http://www.lintellettualedissidente.it
Il tragico cabaret di Netanyahu
Ciò che per lui conta è solo il mantenere alta l’attenzione sull’Iran, per i motivi accennati, che con l’avvento di Rouhani miete pericolosi consensi finanche in America. E tenerla lontana, invece, dalla Palestina, dove le ruspe israeliane continuano ad abbattere case della popolazione araba o dove aumentano le profanazioni dei luoghi sacri dei musulmani Se non fosse un pericoloso guerrafondaio, uno di quegli uomini le cui parole e azioni minano ogni giorno la pace e la sicurezza mondiale, il suo spettacolo itinerante giunto all’Assemblea annuale delle Nazioni Unite si sarebbe potuto considerare davvero uno sketch da cabaret. Sono ancora negli occhi di molti le prime pagine dei giornali di tutto il mondo di circa un anno fa, quando “Bibi”, con aria grave e minacciosa, parlò alla medesima platea agitando un disegno di una bomba. Chiamava il mondo ad aprire gli occhi, cercando di riunirlo per far fronte comune a una minaccia per l’umanità intera come fosse un enorme asteroide entrato in rotta di collisione con il nostro pianeta. Indicando il disegno, mostrò a diplomatici, giornalisti e fotografi una fantomatica “soglia” all’interno della bomba che sosteneva fosse stata superata. La minaccia in questione era l’Iran, la soglia superata l’avanzamento del suo programma nucleare a scopi civili. Oggi, con il mondo che osserva con apprensione il Medio Oriente travolto dalla barbarie islamista e che per questo guarda meno o con meno sospetto l’Iran, che aiuta siriani ed iracheni il premier israeliano sente il bisogno di ricordare ancora una volta la pericolosità del regime degli ayatollah, tenendo alta la guardia sulla prosecuzione del suo programma nucleare in avanzamento e “benedetto” da un primo accordo dei 5+1 che potenzialmente, andrebbe a minare la supremazia di Tel Aviv nella regione. Non è luogo per divagare sul fatto che il piano di Teheran abbia scopi civili e, soprattutto, sul dilemma irrisolto del perché, nel caso, Israele possa avere la bomba e l’Iran no; basti però sapere che dietro all’acredine verso l’Iran da parte dello stato ebraico, vi sono motivi geopolitici e non, come conclamato, lo spauracchio della sua distruzione una minaccia inesistente a cui può credere solo chi non sa o non vuol vedere la realtà dei fatti. In questa ottica di screditamento dell’Iran, e in particolare nelle sue ultime affermazioni, Netanyahu calca la mano. Dire, allo stato delle cose e davanti al mondo intero, che una democrazia per quanto sui generis erede di una delle più grandi civiltà della storia umana e che non sferra un attacco contro anima viva dall’800, costituisca una minaccia maggiore di un esercito di demoni dediti a omicidi, stupri, torture, decapitazioni, distruzioni di patrimoni storici e chi più ne ha più ne metta, rivela poco dello statista e tanto invece di un politicante incline al seminare odio. Che per aizzare la componente più estremista del Paese, ricorre a simili menzogne e a improbabili paragoni. Menzogne che si ripetono quando l’accostamento riguarda palestinesi ed islamisti, parte a detta sua dello stesso progetto volto al dominio del mondo: “Hamas è l’ISIS e l’ISIS è Hamas”. E menzogne che sfociano nella presa in giro quando sostiene come l’uccisione dissennata di oltre duemila civili nell’ultima guerra contro Gaza, abbia costituito il contributo di Israele alla lotta al terrore. Tutto questo non gli importa, ciò che per lui conta è solo il mantenere alta l’attenzione sull’Iran, per i motivi accennati, che con l’avvento di Rouhani miete pericolosi consensi finanche in America. E tenerla lontana, invece, dalla Palestina, dove le ruspe israeliane scortate da Tsahal continuano ad abbattere case della popolazione araba per far posto a quelle dei coloni ebrei; o dove aumentano le profanazioni dei luoghi sacri dei musulmani non ultima, quella spalleggiata dall’esercito nella piana dove sorge la moschea di Al-Aqsa, terzo luogo sacro dell’Islam. Netanyahu, purtroppo, non cambia mai e rimane uno dei più grandi fattori di destabilizzazione di Israele e del Medio Oriente. L’aveva capito persino Obama, ancora due anni fa, quando non trovò altre parole per descriverlo che le eloquenti “pain in the ass”
|
|