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Natale di sangue Le festività natalizie non sono una festa di gioia per tutti i cristiani. Dall'Iraq alla Nigeria passando per la Palestina, questo sarà un Natale di sangue.
Il Natale non è ovunque la festa pacata, gioiosa ai limiti del buonismo più bieco, stravolta nei suoi fini e fatta essenzialmente di luci e shopping sfrenato. Sembra quasi scontato da scrivere ma, tragicamente, non lo è. Non lo è nel momento in cui la quotidiana persecuzione subita dai cristiani nel mondo viene troppo spesso ignorata dai giochi della politica e dal circo mediatico o, forse peggio ancora, viene sfruttata dalle frange liberali e neocon al solo fine di fomentare un’ermeneutica dello scontro di civiltà che, in ultima analisi, favorisce l’avanzata culturale e geopolitica degli Stati Uniti e dei loro interessi. Ridestare quindi l’attenzione sulla persecuzione anticristiana in alcune parti del mondo non è un mero atto di cronaca: diventa questione di principio e di giustizia, anche da un punto di vista politico. A conferma di ciò, possiamo notare come molti degli attacchi sofferti dalle comunità cristiane in Medio Oriente siano da correlare direttamente o indirettamente alle iniziative belliche del cosiddetto blocco occidentale e dei suoi partner strategici. Esempio lampante può senz’altro essere la precaria per usare un eufemismo- situazione dei cristiani nella Siria occupata dallo Stato Islamico e dai gruppi sovversivi anti-Assad: una recente intervista all’agenzia Sir ha portato alla luce la storia di Padre Hanna Jallouf, francescano e parroco di Knayeh, villaggio attualmente sotto il controllo del Fronte Al-Nusra, una delle organizzazioni islamiste più attive nel nord della Siria. I terroristi hanno concesso una celebrazione del Natale in forma minimale, senza possibilità di allestire l’albero o il presepe, nè decorazioni esterne alla Chiesa; questo al netto del fatto che già molti cristiani sono fuggiti da quella zona. Nonostante tutto, Padre Hanna, già rapito dai ribelli, aveva avuto modo di rifiutare i tentativi di conversione di massa all’Islam: “Abbiamo detto loro che siamo cristiani e che lo rimarremo fino all’ultima goccia di sangue.” Non va certamente meglio in Iraq, dove Mons. Sako, Patriarca dei Caldei, ha indetto tre giorni di digiuno affinchè i cristiani possano “ritornare in sicurezza alle proprie case, al proprio lavoro e alle proprie scuole” e affinchè Mosul e la Piana delle Ninive possano essere liberate. Proprio nella Piana delle Ninive peraltro, sorge da poco un fronte di resistenza armata: il Dwekh Nawsha (“Sacrificio volontario” / “Martirio”), corpo paramilitare formato da un centinaio di ragazzi cristiani e identitari assiri che, sebbene male armati, hanno deciso di dare battaglia all’ISIS. Altre sofferenze vengono vissute in Palestina; a pochi mesi dall’ennesimo attacco brutale di Israele che ha lasciato il suo strascico di morte e distruzione nella Striscia di Gaza. Oltre alla guerra, per i palestinesi ci sono forti problemi di ricongiungimento familiare, anche in occasione della festività come ricorda il Patriarca latino Fouad Twal: molte famiglie “soffrono per la mancanza di documenti legali che permettono alla coppia di vivere insieme quando il matrimonio è tra un palestinese e un non-palestinese. Chiediamo al governo israeliano di allentare le attuali restrizioni sul ricongiungimento.” Sono questi soltanto alcuni esempi, ma si potrebbe parlare dell’attesa del Natale dei cristiani in Nigeria, costantemente sotto attacco di Boko Haram, che nel 2012 aveva già portato a segno una strage di fedeli durante la Messa di mezzanotte. Insomma, nulla a che vedere con il tripudio di buoni sentimenti artefatti, di acquisti compulsivi e di cenoni cui ormai è strettamente legata la visione del Natale nell’Occidente post-cristiano; nulla a che vedere nemmeno con il buonismo di certa pastorale promossa da ampi settori della Chiesa, con la ricerca spasmodica di un dialogo ecumenico a fini esclusivamente pacifisti da un punto di vista pratico ed a costante rischio di relativismo sotto il profilo filosofico. D’altronde oggi, come più di duemila anni fa, alla scena della Natività, è indissolubilmente legata la tragedia della strage degli innocenti; sacrificati, ieri sull’altare delle paure di un piccolo Re di provincia, e oggi ignorati da un’Europa che pare sempre più avviata a congedarsi dalla Storia.
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