaggi distrutti dalle milizie di Saddam, favorita la sanità con nuovi ospedali pubblici e privati, create nuove strade, cementifici, acciaierie, centrali elettriche e altro ancora. L’accordo tra le principali fazioni curde, quella dei Barzani nell’ovest del Paese e quella di Talabani nell’est ha consentito di porre fine a conflittualità interne che, dopo una guerra sanguinosa durata anni, avevano portato, dal 2001 al 2005, a due Governi nella stessa regione: uno ad Erbil e l’altro a Suleimanya. Il Presidente Massoud Barzani, figlio del più grande eroe curdo dei tempi moderni, Mustafa Barzani, ha dimostrato di essere all’altezza della fama del padre esercitando il suo potere con prudenza, lungimiranza e indubbie capacità diplomatiche. E’ merito suo, del cugino Necirvan (due volte Primo Ministro) e di una classe politica di alta levatura, con esperienze di vita spesso maturate all’estero, se anche i rapporti con la Turchia, dapprima tesi, sono nel frattempo diventati virtuosi. Al punto che da alcuni mesi un oleodotto collega direttamente i nuovi pozzi petroliferi curdi con il Paese confinante senza nemmeno toccare il restante territorio iracheno. Eppure quello che sembrava poter essere la strada per un futuro di prosperità destinato a far diventare la Regione una nuova Dubai e’ oggi a forte rischio di cambiare direzione. La causa di questa sventurata possibilità non sta nella guerra intrapresa dall’ISIS, anche se pure questo evento vi contribuisce, ma soprattutto nella conflittualità che si sta accentuando tra i tre maggiori partiti all’interno dello stesso Kurdistan. L’accordo raggiunto anni orsono con la benedizione degli americani consisteva in una divisione dei compiti per cui l’uno, Talabani, sarebbe diventato Presidente dell’Iraq e garante dell’unita’ dell’intero Paese, l’altro, Barzani, avrebbe invece assunto la carica di Presidente della regione autonoma. Il Governo regionale sarebbe stato guidato da esponenti, alternativamente, dell’uno o dell’altro gruppo con un Vice primo ministro appartenente all’altro partito. Gradualmente, i due partiti si sarebbero dovuti integrare e i peshmerga, prima divisi in due, sarebbero diventati una unica forza. L’intesa, perfetta a livello dei massimi dirigenti, non fu sempre ben accolta ai livelli più bassi, anche perché, come succede in questi casi, le ambizioni personali, riducendosi posti e funzioni, venivano spesso mortificate. I primi problemi si manifestarono con la scissione in due forze distinte del partito di Talabani, il PUK. Il numero due di quella formazione, Mustafa Nachirvan, creò Goran (nella traduzione: Cambio) che subito’ diventò la terza forza alle prime successive elezioni, sconfiggendo lo stesso Talabani nella sua roccaforte Suleimanya. L’ulteriore fattore di debolezza fu la lotta interna al PUK, orfano del suo leader impegnato a Baghdad, che vide nascere tre correnti sempre più litigiose tra loro. Queste divisioni divennero il grimaldello su cui, poco a poco, cominciarono ad intervenire i Paesi vicini aizzandole l’una contro l’altra e, magari, anche finanziandole. Sia il Governo centrale, che l’Iran, che la Turchia non desideravano un rafforzamento del Kurdistan temendone l’appeal che avrebbe potuto esercitare sulle popolazioni curde all’interno dei propri confini e soprattutto paventando il desiderio, mai sopito tra i curdi di tutta l’area, di una possibile velleità di indipendenza. I più grandi problemi cominciarono a causa del contenzioso con Al Maliki e i suoi ministri in merito al diritto, previsto dalla Costituzione che dava (secondo la lettura fattane da Erbil) la facoltà ad ogni regione di gestire in proprio i nuovi pozzi di gas e petrolio, fatta salva la quota dell’83 percento degli utili che toccavano al Centro. A causa di questa diatriba, Baghdad fermò ogni versamento di denaro alla Regione Autonoma che cercò allora di esportare direttamente il petrolio estratto dai pozzi recentemente attivati sul proprio territorio . L’immediata diffida lanciata da Al Maliki, alla Turchia in primis e a tutti i potenziali compratori poi, rese, e tuttora rende, estremamente difficoltoso per Erbil riuscire ad arrivare sui mercati internazionali nonostante una grande quantità di petrolio già disponibile nei depositi turchi di Ceyhan. Oggi, le mancate entrate in arrivo da Baghdad, le difficoltà a commercializzare in proprio, gli shortage di benzina causati dalla guerra in corso e i contrasti su chi, tra il PUK e il PDK, debba presidiare i ricchi pozzi di Kirkuk sono motivo di crescente malcontento tra la popolazione e ogni partito accusa l’altro di esserne la causa. Se a ciò si aggiunge che gli stipendi dei numerosi impiegati pubblici ritardano da alcuni mesi e che gli investimenti pubblici si sono dovuti arrestare, ci si può rendere conto di quanto la situazione possa essere tesa. La formazione del nuovo Governo a Baghdad ove, finalmente, Al Maliki si e’ fatto da parte avrebbe potuto essere una carta importante in mano al Governo regionale per imporre le proprie condizioni, considerato che i deputati curdi sono indispensabili per raggiungere una qualunque maggioranza. Tuttavia, non si sa se per iniziativa autonoma o se sobillati da Teheran, sia il PUK sia Goran stanno facendo di tutto per limitare le capacità negoziali di Barzani, arrivando ad esprimere anche pubblicamente il proprio dissenso. Naturalmente tutti i nemici dei curdi godono di questa situazione e cercano di approfittarne. Perfino l’ISIS ci guadagna perché i Peshmerga, che uniti sarebbero stati doppiamente pericolosi, son tornati (anche se non formalmente) a dividersi secondo le spartizioni partitiche. Purtroppo, se la saggezza e il bene comune non torneranno a prevalere, succederà ai curdi quello che nei secoli passati li aveva già toccati: lottare gruppo contro gruppo (o, nel passato, tribù contro tribù) servendo, più o meno consapevolmente, gli interessi dei propri vicini che potevano così farsi guerra per interposta persona senza, ufficialmente, apparire come nemici e prendersene la responsabilità. Se questo avverrà ancora non potranno che esserci conseguenze fortemente negative sullo sviluppo e il progresso economico della regione e chi, in Kurdistan, aveva cominciato a intravedere un futuro di ricchezza diffusa dovrà, nel migliore dei casi, ridimensionare le proprie speranze.
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